Il salario dell' inflazione di Alberto Ronchey

Il salario dell' inflazione Il salario dell' inflazione L'America è in allarme per l'inflazione. Nel '70 i salari sono aumentati del 7 per cento, superando del 4 per cento l'aumento della produttività. La Commissione dei consiglieri economici di Nixon avverte che i prezzi aumentano in media a un ritmo quasi eguale a quello dei costi unitari del lavoro. Dunque, chi protesta contro l'aumento dei prezzi e chiede aumenti reali dei salari deve preoccuparsi che i contratti collettivi non superino il tasso medio di sviluppo della produttività, che in America è del 3 per cento: « Non so7io calcoli difficili — ha detto Paul McCracken — è difficile farli capire ». Dopo tante peripezie, la politica economica di Nixon torna alle « guidelines » Ut linee di guida » in cifre) del periodo KennedyJohnson? Kennedy per primo, con l'aiuto dell'economista Heller, s'era proposto di spiegare che il problema d'ogni moderna economia di massa è la grande dinamica dei redditi di lavoro. I redditi personali di capitale non reinvestiti si riducono a poco ( hanno rilevanza psicologica 0 etico-sociale, non macroeconomica). Invece bastano alcuni contratti collettivi sbagliati a suscitare l'inflazione, senza vantaggio per il salario reale. Sarebbe possibile, certo, ridurre le tensioni sindacali calmierando il mercato del lavoro, ossia tenendo l'economia a basso regime affinché sia disponibile sempre un cospicuo « esercito di riserva » dei disoccupati. Ma è proprio questo genere di false soluzioni che l'economia moderna vuole superare. Ora la disoccupazione ha raggiunto in America il 5,8 per cento: gli economisti della Casa Bianca si domandano se debba ancora aumentare, per porre un freno all'inflazione calmierando il mercato del lavoro, o se invece si possa stabilire un responsabile dialogo « su fatti e cifre » con i sindacati. Lo sviluppo non calcolato della domanda monetaria non sarà il solo fattore d'inflazione (ci sono anche 1 prezzi internazionali delle materie prime, gli squilibri della bilancia dei pagamenti, le tensioni dovute al costo della guerra vietnamita), ina la maggioranza degli economisti è persuasa che la questione fondamentale del « boo77i senza inflazione » sia nel rapporto tra velocità media dell'aumento dei redditi e dinamica della produttività. * * Anche l'Inghilterra di Heath è in allarme per l'inflazione. L'aumento medio dei salari ha raggiunto nel 11)70 il 12 per cento: e un simile tasso, senza un tasso proporzionato d'aumento del prodotto nazionale, si paga con la perdita di posti di lavoro e di potere d'acquisto da parte delle categorie dotate di minor forza contrattuale. In un editoriale dal titolo « C'è follia nell'aria », il Snudai/ Times ha tentato di spiegare quanto fallaci siano i miti ancora diffusi tra le masse salariate (persino in Inghilterra) con il seguente esempio: « Se l'intero reddito della nazione, guadagnato Tanno scorso, fosse divìso in parti uguali ira tutti gli uomini e le donne che lavorano, il salario settimanale pro-capite ammonterebbe a poco più di 22 sterline» (il salario medio degli operai industriali è già di 25 sterline). Il tasso d'aumento della produttività rappresenta davvero l'altra metà dell'equazione salariale nell'economia moderna: ignorare questi dati, o fìngere di non conoscerli, è pura follia. I laburisti al governo avevano tentato di persuadere i sindacati della necessità d'una « politica dei redditi ». Come si può sostenere una economia pianificata, o almeno concertata, senza pianificare la dinamica dei redditi? Ma i sindacati respinsero la proposta di Wilson, dunque i laburisti andarono « nudi » alla pianificazione e infine persero le elezioni. II successo dei conservatori s'è fatto subito sentire con la proposta di legge Carr (Industriai Relations Bill). Secondo tale progetto, i contratti collettivi diverranno vincolanti per ambedue le parti; nuovi tribunali aggiudicheranno alle parti lese i danni per l'inadempienza contrattuale; gli scioperi di portata nazionale subiranno una sospensiva di 60 giorni; le agitazioni sindacali importanti per il pubblico e l'economia dovranno essere approvate per votazione segreta dalla maggioranza degli iscritti ai sindacati coinvolti; costituirà « azione industriale ingiusta» lo sciopero di simpatia d'una categoria per un'altra e avranno la stessa qualifica gli scioperi dei sindacati non iscritti al Registro (saranno praticamente fuori legge gli scioperi « selvaggi »). Al di là del progetto conservatore e della « politica dei redditi » laburista, esiste solo una terza via, quella ormai ben nota: la continuazione dello «stop and go» inglese, tra recessione e inflazione. Per assurdo, le nozioni parziali d'economia diffuse oggi tra le masse producono effetti peggiori che l'assenza assoluta di nozioni. « Troppa gente — osserva il Times di Londra — si aspetta che tutto salirà vertiginosamente l'anno prossimo e pensa di dover lottare per mantenersi in equilibrio ». Nel circolo vizioso dell'inflazione stanno entrando anche gli scioperi « difensivi ». Chiunque, è stato detto, pensa di sapere che è in grado d'uscire da un teatro sovraffollato in due minuti; ma non pensa che se tutti cercano d'uscire in due minuti ne può risultare un immenso caos. * * In Italia l'inflazione è più allarmante che altrove. A differenza dell'America e dell'Inghilterra, o della Francia e della Germania, siamo ancora una società sottosviluppata al 50 per cento, che rischia di veder distruggere il suo meccanismo di sviluppo tra le scosse inflazione-recessione. In altri paesi d'Europa, che nessuno vorrà giudica¬ re illiberali, lo sciopero è limitato per i dipendenti statali e i servizi pubblici: così in Svizzera, in Belgio, in Olanda, in Svezia e nella Germania Occidentale. In Italia hanno scioperato persino i dirigenti statali (talvolta dopo aver chiuso in cassaforte i punzoni dei centri meccanografici). E ora le agitazioni del settore pubblico si rinnovano. Lo sciopero degli statali, dei parastatali e dei dipendenti locali è un fattore scatenante di tutte le altre agitazioni: esso provoca un continuo e non calcolato aumento della spesa pubblica corrente a danno degli investimenti civili e sociali, può squilibrare le condizioni di vaste moltitudini e rende impossibili le riforme chieste dagli stessi sindacati. Secondo l'art. 40 della Costitusione, «il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano ». Nessuna legge ha mai tradotto in norme precise l'esercizio di tale diritto. Sarebbe stato possibile almeno regolare gli scioperi pubblici, elaborando procedure particolari, tenuto conto che gli statali godono di speciali privilegi (inamovibilità e garanzie di promozione per anzianità). L'assenza d'una legge ha reso incerto anche il significato dei contratti collettivi. Da un lato la loro validità è stata riconosciuta « erga omnes », verso tutti; ma nello stesso tempo nessuna norma impegna il sindacato firmatario d'un contratto collettivo a prendere misure contro i suoi iscritti, quando promuovano scioperi « selvaggi » ( extra-contrattuali o in violazione del contratto), né ad annunciare pubblicamente che il sindacato stesso scinde le proprie responsabilità da quelle degli iniziatori di tali agitazioni. Quante ore di lavoro abbiamo perso dall'« autunno caldo » ad oggi? Nella prima metà degli Anni Sessanta abbiamo fatto un'amara esperienza del ciclo inflazione-recessione: dovremo ripeterla? Alberto Ronchey

Persone citate: Carr, Heller, Kennedy, Nixon, Paul Mccracken, Tanno