Scoppiano 2 bombe nel cuore di Tel Aviv Un morto, 34 feriti; vasti rastrellamenti di Igor Man

Scoppiano 2 bombe nel cuore di Tel Aviv Un morto, 34 feriti; vasti rastrellamenti Le esplosioni mentre il premier Golda Meir torna in Israele Scoppiano 2 bombe nel cuore di Tel Aviv Un morto, 34 feriti; vasti rastrellamenti L'attentato attribuito ai « fedayn », che vorrebbero far fallire la tregua - Mònito di Dayan al Cairo: «Se tenterete di rompere l'armistizio, non ci sarà pietà per l'esercito egiziano» (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv, 6 novembre. Giornata drammatica: un attentato terroristico nel cuore di Tel Aviv (un morto, trentaquattro feriti), dure dichiarazioni di Dayan: « Metto in guardia il presidente Sadat: se dovesse dar corpo alle sue minacce di rompere la tregua, non ci sarà pietà per l'armata egiziana ». Alle 13,15, in coincidenza con l'arrivo di Golda Meir, una bomba ad orologeria è esplosa alla stazione degli autobus: venti minuti dopo ne è esplosa un'altra all'altezza del « Cinema Centrale ». La gente è corsa nei rifugi, ì negozianti hanno abbassato le saracinesche, la polizia ha sottratto a stento al linciaggio alcuni arabi che si trovavano sul posto, chiudendo al traffico per molte ore la zona dell'attentato. Fra i molti arrestati figurano degli israeliani che hanno aggredito gli arabi, ricoverati in ospedale insieme con le vittime delle esplosioni. Le due bombe erano di scarsa potenza (250 grammi luna), ma il posto e il giorno scelti per farle esplodere avrebbero potuto renderle più disastrose: alla vigilia del sabato, giorno di testa, migliaia di persone prendono gli autobus delle linee interurbane. L'attentato ha provocato un'impressione enorme. Qui si dà per sicuro che sia opera dei fedayn, i quali, « nel primo giorno della nuova tregua, hanno inteso affermare sanguinosamente come non intendano rispettarla ». Poiche la frontiera con la Giordania è praticamente invalicabile e nello stesso regno hashemita, e nel Libano, i loro movimenti vengono controllati, non gli rimane, per colpire Israele, che « il terrò rismo urbano ». Ma i primi a pagarne le conseguenze « saranno gli arabi israeliani e dei territori occupati che si vedranno esposti una volta di più ad accresciute misure di sorveglianza e controlli ». L'ultimo grave attentato che si ricorda a Tel Aviv risale al 4 settembre 196S (quattro morti, cinquanta feriti), compiuto quasi alla stessa ora e nei medesimi luoghi. Le bombe erano state poste nelle cassette dei rifiuti, questa volta in un furgone e nel vano d'una finestra. Allora ci fu una violenta reazione contro gli arabi della vicina Giaffa. Oggi non ci sono stati disordini nella « città araba » che tuttavia è presidiata dai poliziotti; alcuni locali rimangono chiusi. Il 24 giugno del 1969 un'automobile con cento chili di tritolo scoppiò da¬ AI vanti alla casa di Ben Gurion nei quartieri alti di Tel Aviv, ma alle 2 del mattino, così non ci furono vittime. Il ministro della polizia, Chlomo Ilillel, in una intervista alla radio, ha invitato il Paese « a non raccogliere le provocazioni ». I dinamitardi — lia affermato — vogliono turbare la coesistenza pacifica fra ebrei e arabi: « Prenderemo le misure necessarie per proteggere le minoranze ». Rispondendo ad una domanda il ministro ha aggiunto: « Non cambieremo la nostra politica verso gli arabi di Israele e dei territori da noi amministrati. Sappiamo che la maggior parte di essi vogliono solo vivere in pace e disapprovano questi attentati criminali ». E' certo un caso che le bombe siano esplose in concomitanza con l'arrivo di Golda Meir e quasi a contrappunto delle dichiarazioni di Dayan. Tuttavia la coincidenza ha turbato l'opinione pubblica. Gli osservatori diplomatici sì mostrano « sorpresi » del tono minaccioso di Dayan, che ha parlato a una riunione del club degli ingegneri. « Oggi entriamo nel primo giorno della seconda tregua » — ha detto Dayan — « durerà tre mesi come la precedente? Non saprei dirlo, perché il Presidente egiziano ci minaccia. In ogni caso esiste una profonda differenza tra la vecchia e la nuova tregua. La prima venne sottoscritta dopo un'intensa attività diplomatica e gli sforzi dei nostri amici di Washington. Gli egiziani ricevettero assicurazioni precise dall'America specialmente sulle forniture di armi a Israele e circa l'esecuzione del " piano Rogers ". La seconda è entrata in vigore perché conveniva sia agli arabi sia a noi; ma poiché non mi risulta che questa volta ci sia stata una pressione diplomatica americana, non ci riteniamo vincolati ad alcun obbligo verso gli Stati Uniti ». Israele si ritiene autorizzato, secondo Dayan, a reagire in qualsiasi momento l'altra parte, a suo giudizio, violasse la tregua. Ha forse voluto sottintendere il generale, si domandano gli osservatori diplomatici, che Israele non tollererà più spostamenti di missili sul Canale? Israele reagirà alla prima violazione, vera o presunta che sìa, del « cessate il fuoco »? Dayan in verità ha solo detto che poiché oggi gli S. U. non garantiscono la tregua. « nulla ci impedirà di rispondere ad " iniziative militari " del nemico ». Ma la vohita ambiguità del duro discorso è motivo di seria inquietudine per gli osservatori diplomatici. Igor Man