Nessun limite alle possibilità Usa di Mario Ciriello

Nessun limite alle possibilità Usa OTTIME PREVISIONI DOPO QUALCHE INCERTEZZA Nessun limite alle possibilità Usa (Dal nostro inviato speciale) Washington, novembre Come tante altre industrie americane — dall'automobilistica a quella dei giocattoli — anche la petrolchimica sarà lieta di dare l'addio al 1970. E' stato un anno di incertezze, con l'economia nazionale in un amaro limbo tra inflazione e recessione. La terapia si sta rivelando più difficile del previsto, le difficoltà potrebbero prolungarsi per vari mesi e, fino allora, anche la petrolchimica — un settore tanto legato alle disponibilità, ai desideri e ai gusti dei consumatori — dovrà navigare con prudenza. Ma per il futuro, soprattutto a lungo termine, tutte le previsioni sono ottimistiche. « Non vedo limiti all'avanzata della petrolchimica », dice M. L. Rathbone, ex presidente della Standard OH di New Jersey. Prima di guardare al futuro, osserviamo il passato e il presente. Gli esperti chiamano il ventennio tra il 1920 e il 1940 l'« epoca delle esitazioni », quando l'industria petrolìfera statunitense si avventurò sul terreno della petrolchimica, ma con grande cautela e molti dubbi. L'industria petrolchimica vera e propria nacque e maturò durante la guerra, quando l'America — come altre nazioni — dovette sostituire con derivati del petrolio beni resi inottenibili dalle ostilità. Successivamente, tra il '46 e il '55, la petrolchimica si rinnovò e si irrobustì: e fu, così, « con muscoli da leone e agilità da gazzella » — come dice vividamente un suo biografo — che entrò nel periodo d'oro, dal '55 al '66. In quegli anni, il ritmo d'espansione della petrolchimica fu due, tre volte più rapido di quello di tutta l'econo- mia. Decine di aziende, gran- j di e piccole, si unirono a f quelle che già erano penetrate nel nuovo « eldorado ». «Fu una rivoluzione senza precedenti — mi narra un esperto —. Le società chimiche si integravano con le petrolifere, le petrolifere con le chimiche. Ogni giorno portava nuove scoperte, nuovi perfezionamenti ». Con il '66, dopo la corsa impetuosa, quando la capaciti cominciò ad essere superiore alle necessità, cominciò la fase di assestamento e ridimensionamento. Ora, non appena la crisi economica allenterà il suo morso, l'industria dovrebbe essere pronta per un nuovo balzo. « Quattro grandi » dominano la scena della petrolchimica: Du Pont de Nemours, Union Carbide, Monsanto e Dow Chemical. Così come la General Motors torreggia sulle altre aziende automobilistiche, la Du Pont de Nemours primeggia, per dimensioni, in questo campo. La Du Pont, quindicesima nella lista delle grandi « corpora tions » statunitensi, vendette nel '69 per oltre tre miliardi e seicento milioni di dollari, con un « reddito netto » di 365 milioni di dollari. Gli investimenti all'estero della Du Pont sono saliti da duecento milioni di dollari nel 1958 ad oltre un miliardo, pari al quindici per cento di tutti gli investimenti della società. Nella sola Europa, la Du Pont ha una ventina tra filiali e consociate, con diciannove stabilimenti e vari centri di ricerca. I Du Pont La paternità di questo gigante spetta a Eleuthère Ireneo Du Pont de Nemours, un allievo di Lavoisier, che, venuto in America, cominciò nel 1802 a produrre « polvere nera » in una fucina sulla riva del fiume Brandwine, nel Delaware (è in questo Stato che sorgono, ancora oggi, gli uffici dei principali stàbilimenti). L'espansione fu rapida. L'America aveva fame di esplosivi, non tanto per le guerre quanto per l'agricoltura, l'industria, le strade, le ferrovie, per domare un continente. Nel 1880. la Du Pont cominciò a produrre nitro¬ glicerina e dinamite; nel 1904 una nitrocellulosa per usi in dustrialì; nel. 1917 coloranti; nel 1931 gomma sintetica neoprene; nel '38 il nylon, una delle grandi invenzioni del secolo. Oggi, la gamma della Du Pont è vastissima, dalle fibre alle sostanze plastiche. Il nylon, il poliestere Dacron e l'acrilico Orlon costituiscono un terzo delle sue vendite. La Union Carbide Dopo la Du Pont viene la Union Carbide, con un fatturato di quasi tre miliardi di dollari. Poi Monsanto, con un fatturato di quasi due. Indi la dinamica Dota Chemical, con vendite per un miliardo 797 milioni di dollari. I « quattro grandi », che fanno dell'America il massimo produttore mondiale di « Chemicals » — il 35 per cento — sono tutti attivissimi sulla scena europea e hanno ambiziosi programmi per cogliere i frutti d'un Mercato Comune allargato. La Dow Chemical ha costruito un proprio impianto a Terneuzen, in Olanda, da dove esce buona parte dei prodotti un tempo inviati dai suoi stabilimenti oltre Atlantico. La Monsanto ha vaste attività in Inghilterra: produce polietilene nonché Acrilan — concorrente dell'Orlon — e nylon. Altri nomi. La Minnesota Mining and Manufacturing, che però agisce anche in altri cciìori; Allied Chemical; Celanese; Olin; American CyanamiC; Sìauffer Chemical; Sherwin-Williams; Rohm and Haas. A questo punto però bisogna citare anche i nomi delle aziende petrolifere inseritesi profondamente nel settore petrolchimico. E' un fe nomeno importantissimo. Le attività petrolchimiche di alcune di queste società sono pari a quelle di grosse im prese. Basti ricordare la Humble, la Gulf, la Texaco, la Standard of California. Questa penetrazione raggiunge il culmine nel 1962, quando ben il quaranta per cento de gli investimenti nell'industria chimica provenivano da aziende « estranee », cioè petrolifere. Quattro anni fa, si ebbe un'altra « punta ». poi la ten¬ denza sì è rovesciata, la pressione dei colossi petroliferi è diminuita. Il problema però rimane, ha qualcosa di amletico. Il petrolio è la materia prima dell'industria petrolchimica, e ne determina l'andamento. Naturale quindi che le aziende si chiedano se non sia meglio affrancarsi dai petroliferi, costruendo proprie raffinerie o impianti per « cracking ». Qualcuna avanza lungo questa strada, o solo in parte o esita. E' naturale però che i ricchissimi fornitori, le « OH Companies » con la materia prima a disposizione, dedichino parte delle proprie risorse alla petrolchimica. Nessuno può prevedere cosa porterà il futuro. Potrebbe prevalere una tendenza come l'altra. Dipenderà da molti fattori. Come abbiamo detto all'inizio, le prospettive per la petrolchimica americana sono considerate eccellenti. L'industria è cresciuta ad un ritmo annuo dell'8,5 per cento; e, poiché la domanda di prodotti petrolchimici dovrebbe salire fra il '70 e V80 al tasso annuo del nove per cento, l'espansione, salvo sorprese, sembra destinata a continuare. Vero è che calano i profitti, e il '70, con le sue tribolazioni economiche, è un anno particolarmente amaro. Nel terzo trimestre del '70 — apprendiamo dall'associazione di categoria — i profitti sono scesi, in quasi tutte le aziende, da un minimo del sette ad un massimo del cinquanta per cento. Immutato invece il reddito delle società petrolifere con interessi petrolchimici. Di tutte le industrie, la petrolchimica è tra quelle con la più alta percentuale di investimenti nel settore ricerche: ed è tra le ragioni del suo successo. La Du Pont ha 114.000 dipendenti: di essi, 1500 sono scienziati. La petrolchimica — dice un esponente — « ha ancora molte frontiere da superare -. Basta un esempio. Grazie uda biosintesi, trasformando soltanto l'uno per cento dell'attuale produzione quotidiana di petrolio, si può eliminare la carenza di proteine in tutto il mondo. Mario Ciriello

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