Perché Venezia non scenda

Perché Venezia non scenda GLI STUDI SULLA DINAMICA DELLE GRANDI MASSE Perché Venezia non scenda Oggi si abbassa di 5 millimetri l'anno e la frequenza delle «acque alte» sta raddoppiando Come i lavori di Margliera alterano la Laguna - Un piano: chiuse mobili contro le mareggiate (Nostro servizio particolare) Venezia, dicembre. Da poco più di un anno opera a Venezia un centro di ricerche unico nel suo genere in Italia e con ben pochi riscontri nel mondo. E' il Laboratorio per lo studio della dinamica delle grandi masse, creato dal Consiglio nazionale delle ricerche e diretto dal dott. Roberto Frassetto, un ex-ufficiale di marina che, fra l'altro, ha lavorato v. lungo presso il centro jecanografico della Columbia University a New York. La «banca dei dati» Il programma ,a lungo termine del laboratorio veneziano comprende ricerche avanzate sull'azione reciproca di masse d'acqua, di aria e di terra, con particolare riguardo a zone soggette a calamità naturali. Gli obbiettivi a medio termine toccano in modo diretto la salvaguardia di Venezia, studiando l'abbassamento del terreno, le acque alte e la circolazione interna della Laguna. L'attività svolta dall'istituto veneziano ha già dato risultati di rilievo per la difesa della città. In base a nuove livellazioni si è accertato che l'abbassamento medio nel centro storico si aggira sui 5 millimetri l'anno E' stata costituita una « banca di dati » sull'andamento delle maree, in Laguna e nell'Adriatico; ed è stata confer mata in termini precisi la maggior frequenza delle acque alte (oltre i 70 cm). Esse sono passate da 197 nel biennio luglio 1966-giugno 1968 a ben 295 nel biennio successivo, in corrispondenza cioè con lo scavo del Canale dei petroli da Malamocco a Marghera (che ha potenziato l'ampiezza e la velocità di propagazione delle maree) e con l'interramento di aree barenose per la terza zona industriale di Marghera (che ha chiuso altri alveoli nel delicato sistema polmonare della Laguna). Gli studi già compiuti permettono inoltre di prevedere le acque alte con uno scarto di mezz'ora quanto alla durata e di 10 cm quanto all'altezza; e fra due anni gli scarti saranno ridotti rispettivamente a 10 minuti e a un centimetro, mentre la popolazione potrà essere avvertita dell'entità del fenomeno con almeno sei ore di preavviso. Gli stessi studi forniranno una documentazione indispensabile per le opere di sbarramento mobile da costruire agli imbocchi della Laguna per proteggere Venezia dagli assalti del mare. Sono già avviate le prove di « rendimento » dei progetti di massima per tali opere. A giudizio del dott. Frassetto, le chiuse mobili dovrebbero sbarrare tutte e tre le bocche della laguna (Lido. Malamocco e Chioggia). Egli prevede che i periodi di chiù sura possano esser limitati a 300 ore l'anno (in parte coincidenti con quelle in cui nebbia e foschia impediscono comunque l'accesso alle navi più grosse); anche nei periodi di chiusura, inoltre, il naviglio fino a 1500 tonnellate potrebbe entrare in Laguna grazie a una conca da approntarsi in corrispondenza con la bocca di Malamocco. Una soluzione del genere appare senz'altro preferibile a quella, pure ventilata, che limiterebbe gli sbarramenti alle bocche di Lido e di Chioggia e costringerebbe ad arginare il Canale dei petroli; essa infatti sezionerebbe la Laguna in tre bacini e condannerebbe Venezia a intristire entro uno specchio d'acqua ridotto alle dimensioni d'un catino. Misure provvisorie L'installazione delle chiusa mobili, tuttavia, richiederà almeno 4-5 anni, anche nell'ipotesi ottimistica che si decidano presto i lavori. Nel frattempo, chiedono parecchi esperti di questioni veneziane, non si potrebbe dare alla natura la possibilità di ope rare per un ripristino delle condizioni che prevalevano in Laguna ancora 30 o 40 anni fa? Se, per esempio, i fondali della bocca di Lido tornassero da 11 a 8 metri e la profondità in tutto il Canale dei petroli non superasse i 10-12 metri, sì ridurrebbero sia la forza d'urto delle maree, sia le correnti che oggi tendono a scavare vere e proprie voragini in parecchi pun ti della Laguna. E se si~ sanzionasse l'abbandono del progetto per la terza zona industriale, permettendo alle aree interrate di tornare allo stato di barene, e le valli da pesca fossero riaperte al normale flusso e deflusso delle acque, si restituirebbero alla Laguna almeno in parte, le dimensioni e il respiro che fin dal Cinquecento gli esperti della Serenissima giudicavano indispensabili alla sopravvivenza di Venezia. D'altra parte, tale reintegro non comporterebbe il sacrificio della funzione economica delle valli da pesca (dove gli attuali sbarramenti sarebbero semplicemente sostituiti da chiusure a graticcio), né delle industrie esistenti a Marghera e neppure del porto commerciale di Venezia (agli uni e all'altro potrebbero sempre accedere navi di notevole stazza». Soltanto i più massicci rifornimenti di petrolio dovrebbero giungere a Marghera con un oleodotto; e i nuovi insediamenti industriali dovrebbero trovar posto fuori del bacino lagunare: a Porto Levante, nel Polesine settentrionale. Sembra che la maggioranza delle force economiche interessate siano d'accordo. Leo J. Wollemborg

Persone citate: Adriatico, Leo J. Wollemborg, Roberto Frassetto