Ambrosio, il ragioniere padre del nostro cinema

Ambrosio, il ragioniere padre del nostro cinema Una retrospettiva per il centenario Ambrosio, il ragioniere padre del nostro cinema Nel 1904 il torinese « impressionò» due pellicole - Nel '13 la « Ambrosio film » produceva 12 film al mese, con i più grandi attori del tempo Con buona pace degli esteli, nel Genesi del Cinematografò è scritto: prima fu il produttore. Quando alla fine del secolo scorso il cinema tirò i primi vagiti, i più l'ebbero per un balocco, pochi lo presero sul serio, pochissimi capirono ch'era nato un gigante. Ma la gloria del torinese Arturo Ambròsio (cui il nostro Museo del Cinema dedica da oggi una mostra celebrativa), va più in là; fu d'aver intuito che il gigante era di specie danareccia, e d'essersi adoperato, tra i primi in Italia, a fargli trovare il campo adatto. Il magnifico produttore dei giorni nostri, fondatore e reggitore di cinecittà, scende dai lombi di quel ragioniere piccolo e vivace, simile a un personaggio di Venie nell'infatuazione per uno spicchio della Scienza, rincantucciato nella sua bottega di strumenti ottici e di apparecchi fotografici, situala in via Roma angolo via Caccia Reale, a tessere sogni col suo glande amico Roberto Omegna (che sarà poi il famoso operatore) , anche lui appassionato di fotografia e indocile alla routine. Tali sogni, che vertevano sulla produzione di « pellicole impressionate », presero corpo a un ritorno da Parigi nel luglio del 1904, quando Ambrosio, forte dell'acquisto d'una macchina da presa, si diede coll'amico a « impressionare » due grandi avvenimenti sportivi: La prima corsa automobilistica Sttsa-Moncenisio e Le manovre degli alpini al colle della Ranzola, presente la regina Margherita. Non passò un anno e sulla stradale di Nizza, al numero 187, la nuova « Film Ambrosio e C. » prese a sfornare film a soggetto, scritturando attori di compagnie filodrammatiche, ballerine ed equilibristi. E tanto crebbero, in Italia e all'estero, le richieste, che nel 1908 la Casa si trasformò in «Società anonima Ambrosio Film », con sede in via Santa Teresa e un primo teatro di posa in via Catania. Tre grandi colpi andarono a segno: Gli ultimi giorni di Pompei con Lydia De Roberti, i documentari di Omegna La caccia al leopardo (primo film esotico) e I centauri, esercitazione dei cavalleggeri a Pinerolo: e la fortuna dell'Ambrosio fu fatta. Ma il demone di quell'uomo, vero capitano d'industria, era di non fermarsi mai. Ingaggia scrittori attori fotografi chimici; con l'aiuto dello svizzero Zollinger e dei tecnici della Pathé impianta un'officina meccanica di precisione; affida a Omegna un attrezzatissimo reparto fotografico; sostituisce al teatro di posa di via Catania, che non regge più la spinta, il nuovo complesso di via Mantova, giudicato il più perfetto d'Europa. Non è che si favoleggiasse soltanto di acqua zampillante sui tetti per la refrigerazione, di elevatori e cabine tecniche, di ponti e passerelle scorrevoli, di sistemi di condizionamento dell'aria, di 42 camerini con bagno e persino d'una sartoria autonoma: queste cose c'erano davvero. Gli attori più celebri del tempo — dalla Tartarini-Capozzi (la prima « coppia ideale » dello schermo) a Bonnard, i'ebo Mari, Camillo e Giulietta De Riso, la Makowska, la Brignone, Cimara, Mozzato e tantissimi altri — entrano nell'organico dell'Ambrosio, suddivisi in troupes drammatiche e comiche, disciplinati da contratti triennali; e così dicasi, quanto a copia e a spirito d'ordine, degli operatori che s'aggiunsero a Omegna, dei registi (fra i quali lo stesso Ambrosio), dei soggettisti aggruppali in uno speciale « ufficio » che dal 1908 al 1915 fu retto dall'indimenticabile scrittore e memorialista Arrigo Frusta. Dopo il '13 l'Ambrosio batte so/i plein, producendo 12 pellicole il mese, fra drammi commedie e comiche. Oh giorni! La Duse (Cenere), Novelli {La gerla di papà Martin), Tina Di Lorenzo (La bella mamma. Scintilla) salirono sul set, e l'attrice americana Leslie Carter venne a Torino con tutta la compagnia Belasco apposta per girare La Du Barry. L'Oscar di allora (le 25.000 lire del concorso cinematografico bandito dall'Esposizione di Torino del 1911) andò a Nozze d'oro di Frusta; Gozzano e Omegna vinsero il premio de! documentario con Farfalle girato in Val d'Ayas. E codesta tensione durò senza strappi erniari la bellezza di circa vent'anni, fruttando una produzione complessiva di oltre un migliaio di film, molti dei quali applauditi in tutto il mondo. Anche dopo che la sua creatura fu assorbita da altre o entrò in nuove combinazioni,. Ambrosio, in quanto personalità di cineasta, sopravvisse con le sue inconfondibili caratteristiche d'intraprendenza e tenuta (Il giro del mondo di un biricchino di Parigi, La Nave, Teodora, rinfrescarono il prestigio della sua firma), retaggio naturale dell'entusiasmo bohémien che gli aveva dato la prima spinta. Ed è tutto merito suo, e vanto di Torino, se il cinema in Italia nacque appunto « torinese », cioè a scacchiera, su granitici fondamenti di distribuzione e d'ordine. Cosicché in grazia sua eravamo cinematograficamente grandi, eravamo quasi americani, e non lo sapc- Leo Pestelli La mostra dedicata ad Arturo Ambrosio, per il centenario della nascita, s'inaugura oggi pomeriggio alle 16,30 al Museo nazionale del cinema, in piazza San Giovanni (Palazzo Chiablese): fino a domenica 8 novembre, si terranno due proiezioni giornaliere di pellicole prodotte da Ambrosio, alle 17 e alle 21,15.