Gioco d'azzardo di Brandt di Giorgio Fattori

Gioco d'azzardo di Brandt LE TRE INCOGNITE DELL'APERTURA A ORIENTE Gioco d'azzardo di Brandt Il Cancelliere affretta i tempi: discute con Varsavia il riconoscimento della frontiera sull'Oder-Neisse e attende le proposte sovietiche su Berlino - Ha contro di sé i democristiani, i nazionalisti e i profughi: il presidente degli slesiani, socialdemocratico, mi dice che voterà contro il suo partito - La sorte del governo è legata alle offerte di Mosca, alla compattezza della maggioranza e all'esito delle elezioni regionali: domenica in Assia, il 22 in Baviera (Dal nostro inviato speciale) Bonn, novembre. Nella stanza numero 24 della Cancelleria di Bonn, Willy Brandt si prepara ad affrontare un novembre difficile, e forse decisivo, per il suo governo. Socialdemocratici e liberali sono al potere da un anno, appena un prologo in confronto ai venticinque ininterrotti di leadership democristiana. Ma è stato un avvio'sensazionale. Hanno firmato il trattato di Mosca e ora si accingono a sottoscrivere quello di Varsavia. A Erfurt e a Kassel hanno aperto il dialogo con la Germania di Ulbricht e adesso stanno per riprenderlo, con in gioco la posta più grossa: Berlino. A passo di corsa La Ostpolitik va a passo di corsa, secondo il temperamento impetuoso e la strategia politica di Brandt, ma. potrebbe inciampare su un ostacolo in partenza imprevisto. Per la prima volta i tedeschi sono chiamati a giudicarla dai risultati, votando domenica prossima alle elezioni regionali dell'Assia (il Land con capoluogo Francoforte) ed il 22 novembre nella Baviera oltranzista di Franz Joseph Strauss. Sono elezioni che potrebbero travolgere definitivamente il partito liberale e mettere in crisi di riflesso la fragile maggioranza governativa al Parlamento di Bonn. Così, mentre Brandt brucia i tempi del trattato polacco, l'ipotesi limite è questa: ì democristiani di nuovo al potere entro Natale, nel ruolo di salvatori dei confini e di revisori cauti e severi della politica verso l'Est della Germania federale. In un clima incerto e volubile, di tensione politica e di colpi di scena a sfondo elettorale, la Ostpolitik sale e scende ogni giorno nelle quotazioni di Bonn come un titolo in Borsa: un vago attacco dei giornali di Ulbricht ai « revanscisti in agguato » basta a deprimerla, la visita lampo a Francoforte di Andrei Gromyko crea l'euforia del rialzo. Gli osservatori stranieri discutono da due mesi se Brandt si sia fatto intrappolare da Breznev con generiche promesse su Berlino, oppure se le quattro ore di colloquio segreto a Mosca celino un concreto impegno dei sovietici per l'ex capitale. Ogni giorno si rifanno calcoli e congetture. Dopo la fuga a destra dì tre deputati liberali, i socialdemocratici in Parlamento hanno sei voti di maggioranza. Bastarono per-un certo periodo al governo di Adenauer e potrebbero bastare anche a quello di Brandt. Ma altri due liberali segretamente pencolano e, secondo alcuni, se le elezioni in Assia e Baviera andranno male per il loro partito, passeranno all'opposizione. Il governo si troverebbe cosi con due soli voti di vantaggio ad affrontare le battaglie decisive della sua politicarla ratifica dei trattati con Mosca e Varsavia. Willy Brandt spingerà avanti quello dei due patti che al momento avrà le maggiori speranze dì votazione favorevole. Il complesso accordo con i sovietici ha chiuso il dopoguerra e aumentato il prestigio internazionale della Germania, ma lascia in sospeso il futuro dì Berlino; un sondaggio ufficioso ha confermato quanto era nell'aria: senza una soluzione almeno parziale dei problemi dell'ex capitale (facilitazione nel traffico di merci, libertà di movimento dei berlinesi dell'Ovest) il trattato sarà combattuto in Parlamento con l'opinione pubblica schierata a fianco dell'opposizione. L'imminente accordo con Varsavia sembra offrire una minore presa emotiva, ma con un'incognita ancora difficile da valutare: il peso politico dei profughi. L'irredentismo Al quindicesimo piano d'un grattacielo riservato a uffici di funzionari e parlamentari, incontriamo Herbert Hupka, deputato socialdemocratico e presidente dell'associazione profughi della Slesia. « Personalmente, come la maggioranza dei rifugiati — dice il dottor Hupka, scegliendo con attenzione le parole, — sono contrario al riconoscimento di una linea di confine Oder-Neisse. E' una questione che dev'essere ridiscussa con il trattato di pace, senza concessioni anticipate da parte nostra. Ci sono poi due punti essenziali da mettere in chiaro: i diritti di un milione e centomila polacchi di lingua tedesca che non hanno scuole, chiese e nemmeno giornali comunisti nella loro lingua. Poi il diritto 1 ll'emigrazione in Germania di 270 mila abitanti, come da loro richiesta. Parlo di 270 mila per stare alla cifra ufficiale, ma risulta che almeno mezzo milione di cittadini polacchi vorrebbe trasferirsi da noi ». Come concilia il dottor Hupka la sua posizione dì dirigente socialdemocratico con il rifiuto del trattato di Varsavia? «Non sono stato io a cambiare, ma il partito — ribatte. — Nella campagna elettorale del '69 nessuno ha parlato di Oder-Neisse. Mi sento d'appoggiare una sola Ostpolitik, condotta di comune intesa con tutti gli Stati occidentali e che si limiti per ora a una ricerca di contatti senza legami definitivi ». Voterà dunque contro il trattato polacco? « A mio avviso uria crisi di governo dipenderà da come verrà stilato questo accordo. Esiste una disciplina di partito, ma c'è anche un articolo della Costituzione che impone di votare secondo coscienza. Sono cose che ho detto a Brandt e del resto una minoranza di deputati socialdemocratici la pensa come me ». Guatiti siano i suoi alleati in Parlamento il dottor Hupka non lo dice: solo afferma che « la disputa sarà condotta all'interno del partito ». Sembra un po' tardi ora che il ministro degli Esteri Scheel è . già a Varsavia deciso a firmare. Per evitare di essere battuto ai voti, Brandt ha scelto la tecnica del rilancio: portare avanti Z'Ostpolitik sino al punto di non ritorno, in modo da porre l'opposizione interna ed esterna davanti al fatto compiuto. « Si può discutere sui metodi — dice un dirigente sindacale socialdemocratico — ma la Ostpolitik è ormai accettata da tutti, fuor che da una retroguardia nazionalista e da demagoghi a buon mercato. Certo, ci aspettano sacrifìci dolorosi e la nostalgia dei profughi la comprendiamo: ma la guerra del '39 non l'abbiamo dichiarata noi ». Ricordi di Weimar E' questo l'argomento più forte dei socialdemocratici che chiedono una coraggiosa verifica della realtà politica, affrontando il problema polacco pietrificato dal 1945. Per loro è un destino che ritorna: già nel primo dopoguerra furono chiamati a firmare l'armistizio tedesco esponendosi ai violenti attacchi dei nazionalisti. La situazione di oggi è tuttavìa profondamente diversa anche nei meccanismi costituzionali, proprio per l'indimenticata esperienza della Repubblica di Weimar. Un voto di sfiducia non basta per rovesciare il governo. Occorre che l'opposizione abbia pronta una nuova maggioranza con un Cancelliere designato; ma l'equilibrio di forze in Parlamento non dà ai cristiano-democratici alcuna garanzia di governare a lungo più di quanto l'abbia oggi Willy Brandt. Resta l'alternativa delle elezioni generali anticipate. Le votazioni in Assia e in Baviera avranno un'importanza determinante per chiarire il gioco dell'opposizione. Una parte dei democristiani non vorrebbe precipitare le cose, lasciando ai socialdemocratici il compito di percorrere sino in fondo gli scomodi passaggi obbligati deZ/'Ostpolitik. Altri leaders del partito Cdu temono invece che, passata la bufera polemica dei trattati con l'Est, Willy Brandt si rafforzi c divenga inattaccabile sino alla scadenza elettorale del 1973. Il Cancelliere manovra fra queste incertezze, deciso a non cedere il potere sino a che avrà anche un solo voto di vantaggio in Parlamento. « La maggioranza è la maggioranza » ha ribattuto a chi gli faceva notare quanti nemici abbia la sua politica verso l'Est. Lo abbandoneranno i superstiti deputati liberali, ora che di nuovo si parla di disgelo a Berlino? Ancora quattro giorni fa negli uffici governativi di Bonn s'incontravano facce perplesse e sorrisi tirati dì un falso ottimismo. Tanto disperatamente atteso, « il segno » da Mosca adesso è arrivato. Ulbricht è uscito dal suo calcolato torpore e l'ipotesi di un accordo diretto fra le due Germanie sui problemi minori, ma vitali, dell'ex capitale sembra concreta e accettabile per i quattro grandi. L'Unione Sovietica, per dare una mano al pericolante governo Brandt, appare decisa a fare da calmiere sulle pretese crescenti della Germania dell'Est. Paura di Strauss Occorrerà vedere sino a che punto potrà premere, perché Ulbricht non è più il subalterno docile dei vecchi tempi. E' ancora più difficile che i sovietici riescano a convincere i polacchi ad accontentarsi per ora della « constatazione » della linea Oder-Neisse, come vorrebbe il governo Brandt, anziché ottenere il riconoscimento definitivo della frontiera, come paventano i profughi del dottor Hupka. Però l'atmosfera è improvvisamente cambiata e Brandt potrebbe anche vincere, senza pagarla con il posto, la scom; messa al buio dell'Ostpolitik. Qui l'opposizione risponde che l'apertura sovietica è una goffa manovra elettorale, per salvare i liberali dal naufragio in Assia e per non vedere schiacciati i socialdemocratici in Baviera sotto il grande Panzer della destra, Strauss. Può darsi sia vero e del resto le due elezioni, come vedremo, non saranno decise soltanto dagli alti e bassi della politica verso l'Est. Il difficile novembre è appena cominciato e le sorprese potranno essere molte. Soltanto fra qualche settimana si potrà capire se ancora una volta, come quarant'anni fa, la socialdemocrazia tedesca sarà « la magnifica vittima » immolata per pagare il conto della guerra. Giorgio Fattori