Gravi tumulti in aula al processo di Burgos di Sandro Viola

Gravi tumulti in aula al processo di Burgos Grida, invettive, proteste Gravi tumulti in aula al processo di Burgos Il presidente snuda la spada, un poliziotto estrae la rivoltella, la "guardia civii" si lancia sugli imputati - Poi il dibattito prosegue a porte chiuse - La sentenza fra due o tre giorni: per sei dei sedici accusati il P. M. ha chiesto la pena di morte 116 baschi intonano l'inno della libertà a e o , o (Dal nostro inviato speciale) Burgos, 9 dicembre. Il processo di Burgos è finito in modo drammatico alle 10,40 di stamani. 11 giudice don Antonio Troncoso agitava la sciabola snudata, un poliziotto aveva cavato la rivoltella dalla fondina, il pubblico ondeggiava spinto dai soldati fuori dall'aula, mentre i sedici imputati cantavano a voce alta (e le tre donne piangendo) l'antica canzone della libertà basca. Nella confusione, prima di essere scacciati dall'aula, abbiamo visto gli imputati sopraffatti dalla polizia (quattro o cinque agenti per ogni giovane basco), il presidente in piedi col volto sbiancato, i poliziotti in borghese che stavano seduti fra il pubblico balzare furiosi, imprecando, verso il pretorio, la madre di Javier Izco svenuta su una panca. Questo finale tumidtuoso. che ha già un posto nella storia dell'opposizione al franchismo, si era delineato in apertura di udienza. L'ultimo imputato a dover essere sentito era Mario Onaindia, ventinove anni, impiegato, uno dei sei che rischia la condanna a morte. Onaindia era andato al pretorio, e subito aveva sorpreso per la voce tesa, il tono di sfida con cui aveva cominciato a parlare. « La pregunta no es pertiniente », la formula con cui il presidente aveva messo a tacere tante volte, in questi giorni, gli avvocati, ora la usava Onaindia. « La domanda non è pertinente », « Non intendo rispondere », erano le sue sole risposte alle domande del pubblico ministero. Salvo Una volta, quando il fiscal aveva chiesto se appartenesse all'Età, e l'ex impiegato di banca aveva detto: « Sì, sono un membro dell'Eia e lo sarò sempre ». «Mi torturavano» Al suo difensore, invece, Onaindia aveva risvosto. Erano venute fuori cosi la sua ideologia (v. Sono un marxista-leninista ») e la sua storia di militante. Poi il giovane era riuscito, malgrado le interruzioni del presidente, ad accennare al programma dell'Età: « Le regioni basche unite in uno Stato senza classi ». Più avanti aveva raccontato del suo arresto, di come la polizia avesse sparato prima di intimare l'alt e dei nove giorni tremendi trascorsi in una caserma di Bilbao. « Perché », aveva chiesto il difensore, « firmò la confessione che è agli atti? ». Il giovane aveva alzato le spalle: « Che domanda... perché mi torturavano ». L'atmosfera, nella sala del gobierno militar di Burgos, si stava facendo molto tesa. « Lei si ritiene un separatista? », aveva chiesto ancora l'avvocato. « No, un internazionalista. La nostra lotta è la stessa del popolo spagnolo... ». E alzando la voce, mentre il presidente gli gridava di smettere, Onaindia aveva aggiunto: « La lotta contro lo sfruttamento cui il popolo è sottoposto da parte dell'oligarchia ». Poi, con i segni palesi di una concertazione stabilita tra tutti gli imputali .e i loro difensori, si era giunti alla domanda finale. « Due suoi compagni », aveva detto l'avvocato, « hanno dichiarato ieri di considerarsi prigionieri di guerra. Anche lei si considera tale? ». Era l'ultimo atto del processo di Burgos. «Sì, anch'io», ha detto Mario Onaindia. Poi, facendo un passo verso il tavolo dei giudici, ha preso a gridare: « Perché lo Stato spagnolo è in guerra contro il popolo basco, perché i baschi soffrono sotto l'oppressione del regime oligarchico... ». Ormai gridavano tutti: lui, il presidente che tentava di zittirlo, l'avvocato che chiedeva, di lasciar parlare l'imputato. Quindi si e sentita una frase del presidente: « Portatelo via! », e allora Onaindia si è girato verso il pubblico e ila gridato: « Gora euzkadi askatuta », viva la nazione basca libera. Dal pubblico qualcuno ha risposto al grido, i quindici compagni ammanettati di Onaindia hanno intonato l'« Euzko Gudari » («Siamo i combattenti baschi, vogliamo liberare la patria, siamo pronti a dare il nostro sangue... » ), Onaindia ha fatto un altro passo verso i giudici, il « vocal ponente » don Antonio Troncoso ha sguui- nato la sciabola, i poliziotti si sono lanciati (uno con la pistola in pugno), Javier Izco e il prete don Julien Kalzada sono rotolati a terra, le tre ragazze cantavano con il volto rigato di lacrime, i parenti gridavano disperati. Tre minuti, quattro? Non certo di più. Poi siamo stati cacciati tutti nel cortile, sotto il nevischio, in mezzo a cordoni di poliziotti furibondi. Subito, un gruppo d'una decina di persone è stato isolato in un angolo del cortile. Erano parenti degli imputati, madri, sorelle, fratelli, di cui sette sono poi stati arrestati. Sconvolte, le ginocchia piegate, la madre di Izco e quella del sacerdote Jon Extabe hanno dovuto essere sorrette dagli amici, nel gelo, perché la polizia non ha permesso che le si portasse al riparo sotto l'androne. Sui tetti erano riapparsi come il primo giorno i mitragliatori dei « berretti verdi ». Nell'aula, intanto, il presidente aveva fatto ristabilire l'ordine e dichiarava che il dibattimento sarebbe continuato a porte chiuse. Ma il processo era praticamente finito. Reso noto che i loro assistiti rinunciavano alla difesa in quanto avevano deciso di non riconoscere alcuna autorità al tribunale militare, gli avvocati hanno chiesto di poter lasciare l'aula. Il presidente si è opposto, così essi sono restati: ma la loro presenza — come dice un comunicato di stasera — era puramente fisica, sicché non hanno avuto luogo l'escussione dei testimoni e le arringhe. Tre ore dopo, il tempo di esaurire le formalità, il presidente ha dichiarato chiuso il dibattimento. Deciderà Franco Ora bisognerà attendere la sentenza. Secondo il codice militare spagnolo essa non viene letta in aula, ma solo notificata agli interessati. Né esiste un termine per questa comunicazione. Così che prima di conoscere la sorte dei sedici giovani baschi dell'Età potranno passare due, tre e forse più giorni ancora. Ma una cosa, stasera, appare certa. Che la sentenza non sarà opera dei cinque giudici del tribunale militare della 6" Regione, e neppure del capitano generale della Regione, il generale « azul » (come si dice di chi ha fatto parte della divisione « Azul », che combattè con i nazisti in Russia) Garda Rebull. Perchè la sentenza di Burgos è ormai un fatto politico che investe l'intero regime, l'incidente più grave che esso si sia trovato a fronteggiare da moltissimi anni. E sarà il governo di Madrid, Franco in testa, a dover prendere una decisione. Sandro Viola igolfo: ÌBordeaux DI BISCAGLIA- f^RFAIN C I A Pau \o mPamplona A G N A 79 P Lqgroho Villafranca

Persone citate: Antonio Troncoso, Izco, Javier Izco, Julien Kalzada, Mario Onaindia, Reso

Luoghi citati: Bilbao, Burgos, Madrid, Pau, Russia