Una teologia per le tribù di Vittorio Gorresio

Una teologia per le tribù TACCUINI DEL VIAGGIO PAPALE Una teologia per le tribù Arrivali che lumino a Sydney in Australia, Nuova Galles del Sud, ci trovammo piombati in uh mondo nuovo, diverso dai tre mondi precedenti toccati nei primi quattro giorni del volo con il Papa (il mondo asiatico continentale iranpakistano, il mondo asiatico insulare filippino, il mondo oceanico delle Samoa nei Mari del Sud). Tra Sydney e Pago Pago è superfluo sottolineare le differenze: basterà dire che i due luoghi ci apparvero quel giorno, visti ambedue nell'arco di poco più di dodici ore, antipodi della cultura dell'umanità, estremità polari che la Chiesa cattolica — ed in suo nome Paolo VI in viaggio — cinge in un solo abbraccio. II signor Asher Joel, membro della comunità ebraica di Sydney c vice presidente del comitato cittadino per le accoglienze al Papa, non era scettico sulle possibilità di successo ecumenico della missione paolina: «Il paradosso è che il Papa — ci disse — è ascoltato più spesso c più facilmente da (fucili che stanno fuori dalla sua giurisdizione ». Paolo VI deve avere affrontato la sua tappa di Sydney (che a Roma aveva definita « tappa apostolica e di cortesia ») con uguale fiducia nei paradossi. L'Australia c infatti, sotto più di un aspetto, l'archetipo di ciò che ha di materialistico e di aggressivo la cultura occidentale. II confronto con l'Asia . religiosa non torna, quindi, sempre a onore del cristianesimo. L'Asia produce l'uomo intero, diceva Rabindranath Tagorc, e l'Occidente soltanto un homo oeconomìcus: « E ne è pure orgoglioso ». Più ancora che all'Occidente europeo od americano, è a questa appendice della nostra razza bianca, l'Australia, che è da applicare la sentenza di Tagore. Anche D. H. Lawrence si diceva colpito, ed anzi quasi affascinato, dall'atteggiamento australiano d'« indifferenza fisica per tutto'quello che noi chiamiamo anima o spirito ». Non è il caso di dire che il Papa abbia avuto modo di accorgersi di queste cose durante la sua permanenza a Sydney di due giorni e mezzo: ma certamente ne era stato informato prima, e i suoi discorsi sono difatti apparsi proprio ispirati in questo senso. 11 savio Asher Joel, responsabile dell'organizzazione dei festeggiamenti in onore del Papa, aveva avuto alcune astuzie: « Ho provveduto a far rimuovere i segni che indicano chiaramente la normale destinazione a ippodromo della zona di Randwic\. Dato che il Papa vi deve celebrare la Messa, ho fatto togliere gli sportelli per le scommesse e i tabelloni del totalizzatore, e tutto ancora ciò che insomma sarebbe disdicevole per la dignità dì una Messa papale ». Le Messe in programma erano anzi due: una la sera stessa dell'arrivo, davanti ad una folla valutata duecentomila persone; l'altra il mattino dopo, dedicata specialmente alla gioventù. « Durante la notte to metto al lavoro mille persone per ripulire il terreno in modo che tutto sia pronto per la Messa dei piovani: e noi con altre mille persone, ripulito di nuovo il terreno c smontato l'alture, io riporto l'ippodromo nelle condizioni di prima, con i suoi sportelli e con i suoi tabelloni. Volendo, ci si può correre di nuovo il giorno stesso, e correlativamente scommettere ». Questa è stata una prova dell'efficienza australiana, che anche il Papa ha apprezzato. Egli l'ha definita «dinamismo caratteristico di una giovane nazione », se ne è compiaciuto, ha lusingato per un momento l'amor proprio degli ascoltatori. Poi subilo, però, è passato ai rimproveri, quasi nello stile di D. H. Lawrence, od echeggiando la sentenza di condanna di Tagore: « Forse l'orgoglio di avere costruito un'Australia prospera vi sembra che possa bastare? ì. Nell'ippodromo di Randwick, tempio del culto e della passione nazionale australiana per le scommesse, parole come queste sono ovviamente risuonate nuove del tutto, quel martedì 1" dicembre; ma quanto siano slate persuasive è difficile dire. Comunque il Papa hilencsdpnldclbpmplguIlstclltd«rcrnntltlacdadtsd a o o a e . o e , o o e e e e l a ha voluto condurre in tendo il suo impegno di missionario ed il suo anelito di conversione, dando un esempio di che cosa si possa intendere per disprezzo dell'uomo: «Non chiudete la vostra cerchia ristretta per umore di una soddisfazione egoistica ». Era chiarissima l'allusione ad un nuovo tipo di politica immigratoria raccomandata da Paolo VI all'Australia: quella che farebbe entrare non solo gli appartenenti alla razza bianca, ma anche i gialli ed i bruni provenienti dall'Asia e dall'Oceania. Ci vuole certo molto coraggio per chiedere all'Australia una politica di questo genere. In tutti questi anni, soltanto l'arcivescovo James R. Knox si è battuto in pubblico contro la « White Australia Policy », la « politica dell'Australia bianca »: tutti i responsabili dei partiti e dei governi continuano ad arretrare sgomenti di fronte a quella che sarebbe «l'importazione delle tensioni razziali », secondo uno slogan che ha largo corso. Si tratterebbe infatti di una vera imnrrtazionc, dato che le tensioni razziali che avrebbero potuto eventualmente prodursi all'interno dell'Australia sono da tempo state eliminate, mercé la pratica eliminazione degli aborigeni. Ne sussistono soltanto centocinquantamila circa, alla larga dalle città dove essi stessi non amano risiedere, legati a tradizioni, cultura ed abitudini totalmente difformi dalle nostre. Le caritatevoli iniziative di alcuni missionari hanno talvolta il risultato di aprire ai ragazzi aborigeni le porte di scuole cristiane. Fino ai dieci anni, circa, essi profittano come se fossero ragazzi bianchi: dai dieci in sù, appena maturano verso l'adolescenza, il loro apprendimento cessa di colpo, un bel giorno si arresta per non riprendere più. Si era quindi finora immaginato che l'età mentale degli aborigeni non potesse crescere oltre:' studi più attenti hanno mostrato che invece proprio al momento in cui si sveglia la coscienza del ragazzo aborigeno, si determina il suo rifiuto. Dalle scuole bianche questi ragazzi fuggono facilmente per ritornare nelle loro tribù, antropologicamente fra le più antiche del mondo, portatrici di una cultura che è quasi tutta ancora da scoprire. 11 Papa ha detto che la Chiesa la rispetta e non richiede agli aborigeni di rinunciarvi in alcun modo. Ha dichiarato che i particolari modi di vita degli aborigeni contengono valori positivi: « Ai nostri occhi essi sono preziosi ». Condannato il materialismo edonistico degli australiani, auspicata l'apertura del continente all'immigrazione dei gialli e dei bruni, garantito il rispetto per la cultura degli aborigeni, Paolo VI ha così dato una dimostrazione dell'universalismo cattolico, capace di cingere nello stesso abbraccio estremità polari ed antipodi. Dal punto di vista politico, però, non sono possibili molte illusioni: gli australiani non muteranno, come primi fra i bianchi, il loro costume di vita, né modificheranno la loro politica immigratoria; né gli aborigeni accorreranno alle scuole cristiane o alle città dei bianchi come sicuri di esservi rispettati. Sarcbhe già abbastanza che per fiducia nelle parole del Papa venuto da lontano essi lossero disposti ad ammettere più facilmente i missionari nella loro cerchia tribale. Ma Paolo VI, con una di quelle sue contraddizioni da tipico intellettuale, quando ha lasciato gli aborigeni per parlare con i vescovi d'Australia e d'Oceania riuniti in conferenza, ha dato l'ordine formale ed insistente di non avere indulgenze verso quella che egli ha chiamato « la mentalità popolare j-, e di evangelizzare i primitivi con il solido apporto dell'immutabile teologia maturata in Europa dalle lettere tli Sant'Ignazio d'Antiochia giù per i secoli fino a Bellarmino e Suarez ed alle Costituzioni dei Co'ncili ecumenici. Può darsi che, se i missionari in Australia e Oceania eseguiranno questi ordini del Papa, i ragazzini aborigeni continuino a scappare dalle scuole cristiane. Vittorio Gorresio (p