I pericoli alle spalle di Giorgio Fattori

I pericoli alle spalle LA JUGOSLAVIA PORTA DEL MEDITERRANEO I pericoli alle spalle «Ci sono nemici che costruiscono i propri piani sulle nostre difficoltà economiche», ha detto Tito - Sono «demoni dagli artigli velenosi» - Il maresciallo non li ha nominati - Ma i bulgari, docili agli ordini del Cremlino, risvegliano la questione macedone; la « Pravda » denuncia il fallimento del sistema jugoslavo e Breznev gli « opportunisti di destra » (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, 30 novembre. L'atmosfera di Belgrado è quasi natalizia: quattro giorni filali di vacanza ver U' festa della Repubblica, ministeri, scuole, negozi, tutto chiuso. La gente parte in treno e macchina per il lungo weekend e quelli che sono rimasti in città passeggiano senza meta nelle vie del centro guardando le vetrine. L'ultima attrazione e la grande boutique di Dior n perla da un mese sul corso Maresciallo Tito. Maxigonne e cappotti a prezzi sensazionali (fino a 10 mila dinari, mezzo milione di lire) per gli stipendi medi jugoslavi. Eppure le signore della nuova borghesia rossa hanno lottato a colpi di gomito per assicurarsi i modelli più ambili, c il magazzino ha già chiesto rifornimento a Parigi. Dior a Belgrado Christian Dior in un Paese comunista: è l'ultima novità del nuovo corso iugoslavo, mentre Tito preannuncio) la svalutazione, sale il malumore per la situazione economica e i rapporti fra le repubbliche federate continuano ad essere difficili. La crisi non si avverte a Belgrado distratta dalla vacanza, ma è un sottile veleno che corrode la vita pubblica. A ricordarlo ci pensa il vecchio presidente con le sue rapide incursioni in provincia, parlando agli operai delle fabbriche, ai funzionari delle cooperative. Sono i discorsi che Tito non prepara in anticipo, spregiudicati e anche duramente polemici come nel suo temperamento impulsivo. Per questo forse sono i più sinceri e significalivi. Uno soprattutto ha fatto impressione, tenuto nei giorni scorsi agli operai di un'acciaieria serba. Ci sono nemici. Ita detto Tito, che sulle nostre difficoltà economiche costruiscono i loro piani contro la Jugoslavia; con le loro pressioìii cercano di compromettere l'avvenire della Repubblica. Chi sono questi « demoni dai denti aguzzi e dagli artigli velenosi » che insidiano da oltre confine la nazione? Per la prima volta Tito non ha messo semplicemente in guardia contro l'eventualità che nemici della Jugoslavia profittino della crisi, ma li ha indicati come responsabili nel provocarla o almeno aggravarla. Un'oscura manovra sarebbe in atto per esasperare i nazionalismi regionali e le scontentezze delle masse impoverite dall'inflazione. Sono ormai in gioco i problemi decisivi della successione a Tito e dell'unità delle sci repubbliche: anche se il maresciallo non li nomina, i misteriosi demoni si celano all'Est. Ma alcuni affermano che fa parte della strategia di Tito drammatizzare a scadenze fisse le pressioni da Oriente, per cementare l'unità nazionale e richiamare l'attenzione degli occidentali sulla situazione jugoslava. Può darsi sìa vero a metà: le preoccupazioni di fondo sono però reali; la politica titoista si regge su un difficile equilibrio, e mentre la Jugoslavia attraversa la fase interna più rischiosa dal 1948, riaffiorano alle frontiere alcuni segni di tensione. La questione macedone Come una periodica nevralgia che colpisce sempre lo stesso dente, torna in primo piano la questione macedone. Dopo gl'incidenti al tempo dell'occupazione sovietica di Praga e l'inconcludente visita a Belgrado del ministro degli Esteri bulgaro un anno fa, l'eterna polemica sembrava in ibernazione; restava qualche attacco sui giornali, ma appariva una più decisa volontà politica di arrivare a un chiarimento. Fra Tito e il presidente bulgaro Zivkov c'era stato nei mesi scorsi uno scambio di lettere per preparare il viaggio d'una delegazione a Sofia. Le trattative dovevano aprire la strada a un eventuale viaggio del maresciallo in Bulgaria per festeggiare la ritrovata amicizia. La missione esplorativa e avvenuta, ma è fallila. Ai primi di novembre i delegati jugoslavi sono tornati indietro in fretta, senza nemmeno un comunicato ufficiale: in pratica messi alla porta dall'inatteso irrigidimento dei bulgari. Questi ultimi hanno insistito incrollabili sul loro punto: non esiste una comunità nazionale macedone, ma solo un popolo oltre frontiera che e « parte viva del corpo della nazione bulgara». Saremo anzi costretti, hanno detto ai jugoslavi allibiti, a criticare pubblicamente la risoluzione che Diinilrov fece accettare dal Comitato centrale bulgaro nel dopoguerra, quando riconobbe l'esistenza etnica e politica della Macedonia. Non abbiamo, hanno assicurato, rivendicazioni territoriali da avanzare; ma dev'essere chiaro che la Macedonia è abitata da nostri compatrioti. Rafforzando la polemica, con sorpresa dei jugoslavi, mentre le due delegazioni litigavano usciva a Sofìa una pubblicazione storico-militare, in cui il discorso era allargato fino a sostenere che la Serbia meridionale è, per popolazione e cultura, una terra bulgara. Braccio di ferro Nel momento di aspro confronto fra le Repubbliche jugoslave, con la sottosviluppala Macedonia che guarda nervosamente al braccio di ferro fra la ricca Croazia e la potente Serbia, il discorso dei bulgari è suonato allarmante: è come una apertura indiretta alle eventuali forze separatiste. Tito, dicono, ha reagito con uno scoppio di collera, nella duplice sottintesa convinzione di moltissimi dirigenti jugoslavi: che, cioè, la Bulgaria non muova un dito senza il consenso dell'Union". Sovietica, e che la Macedonia, con l'Albania, rappresenti sempre l'ideale corridoio verso i «mari caldi» della strategia militare russa. C'erano stati altri sintomi a confermare che l'improvviso ritorno dei bulgari alla intransigenza non capitava per caso, come strascico di rancori secolari. La Pravda ha commentato la crisi economica jugoslava in chiave, di fallimento del sistema. Gli alti dirigenti sovietici hanno espresso dure critiche verso la Jugoslavia, parlando con i socialdemocratici tedeschi. Il presidente sovietico del piano, Bcìbakov, ha disdetto la visita a Belgrado, e di quella di Breznev, ritenuta probabile due mesi fa, non si parla più. Alcuni jugoslavi anzi, la escludono « almeno tino al prossimo Congresso del partito comunista sovietico». Intanto Leonida Breznev non ha perso occasione nel discorso d'apertura al congresso di Budapest per attaccare, insieme con i dogmatici di sinistra (ma i cinesi e gli albanesi non erano presenti), gli «opportunisti di destra ». La delegazione jugoslava ha capito senza fatica a chi era diretto il colpo e si e preoccupata quando Breznev, prodigo di festosi elogi per Kadar e la sua riforma, ha invitato gli alleali dell'Urss a una « più efficace cooperazione militare, economica, ideologica e politica ». Per Belgrado il richiamo all'unità del blocco è apparso in funzione d'un più rigido fronte contro il titoismo, anche se altri delegati a Budapest lo hanno interpretato piuttosto come un invito per l'assente e riluttante Ulbricht ad allinearsi con i sovietici nelle trattative su Berlino. Sono le allusioni cifrate d'una politica tradizionale che la Jugoslavia è sensibilizzata a cogliere prima di tutti. I rapporti ufficiali con i sovietici restano di fredda, scolorita amicizia, polemiche che improvvisamente si accendono, schermate da falsi obiettivi e frasi generiche di deplorazione. Ora i jugoslavi — e per questo, forse, Tito si è deciso a parlare di pressioni sulla situazione interna — sembrano temere che i russi vogliano cominciare a incassare gli utili d'una crisi logorante: ritengono che all'interno incoraggino i fautori di un ritorno allo Stato autoritario, e sulle frontiere alimentino il nazionalismo dei vicini. I «falsi amici» L'allarme per il dopo-Tito comincia con anticipo, anche se resta obiettivamente difficile da capire quanto nell'agitato momento della nazione sia determinato da macchinazioni anti-jugoslave. Qualsiasi voce viene raccolta in questo momento di sospetto: c cosi ieri a Zagabria il segretario dei comunisti croati Marinko Gruic. dopo avere attaccato a fondo le manovre dei bulgari, ha polemizzato anche con « alcuni circoli italiani che stanno conducendo alcuni giochi intorno alla zona B e oltre ». II vero pericolo resta comunque, per tutti, una possibile infiltrazione politica dall'Est. Nessuno si sente di dar torto al vecchio Presidente quando con uno scatto di malumore accenna al problema dei « falsi amici esterni ». I jugoslavi più nazionalisti delle varie repubbliche non sembrano assecondarlo con zelo nel ristabilire una politica unitaria, pure se alcuni cominciano a rendersi conto che le rivalità regioimli sono andate troppo avanti. La convinzione generale è che il maresciallo rappresenti l'unico punto di riferimento sicuro nella situazione, ma di fat lo pochi lo aiutano concre tamente. Gira a Belgrado una storiella illuminante. «A volte — si sfoga Tito — rimpiango i tempi di Ran- j kovic ». « Ma come — obiet¬ tano scandalizzati i suoi interlocutori — era un pericoloso filosovietico!». «Al tempo di Rankovic — dice Tito — c'era almeno uno che mi ascoltava, sia pure col registratore ». Giorgio Fattori Zagabria. Gente a passeggio nella « uliea » Ljudevita Gaya. L'inverno a Zagabria è già incominciato (Foto Grazia Neri)

Persone citate: Breznev, Christian Dior, Gaya, Grazia Neri, Kadar, Leonida Breznev, Marinko, Ulbricht