Vita e rivolta di Strehler

Vita e rivolta di Strehler "Nel fondo,, di Gorkij in scena al Carignano Vita e rivolta di Strehler Rieccoci a fare i conti con Strehler a dieci giorni dalla prima rappresentazione a Prato del dramma di Gorkij con cui, ventitré anni fa, il regista triestino inaugurava il « Piccolo Teatro » di Milano: non più tuttavia L'albergo dei poveri, come allora si chiamava, ma Nel tondo, che ripristina il titolo del 1902 tNa dne), più vago forse, ma più essenziale, di quello originario, Nel fondo della vita, e da Gorkij stesso accorciato su consiglio di Stanislavskij quando questi lo mise in scena con il Nemirovic-Dancenko al Teatro d'arte di Mosca. Il cambiamento non è casuale e già basta ad indicare il cammino compiuto da Strehler dal naturalismo a un realismo critico « che accetta oggettivamente le situazioni drammatiche e anche la psicologia, se occorre addirittura la patologia, dei personaggi », ma che sa anche andare oltre quelle e scavare dentro queste. Già, il melodramma: il testo di Gorkij non lo evita, e neppure Strehler che, quando è necessario, ci si butta senza infingimenti ma che lo isola e 10 guarda con il dovuto distacco, ben sapendo che già a Gorkij premeva non tanto la zoliana uccisione del padrone dell'ospizio quanto la condizione e il destino dei diseredati che in quel tetro luogo si rifugiano. Quale condizione e quale destino? Anzitutto: se nel 1902 il socialismo, sulla scena, era ancora un'attesa messianica i cui echi risuonano nel teatro di Cechov (tranne 11 giardino dei ciliegi, già tutto scritto), Gorkij moltiplica e ispessisce quegli echi. Con lui, il socialismo irrompe davvero in palcoscenico, sia pure con le indeterminatezze e le contraddizioni di un ruvido ma franco populismo. I suoi vagabondi — e Strehler, che è un socialista e anche un populista, lo legge senza fatica nelle pie ghe del testo — hanno il presentimento che la loro « non è la condizione umana, immutabile, senza fine, ma è una condizione umana, anzi disumana » e che nel loro destino non romba l'Ecclesiaste o strepitano le maledizioni calviniste: quel destino, e l'angoscia che ne deriva, so no « il prodotto assai concreto di una Struttura (o Sistema, o come si voglia chia mare) ». Senza forzare il testo, ma sciogliendone la rigida e tradizionale divisione in quattro atti in un flusso ininterrotto di « momenti » che, sotto una rozza trama, formano il tessuto segreto del dramma, è qui, « nel fondo » appunto, che Strehler s'inoltra nei desolati deserti o si mura nelle squallide stanze dell'universo beckettiano. Egli non ignora che, dagli Anni Quaranta ad oggi, i pittoreschi « barboni » di periferia, ai quali lui stesso ha scovato degli antenati nei refettori del Nost Milan, si sono ammucchiati nelle baracche delle bidonvilles o in quelle comunità di hippies che hanno detto di no alla vita. Ma Strehler respinge ogni giustificazione esistenziale, la colpa è della società che respinge questo sottomondo, questi esseri « out »: sfido, sono la sua cattiva coscienza. Certo, l'alberello che nel secondo tempo porta un timido tepore di primavera sul nudo pancaccio dove, come mucchi di stracci, si buttano i ladri gli ubriaconi le prostitute e i falliti di Gorkij (è un semplice praticabile e, con un'enorme stufa, il solo elemento dell'impianto scenico niente affatto naturalistico di Ezio Prigerio), quell'alberello non porta un cartellino che dica: dono del signor Godot. Ma, per quanto sottili e delicate, le allusioni non sono impalpabili. Si pensi al sitar (ancora gli hippies?) che, con gli effetti di luce e alternando la sua astrattezza con la concretezza di una popolaresca fisarmonica, segna i passaggi da un quadro all'altro secondo un ritmo scandito, arricchito e variato dai rumori familiari di una lima e di un martello, o di un treno che passa sferragliando (con lo svolazzo in più di uno sbuffo di fumo), e dalle urla animalesche di questi disperati. Ma al silenzio e al grido, Strehler antepone la parola: per lui, e per Gorkij, è vita e rivolta, grazie ad essa l'uomo si strappa all'immobilità e alla morte di Beckett. Ascoltiamo l'intellettuale Satin, che dello scrittore russo e del regista italiano è il portavoce, quando, avanzatosi alla ribalta, compita lettera per lettera la parola uomo intonandone un altissimo e commosso elogio. Ascoltiamo questo eccellente Franco Graziosi accanto a Renato De Carmine, che riscatta con la malinconia la fatuità del Baione, mentre dietro ad essi il sipario si chiude per metà incorniciando nel fondo l'Attore, al quale Giancarlo Dettoli presta una nevrosi che basta un lampo perché dalla simulazione e dall'ostentazio ne trapassi in autentica sofferenza. E' un momento di gran teatro: lo Spettacolo muore (l'Attore finirà con l'impiccarsi) perché non riesce più ad esprimersi con la Parola, ciqdtsmsprddsgLttctttc costretta a traboccare oltre il velluto rosso, a scendere quasi tra il pubblico. Ricordate nei Giganti della montagna il sipario di ferro che stritolava la carretta dei comici? E' un'autocitazione, lo spettacolo ne ribolle, e ci riporta a Pirandello, come le recite dell'Attore fra due candele, un lenzuolo e l'ombra di una morente dietro di esso, o come il sottile interrogarsi sulla verità del vecchio Luca del quale Antonio Battistella giustamente e sapientemente scopre a poco a poco i tratti negativi ammantati di un'ipocrita e umiliante pietà per il prossimo. Tra gli altri interpreti, e tutti vanno citati, Gianfranco Mauri recita con un som¬ messo controcanto la parte del Bottegaio che il regista ha precisato come ebreo, allo stesso modo che ha mutato in un negro (Alfred Thomas) il tartaro Hassan, e Giorgio Del Bene caprioleggia nella figurina di Alioscia un tempo interpretata dallo stesso Strehler, Giustino Durano sembra uscito da Fin de partie, Carlo Cataneo, Cip Barcellini, Eligio Irato e Massimo Sarchielli compongono i loro vagabondi con l'amore e la cura con cui Marisa Fabbri (aspra e torva Padrona), Mariella Zanetti, Marisa Minelli, Luisa Rossi e Saviana Scalfì infondono un barlume d'anima nelle sventurate compagne di costoro. Riascoltando ieri sera al Carignano questi bravi e coraggiosi attori del gruppo « Teatro e azione » ( molto applauditi: e va aggiunto che, rispetto alla rappresentazione di Prato, parecchi compiacimenti e languori sono caduti, è bastato stringere appena appena i tempi), si ripercorreva davvero una carriera e una vita (centosettanta spettacoli!). Eppure non era affatto una commemorazione. Strehler rimane fedele a se stesso e al suo mondo (e perché non dovrebbe?), ma i monumenti se li innalza andando avanti e approfondendo il proprio lavoro. Alberto Blandi LE AVVENTURE DE IL GENERALE PEJO CHE VI RICORDA Aranciata. • Limonata » Chinotto Cedrata « Gin Fizz Ginger » Acqua Tonica Bitter e Ginger aperitivi analcoolici Pejo Cola Acqua oligominerale Pejo BEVETE TRANQUILLI! E' PEJO sordità: protesi acustiche PHILIPS Provatele a: Torino: Acustica Vacca - Via Sacchi, 16 Telefono 519.992 Acqui Terme: Sanitas di Nerni - Via Carducci, 7 Telefono 28.37 Biella: Fotostampa - Via Gramsci. 10 Telefono 25.510 Cuneo: Farm. S. Cuore (Dr. Cav. Ferraris) - Cso Nizza, 13 - Telefono 33.42 Ivrea: Casa della Musica di Mussano - V. M. D'Azeglio, 18 - Telefono 25.86 Chiedete PHILIPS Nome Indirizzo Citta opuscoli P.zza IV CRAfiS. Novembre, inviando questo tagliando 3 - 20124 MILANO tel. Salone de Libreria Concessionaria dell'Istituto Poligrafico dello Stato Via Roma, 80 - Tel. 517.958 Pubblicazioni legislative, raccolte di leggi speciali e capitolati d'appalto delle opere dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici LA STAMPA CENTRO TAPPETI PERSIANI VIA BERTOLA 15 Prezzi speciali fino a Natale per nuova apertura Telefono 538-455 - Fratelli Mohcbban Per regali: Offerta Bclucislan a partire da L. 20.000

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