Strehler al lavoro

Strehler al lavoro (Dal nostro inviato speciale) Prato, 7 novembre. 14 maggio 1947: a Milano, con L'albergo dei poveri di Gorki messo in scena da Giorgio Strehler, nasce il « Piccolo Teatro »; 13 novembre 15)70: a Prato, con lo stesso dramma, anche se il titolo è mutato, e con lo stesso regista, si apre la seconda stagione di « Teatro e azione », il gruppo che Strehler ha riunito intorno a sé due anni la quando ha lasciato, tra non dimenticate polemiche, la condirezione del « Piccolo ». « Che cosa c'è stato tra il 1947 e oggi che possa dare un senso a questa ripresa del testo di Gorki? » chiedo a Strehler durante una prova sul palcoscenico del « Metastasi ii a sei giorni dalla prima rappresentazione. « Ma una vita — tuona lui — unimmo che ha fatto centosettanta spettacoli » ed è chiaro che non intende rispondere a una domanda, buttata li solo per avviare il discorso, o per accendere la miccia, quanto prevenire le obiezioni di coloro che ricameranno su questo ritorno alle origini per ripetere che Strehler è ormai finito, che non ha più niente da dire, che non fa altro che commemorarsi. Un uomo finito? Davvero non ho avuto questa impressione vedendolo provare per sei, sette ore e poi, ancora, ascoltandolo per altre tre ore filate mentre parlava di sé e del teatro, delle sue speranze (poche) e delle sue amarezze (molte). Le prove di Strehler sono sempre lezioni di altissimo teatro, anche quando tendono irresistibilmente a trasformarsi in un vero e proprio recital sul tema « Come Lavora Un Grande Regista », se Strehler sa che vi assistono persone estranee allo spettacolo. Strehler recita con gli attori, ne anticipa e ne accompagna le battute, su ognuna delle quali, fosse anche di una sola parola, è capace di fermarsi a lungo rifacendo e moltiplicando la storia 2el personaggio a cui essa tocca e magari dell'interprete che deve pronunciarla. Poche ore con questo regista che corre instancabilmente su e giù per la platea, sale , e scende mille volte la scaletta che porta in palcoscenico per correggere un'intonazione o inventare un gesto, e subito si capisce che cosa veramente sia il teatro, la fatica che esso costa, il lavoro di scavo e di approfondimento che può essere fatto su un testo, e non importa se lo spettatore non lo saprà mai, è un suo diritto non saperlo, importa che percepisca l'insieme che è, appunto, il risultato di cento e cento particolari amorevolmente e accanitamente studiati, provati e riprovati. Perché ancora Gorki, dunque? « Non nego — spiega Strehler — che in principio vi fosse un fatto sentimentale. Quando mi offrirono, o meglio fecero finta di offrirmi, la direzione dello Stabile di Roma, mi venne in mente che mi sarebbe piaciuto ricominciare con lo stesso lavoro con. cui vent'anni prima avevo inaugurato il primo teatro italiano a gestione pubblica del dopoguerra ». Ma dopo? Be', Strehler si è riletto il testo, ne ha riesplorato il retroterra — Mosca 1902, il Teatro d'Arte, Stanislavski, la cui fotografia nella parte di Satin campeggia ora sul manifesto dello spettacolo — e si è accorto, ad esempio, che il titolo originale « Nadne » (Nel fondo) aveva un significato più indefinito, e più universale, di quello assunto nelle versioni tedesche e francesi, e l'ha ripristinato. Arrischio un'interpretazione: « Si può dire allora che in questi venti anni ci sono stati i "barboni" del Nost Milan, i vagabondi di Beckett, magari anche gli hippies? ». Sì, in un certo senso si può dirlo, e a questo punto è chiaro che Strehler non si limiterà affatto a ripetersi. Lui stesso, del resto, ricorda confusamente la sua messinscena del '47, sa soltanto che era tremendamente naturalistica (« Dopo tanto fascismo — dice — eravamo tutti affamati di realtà»), mentre questa non lo sarà (« nemmeno il testo lo è») anche se ci saranno i suoni e i rumori della vita: il treno, ad esempio, il cui passaggio tecnici e attori imitano a turno tra le quinte con mezzi rudimentali e che tuttavia, assicura Strehler, nessuna registrazione dal vivo riuscirebbe a riprodurre meglio. Artigianato? Strehler ne è fiero: « La nostra è una cooperativa, il foglio-paga degli attorie di 360 mila lire, quello dell'intero gruppo di 28 persone, tecnici compresi, è \ di 542 mila lire, nessuno prende più di 25 mila lire al giorno, l'allestimento è costato 11 milioni». Una pausa, poi soggiunge: « Ma nessuno ci ha aiutato, il premio di avviamento lo danno dopo due mesi di repliche, se non fosse stato per i 20 milioni del Comune di Prato che si è uni- 'glcodiriavinpucupechli Incontro col regista, tornato al palcoscenico Strehler al lavoro In un teatro di Prato, sta allestendo una nuova edizione dell'« Albergo dei poveri» di Gorki: l'opera con cui, 23 anni fa, aprì il Piccolo di Milano - « Da allora è passata una vita» - Poche speranze, molte amarezze, e una fede sempre viva nell'arte della scena - La compagnia è una cooperativa, nessuno guadagna più di 25 mila lire il giorno - «Eppure gli Stabili danno ad alcuni attori 100 mila lire per sera» 'gloriale (ma prima lo spettacolo andrà in tournée, il 24 di questo mese sarà al Carignano di Torino), non avremmo potuto nemmeno incominciare ». Ora Strehler sbotta: « Eppure gli Stabili danno ad alcuni attori anche centomila per sera (tra parentesi, altro che Santa Giovanna « dei milioni », come è stato mali¬ gnamente ribattezzato l'ulti-1 sta che il mondo ci invidia mo suo spettacolo, Strehler è sicuro che la paga più alta era meno della metà), il teatro italiano affonda, non esiste più. se si va avanti di questo passo, potrebbe essere la mia ultima regìa ». Ecco, gli è scappata. No, non voleva dirlo, forse neppure lo pensava. Ma si può comprendere la pena di un regi- e di cui tuttavia ci si ricorda soltanto per attaccarlo o per stupirsi che rifiuti lo Stabile di Roma (quando gli stessi che glielo offrono danno l'impressione di fare di tutto per impedirgli di accettare). No, Nel fondo non sarà l'ultimo spettacolo del gruppo « Teatro e azione », né l'ultima regìa di Strehler da noi. Ma sì conoscono le offerte vantaggiosissime che egli ha ricevuto, e continua a ricevere, da altri paesi. « Se in Italia non mi vogliono — conclude scuotendo malinconicamente la testa — potrei un giorno dire di sì a Berlino o a Londra o a New York ». Alberto Blandi 4 D di l Ci