L'America ritorna nomade di Mario Ciriello

L'America ritorna nomade Lo spirito del West nell'età post-industriale L'America ritorna nomade Da qualche anno si è fatta massiccia la migrazione verso le terre calde, trasformando la California e il « profondo Sud »; un'altra corrente sale verso il Nord più aspro e pionieristico - Gli americani cambiano sempre più volentieri città, ambiente, mestiere; sono irrequieti per bisogno di libertà e mobili per il gustò della novità e dello spazio - Grossi dirigenti « nomadi » passano da un'industria all'altra; ma un giorno possono anche piantare tutto per una piccola fattoria (Dal nostro inviato speciale) New York, dicembre. Parlo con un dirigente industriale. « Non passo mai più di due o tre anni nella stessa città. E' il modo migliore per far carriera. E se vedo una buona offerta, cambio anche azienda. Mia moglie non si lamenta ». Parlo con un maestro, quarant'anni. « Ho cambiato professione quattro volte e moglie due. Son vissuto in venti Stati americani e dieci Paesi stranieri ». Parlo con un tassista, un giovanotto. « Sono laureato in lettere, ma non me la sento di insegnare. Adesso studio agronomia. Vengo dal Colorado, i miei stanno in Califorma, mi attira il Canada. Presi moglie a diciotto anni: poi ci accorgemmo che non avevamo più nulla da dirci, e ognuno se ne andò per la sua via ». Parlo con una ragazza. « SI. qualche volta vorrei sposarmi, ma sono malinconie che non durano molto. Ho un diploma di " college ", posso trovare lavoro dove voglio, il mondo è grande. Cosa vi è di più bello di una strada senza fine? ». Verso il caldo Una famosa canzone dice: « Don't fence me in » («Non togliermi lo spazio»): è una canzone del West, ma il suo spirito esiste anche nell'America di oggi, in quest'America « tecnetronica » già post-industriale. Gli americani sono rimasti il popolo più mobile ed irrequieto del mondo: cambiano casa, città, lavoro, consuetudini con un'agilità che meraviglia l'europeo avvezzo a una minor libertà di movimenti in ambito più angusto. L'emigrazione di tipo italiano è un fatto diverso, avviene per necessità. Qui, invece, la ricerca di nuovi orizzonti, geografici o umani, è una scelta e una vocazione. Il fenomeno è visibile, tangibile. Ci si fermi a un qualsiasi motel. Ecco le grandi vetture impolverate delle famiglie americane: bambini, valigie, vestiti nei sacchi a mano; una breve sosta, e poi via. Il movimento è quasi sempre da Nord verso Sud, da Est verso Ovest, cioè dal freddo verso il caldo; in pochi anni ha fatto della California lo Stato più popoloso dell'Unione, adesso sta facendo della Florida una regione industriale e rinnovando il volto del « vecchio Sud ». Ma c'è pure chi avanza in senso contrario e cerca nelle regioni aspre e solitarie del Nord — Nebraska, Nord e Sud Dakota, Wyoming, Montana, Idaho — una vita più semplice, più « pionieristica ». In Europa, soprattutto in Inghilterra e in Francia, l'« immobilità » della manodopera ostacola lo sviluppo industriale; in America è tale la riluttanza a mettere radici, che le aziende non sanno come tenere il personale. Il presidente di una grande società di Los Angeles narra: « E' quasi impossibile tener fermi gli americani. Ho visto uòmini di cinquant'anni entrare d'improvviso nel mio ufficio e dirmi: "Voglio cambiare aria. Me ne vado ". E se ne vanno senza un motivo, solo per vedere un altro cielo o per provare a se stessi che possono ricominciare daccapo ». Centoquarantuno fabbriche hanno rivelato di recente d'aver perduto, nel '69, oltre il 75 per cento degli operai assunti nel '68; una nota società d'assicurazioni, la John Hancock Mutual Life di Boston, ha visto scomparire nel '69 trentacinque su cento dei suoi impiegati. E questo con una disoccupazione nazionale di quasi il 6 per cento. Come gli zingari La posizione non fa differenza. Al massimo livello troviamo i « corporate gypsies », gli « zingari delle corporations », i dirigenti che, ogni due, tre o quattro anni, cambiano città o uzienda alla facile caccia di remunerazioni sempre più pingui. Intervistato dal Wall Street Journal, uno dì questi eleganti nomadi con tre auto e tre televisori spiega: a Ho 45 anni Lavoro da 20 anni per la stessa ditta e ho fatto carriera dirigendo non •o quanti uffici regionali. riorganizzando stabilimenti, non restando mai a lungo nel medesimo posto. Con la mia esperienza, volessi cambiare padrone, potrei farlo in un'ora ». ' C'è chi. getta alle ortiche la vecchia attività, e il sociologo Peter Drucker dell'Università di New York approva con calore: « Non tutti scelgono subito, da giovani, la giusta strada. E dopo 15 o 20 anni del medesimo lavoro, una persona intelligente comincia a render meno ». Un esempio fra tanti: John Schultz era uno scapolo di trent'anni; viveva fino a pochi mesi fa in un grazioso appartamento di Manhattan, lavorava a Wall Street, guadagnava bene, faceva la bella vita. Pochi mesi fa ha piantato tutto; s'è sposato, ha messo la moglie e tre valigie su una decrepita Buick e se n'è andato verso le montagne dove ha comprato una piccola futtoria per allevare polli e suini. Altri esempi a caso. Un fabbricante di tessuti, 46 anni, vende la ditta, si trasferisce da New York a San Francisco, diventa maestro di ballo: « Perché avrei dovuto passare il resto della vita a produrre stoffe? Non mi interessava. Avevo mandato i figli all'Università, non avevo più obblighi ». Un grosso cùmmerciante di Chicago volta le spalle al business ed ora noleggia canoe ai turisti nel Minnesota. Un sacerdote lascia la chiesa a 40 anni e si lancia con successo nella produzione di mobili. Altri mutano rotta più volte: Jonas Robitscher di Filadelfia, 49 anni, ex giornalista, ex avvocato, ex industriale, ex pittore, adesso è psichiatra. Pionieri del West Nella cultura americana, il personaggio del « solitario » e del « nomade » occupa un posto di primissimo piano ed assume mille forme: pioniere del West, « Ione ranger », irrequieto « ho- bo » alla Jack London, « private detective ». Tale è la forza di questa brama di libertà individuale e quindi di solitudine, che — secondo molti esperti — l'americano è spinto sovente alla asocialità. Non ha radici e non le vuole, il passato non lo frena, vaga senza legami attraverso questa società e questo continente. Se da una parte l'irrequietezza americana porta isolamento, durezza e, al li¬ mite, alienazione sociale, dall'altra produce libertà individuale, rinnovamento, slancio creativo. Non è il solo corpo che si muove, ma anche la mente ansiosa di nuove esperienze. In un convegno di giovani scienziati europei qui sbarcati con la « fuga dei cervelli », il giudizio è stato unanime: l'America ci affascina perché è ancora un Paese senza troppe barriere, si può correre. Ed un sociologo, nel commentare la comparsa in breve tempo di quasi tremila «comuni» agricole, hippie e no, ha detto: « Sono giovani che cercano di raggiungere una nuova frontiera sociale per gli insoddisfatti del nostro secolo. Forse sbagliano: ma non si può non notare che, per quest'idea, hanno tagliato ogni legame eon famiglia, classe, razza, lavoro: insomma, tutto quanto delimita il nostro spazio ». Mario Ciriello setddzè New York. Dov'è il mio ombrello è il mio tetto. Nella foto un raduno di giovani al Central Park (Foto Team)

Persone citate: Jack London, John Hancock, John Schultz, Jonas Robitscher, Peter Drucker