La prova del "dopo Franco" di Guido Piovene

La prova del "dopo Franco" "DE EUROPA,,: VIAGGIO NELLA SPAGNA D'OGGI La prova del "dopo Franco" Esigendo il processo di Burgos, la destra franchista ha voluto portare allo scoperto le opposizioni e costruirsi garanzie per il giorno in cui scomparirà il generalissimo - Tutti gli spagnoli pensano a quella data incerta, e ne parlano in un gioco pirandelliano di congetture astratte: i nemici del regime non possono contare le proprie forze - Il Paese cambia, in una corsa inquieta a un benessere incerto - Per ora l'esercito sembra l'arbitro della contesa (Dal nostro inviato speciale) Barcellona, dicembre. Il processo di Burgos è latto in vista di un futuro con tuia data ancora in bianco. Ho trascorso in Spagna una cinquantina di giorni. Non c'è quasi nessuno che, con propositi e con interessi diversi, con desiderio o con paura, non viva nella fantasia il giorno dopo una scadenza sicura ma di data incerta, che è la morte di Franco. Tutti prendono, o lasciano, o cambiano posizione, aguzzano, la mente sulle ipotesi alternative di quello che potrà accadere, preparano le loro carte. Dopo una lunga serie di conversazioni, si è portati a credere che non esista più in Spagna il franchismo puro, almeno quello che abbiamo chiamato franchismo con i suoi contorni ideologici. Il processo di Burgos, che poteva essere evitato, promosso dalla destra più intransigente del regime, mira anch'esso a quel dopo, ed è tutto in funzione ''di quell'evento inevitabile. E' una misura preventiva, il cui significato si può riassumere così: « La piega presa dalla Spagna in quest'ultimo decennio (tendenze europeistiche, affermazione di tecnocrati agnostici, diffusione di idee e relativa libertà d'opinione) è ormai vicina al momento, cioè la morte di Franco, in cui potrebbe anche portare il regime a una vera crisi. Noi vi forziamo ad anticipare lo scontro, vi battiamo nel tempo, vi obblighiamo a scoprirvi prima, in modo che il momento pericoloso arrivi a cose fatte e non sia più pericoloso ». I due nemici Lo scontro anticipato inoltre mira ad andare incontro al fatto avendo già" ristabilito alcuni equilibri dì forza tra i diversi gruppi al potere e le correnti della Chiesa, ed è una prova generale d'impiego della piazza. La dimostrazione è portata' proprio contro i due avversari coi quali il regime spagnolo, con Franco o senza, non prevede di venire a patti: il primo è il comunismo (vero o presunto), l'altro è il separatismo catalano o basco. Durante il mio soggiorno in Spagna sono passato da un discorso all'altro e da uno sfogo all'altro, sfoghi sentimentali e intellettuali. Il regime spagnolo è indifferente a quello che la gente dice, non fa proselitismo, non esige di essere amato. In quanto alla morte di Franco, che ha 78 anni e potrebbe morire domani, ma anche durare ancora molto, gli stessi ministri ne parlano senza ritegno. E' il punto obbligatorio di partenza di ogni discorso sul tema: che cosa accadrà; l'effetto è quasi comico, quando poi nel momento stesso si vedono nei giornali le fotografie rituali di Franco che va a caccia o a pesca. Si parla forte anche negli atrii degli alberghi, nei ristoranti. L'opposizione o semiopposizione così detta borghese, compresa quella proveniente dai quadri stessi di schierare soprattutto un gran numero di avvocati intelligenti: molti sono avvocati, chi non lo è lo sembra. Un paragone irresistibile è quello con gli antifascisti, avvocati e intellettuali; negli anni del fascismo, quando le forze che poi tennero davvero il campo rimanevano ancora oscure. Ho fatto in Spagna un bagno d'intelligenza lucida, specialmente nel gioco delle congetture astratte: analisi di tutte le situazioni politiche e le ideologie esistenti nel mondo, paragonate alla situazione spagnola, per giudicare quale vi abbia maggiori possibilità di riuscita, in che misura e con quali un po' nevrotico, pirandel- liana ragionare intorno alle cose, a cui fino ad oggi è mancata ogni prova sui fatti. Le conclusioni perciò tendono al pessimismo, e soprattutto rifiutano come impossibile ogni previsione concreta. Uno dei maggiori successi che ha ottenuto il regime è stato quello di tagliare i legami, sconvolgere i collegamenti, impedire alle varie opposizioni di contarsi. Ognuno parla molto, ma all'interno della sua torre: conosce il proprio grup-' po, talvolta irriducìbile, ma non sa quale seguito potrebbe avere nel paese; ignora il peso relativo delle diverse forze che sì prepara- La pentola sta già bollendo. ma non sì sa che cosa vi si troverà dentro quando si potrà finalmente sollevarne il coperchio. Ho fatto a Barcellona due tappe, una lunga all'inizio del viaggio, una breve alla fine. Prima di partire ho assistito a una dimostrazione in vista del processo di Burgos imminente, nell'arteria più celebre della città, le Ramble, il grande viale rettilineo che da piazza di Catalogna scende al porto. « Los estudiantes! » Vi è una larga corsia centrale, tra due file di platani', destinata al passeggio; si allineano ai suoi lati baracche di fioristi, edicole di giornali e libri, castelletti di gabbie in cui squittiscono stipati pappagalli d'ogni grandezza, migliaia di altri uccelli, insieme con qualche scìmmietta e con i piccoli acquari di pesci esotici, iianchine e sedie sciolte. Guardo un uomo c' e estrae da una scatola di cartone alcuni cuccioli da vendere, quando le donnette dei fiori strillano tutte insieme: «Los estudiantes!». Chi passeggia, si porta precipitosamente ai margini: i cuccioli rientrano nella scatola di cartone; fioristi e mercanti di uccelli si affannano a tirare indietro i vasi e le gabbie più esposti, i fiori più pregiati, orchidee e tuberose; ma la colata degli studenti ormai è giunta e occupa tutta la larghezza della corsia. E' abbastanza impressionante ed inattesa anche per me. Salutano a pugno chiuso e scandiscono slogan; nessuno è sorridente; sono malti, forse un migliaio. Qualche scenetta di teatro vernacolare; le donne che sì schierano a braccia aperte davanti alle mostre dei fiori gridando: « Per pietà! Abbiamo bambini! ». La a colala continua a scorrere; un rumore di vetri infranti. Quando è passata tutta, i danni sono pochi: quei vetri (di un teatro), mazzi di fiori calpestati, ma pappagalli e scimmie ancora nelle gabbie e non sui rami delle piante. Due minuti più tardi, nella stessa corsia, irrompono all'inseguimento gli automezzi della polizìa. Nel pomeriggio vado all'Università. Come in quasi tutte le altre Università spagnole, vi è la polizia dentro, e occupa stabilmente un posto di guardia, meno numerosa però e appariscente che a Madrid. I poliziotti siedono in una sala di passaggio; alle II di mattina (l'ora calda) mettono il casco. Si astengono dall'andare in giro; quelli che lo fanno in borghese, sono subito riconosciuti. Quasi tutti i poliziotti, in Spagna, hanno un secondo impiego per sbarcare il lunario; nelle giornate torbide, mobilitati in permanenza, perdono quel secondo impiego e non hanno una faccia allegra. Intanto, i muri dei cortili si coprono di scritte e simboli: falce e martello, i molti «no» (pena di morte, polizia, repressione), i pochi «sì» (violenza rivoluzionaria). Sempre in moto sono due imbianchini, che passano, cancellano e ricominciano sulle scritte riapparse alle loro spalle. L'atroce guerra Difficile da valutare è il sentimento della folla generica. Oppositori contristati mi dicono e mi ripetono che tanti anni di dittatura hanno distratto da ogni interesse politico la grande maggioranza della popolazione. Ne danno come prova le elezioni municipali. Disinteresse o coscienza che votare è inutile fanno sì che una minima percentuale si prende la briga di farlo: talvolta un decimo dell'elettorato, e anche meno. Quando mi si dice però che una massa è apolitica, rimango sempre in dubbio. Molti sintomi, che vedremo, indicherebbero il contrario, e in situazioni nuove l'apoliticità può sparire anche in poche ore o pochi giorni. Dura certamente il ricordo della guerra civile, tra le più cruente e feroci che si ricordino, con ben oltre un milione di morti nel massacro e non so quanti invalidi che ancora oggi si notano per le strade. Trentadue anni circa sono passati dalla fine; in chi ha potuto assistervi o ha trascorso i primi anni della sua vita nel paese sconvolto, o ha avuto morti in casa, rimane un terrore latente. Pochissimi ne parlano, molti abborriscono l'idea che si ripeta il ciclo, ed a questo si devono alcune grida eh" ho sentito alle Ramble: « La rivoluzione, no! ». Ma la paura non esiste più per i giovani, per cui anzi lo spettro della guerra civile è un ricatto del potere. Il potere conta anche sul forte miglioramento economico, che in pochi anni, specialmente gli ultimi sei, lui cambiato faccia alla Spagna nelle città maggiori e lungo le coste, sbalzandola dal capitalismo arcaico a quello dei consumi, dopo che al dominio della Falange è subentrato quello della tecnocrazia cattolica. Lo sviluppo economico è reale e vistoso, e ha provocato l'espansione della classe media in un paese in cui mancava. Il regime vi si rafforza ma trova anche un pericolo potenziale. I tecnocrati devono accontentare almeno parzialmente l'Europa (lo stato d'eccezione del 1969 non ha retto perché contraddiceva a questa necessità) e il capitalismo moderno esige un misto d'ordine e di disordine nel suo bisogno di chiamare alla vita economica un sempre maggior numero di consumatori. Turismo e fabbriche Una delle prime persone con cui ho parlato a Barcellona, mi ha detto: « Questo boom, che impressiona voi stranieri, è fittizio, è più apparenza che sostanza. Si affloscerebbe subito senza il trionfo del turismo, che rende alla Spagna non meno del petrolio al Venezuela. Ma poi? Non esiste una sola grande industria spagnola autonoma, nessun pro¬ dotto industriale importante che si possa esportare. Si esportano soltanto vini, prodotti agricoli. Non ci sarebbe boom, senza l'intervento (politico) del capitale americano e di molti paesi europei ». Tuttavia, prima di ogni analisi, la trasformazione colpisce. Ogni volta che si arriva in Spagna si vedono più macchine (le vie di Barcellona e di Madrid sono oggi ingorgate come nelle città italiane), gente meglio vestila, nuove costruzioni moderne e nuovi grattacieli. Nelle grandi città la vita popolare, il pittoresco della Spugna, sono quasi scomparsi. . Bisogna scovare nei vicoli il vecchio caffé popolare che dà vino, pane e salciccia. Le coste sono quasi interamente coperte dalle muraglie di cemento; mentre l'interno del paese resta splendidamente intatto, l'orribile pus cementizio va alle sponde e vi fa una crosta. Il sentimento religioso tradizionale è in veloce declino. Mi dice il critico di prima: « La povertà si è occultata, ma resta; molti si nutrono ancora di pane e sardine. E anche nei partecipanti, la corsa ai nuovi beni ha una parte malsana. Qui la civiltà dei consumi ha fondamenti ancora deboli; il possesso dei nuovi beni non è tranquillo e naturale, come in Svezia e negli Stati Uniti, dove è perciò possibile pensare anche ad altro. Gli stipendi restano bassi. La macchina, la villetta sul mare, il weekend, il nuovo stato sociale, si reggono sul doppio impiego e le 12 ore di lavoro. Lo spagnolo rincorre quelle novità, di cui è avido; non aveva mai visto niente di simile nei secoli. Ma le rincorre con affanno ». Il progresso economico, mentre suscita un certo conservatorismo diffuso, unito al desiderio di mutamenti liberali, ma limitati e senza scosse, favorisce per due ragioni il disinteresse politico man mano che si scen¬ de agli strati più bassi di chi può approfittarne; perché la macchina e il weekend sono il pensiero dominante, e perché sono beni ancora aleatori, il cui mantenimento occupa tutte le energie e tutta l'anima. Anche il carattere spagnolo si va trasformando. Scompare la ingrìzia e si diffonde l'accanimento ul lavoro. Le vie sono piene di macchine anche la mattina presto, benché perduri l'uso di cenare alle dieci. E' anche scomparso uno dei rumori più tipici della Spagna di ieri, il picchiettio dei giocatori di domino che usciva dai caffè. Senza previsioni Può darsi che ora il processo di Burgos, con i suoi strascichi e i sussulti discordi che ha suscitato nel paese, sovverta questo quadro di concorrenti che aspettano il via per la corsa da un avvenimento biologico: paleofranchisti irremovibili che conservano le posizioni della guerra civile contro europeisti e tecnocrati con aperture liberali nel giro del sistema, falangisti rimasti dentro che cercano rivincite, falangisti ribelli che contano però poco, profughi del sistema un po' dentro e un po' fuori, antifranchisti liberali o socializzanti con una frangia attratta da posizioni radicali e gruppi rivoluzionari, comunisti e cattolici, con l'esercito che fa da sfondo e resta ancora l'arbitro della contesa. L'idea, più da torneo che da conflitto politico vero e sincero, di attendere la morte del vincitore della guerra civile, dopo trentadue anni, per aprire la partita, è poco convincente: sono calcoli che non tornano, qualcosa scoppia sempre in un'ora imprevista. Dopo queste poche premesse, riferirò quello che ho visto, tenendo conto che i possibili-mutamenti portati dal processo nel gioco delle forze insinuano in questo quadro qualche nuova incertezza. Guido Piovene Madrid. Due operai davanti al fasto antico di una chiesa barocca (Foto « Team »)