Gli ostaggi: "La libertà giunse mentre grandinavano proiettili" di Carlo Cavicchioli

Gli ostaggi: "La libertà giunse mentre grandinavano proiettili" Drammatico racconto dei primi ex prigionieri arrivati a Londra Gli ostaggi: "La libertà giunse mentre grandinavano proiettili" Chiusi in stanze minuscole in un campo-profughi, a pane, acqua e olive - « Per andare alla toeletta, si attendeva un intervallo fra le cannonate » - Quando i palestinesi fuggirono, uno dei sequestrati fece sventolare la maglietta in segno di resa: « Due ufficiali giordani vennero avanti sorridendo e ci abbracciarono. Eravamo salvi » dal corris pondente Londra, lunedì mattina. « Se dovessi esser preso in ostaggio un'altra volta da pirati dell'aria, vorrei avere gli stessi compagni di viaggio: non so immaginare gente più simpatica di quella con cui ho diviso ,la prigionia ad Amman ». Così il maggiore Fawkes Potts, uno degli otto ostaggi inglesi, comincia il racconto della sua dura odissea tra i palestinesi, protrattasi in un crescendo drammatico per circa tre settimane, dal giorno in cui il quadrigetto della Boac sul quale era in volo fu costretto ad atterrare su una pista in mezzo al deserto arabo. L'avventura è finita: tra i reduci sbarcati l'altra sera all'aeroporto londinese e accolti dal tumultuoso, commosso abbraccio dei familiari quasi quasi si coglie un senso di compiacimento per averla vissuta, visto che è finita bene. Il baffuto cinquantaquattrenne maggiore Potts ne ha fornito un resocondo preciso, da buon reporter. I palestinesi a guardia dei prigionieri, egli sottolinea, si comportarono « con tutta la cortesia concepibile nelle circostanze » e i momenti peggiori della vicenda, allorché la comitiva si trovò in mezzo al fuoco incrociato tra esercito e ribelli, non son da attribuire interamente a loro. I passeggeri trattenuti fu- rono messi su autovetture e portati in cima ad una altura, donde fu loro offerto lo spettacolo della distruzione degli apparecchi. « Era un'ottima posizione panoramica e la scena delle esplosioni fu di terrificante imponenza ». '/I pilota del « Ve 10 » della Boac, capitano Cyril Gouldborn, commentò ch'era doloroso vedere disintegrarsi così il suo aereo. I guerriglieri dimostrarono perizia e dimestichezza con gli ordigni: gli scoppi furon pressoché simultanei, le cariche erano state poste nei punti più vulnerabili degli aerei. Nei giorni successivi gli ostaggi, trasferiti e nascosti nella zona di Amman, camparono con una dieta di olive, pane ed acqua. Ma l'alimentazione dei palestinesi non era più ricca. « Tutto quel che avevano lo dividevano con noi, imparzialmente: appena arrivava un po' d'acqua, correvano a portarcela ». Agli otto inglesi eran stati uniti sei svizzeri e due tedeschi: il gruppo fu diviso e confinato in due locali, ciascuno di tre metri per tre metri e mezzo. Le stanze erano al pianterreno di un povero edificio del campo profughi di Al Wahdat, con muri non molto solidi di mattoni e fango. Gli ostaggi non sapevano dov'erano e ignoravano quanto stava accadendo nel frattempo in Giordania. La guerra civile li colse pressoché ignari, captarono solo qualche notizia frammentaria dai guardiani. Intorno e anche dentro al campo cominciarono a piover cannonate e colpi di mortaio. Nel morale dei guerriglieri si succedevano alti e bassi: ora esultavano per la distruzione di una autoblinda dei « regolari », ora tacevano cupi, e gli ostaggi temevan per la propria vita. « In verità — ha dichiarato il maggior Potts — è un'esperienza che non augurerei al mio peggior nemico». Dentro gli stretti locali, protetti solo da sottili pareti, bisognava far qualcosa perché i nervi non cedessero. Un altro, John Wallis, impiegato della Boac a Bahrein, ha raccontato di aver trascorso la maggior parte del tempo « dicendo preghiere e giocando a carte ». Per caso, scendendo dall'aereo, s'era tenuto in tasca un mazzo di carte. « Servirono per una infinità di partite: disputammo quattro campionati tra dipendenti civili contro piloti e mi¬ litari, vincendone due a testa ». La povera dieta araba non ha scosso gli inglesi. Mangiarono anche, senza batter ciglio, un piatto preparato dai due ostaggi tedeschi, i coniugi Jeschosch, cuocendo insieme pane e olive. « La difficoltà maggiore — ha spiegato il capitano Gouldborn — era la toeletta: per andarci si cercava di azzeccare un intervallo tra le cannonate, ma non sempre ci si riusciva ». Il culmine drammatico dell'odissea venne pochi minuti prima della liberazione: i palestinesi fuggirono dinanzi all'incalzare dell'esercito lasciando i prigionieri chiusi nell'edificio. « Udimmo gridare « Kallas » « Kallas », parola araba che significa « è finito » e pensammo che alludessero a noi. Poi scorgemmo i soldati- e uno dei no¬ stri compagni svizzeri corcò di sventolare fuori la sua canottiera in segno di resa. Continuavano a esploder proiettili tutt'intorno. «Qualche ufficiale deve aver capito, dei militari vennero avanti sorridenti, ci liberarono e perfino ci abbracciarono ». Carlo Cavicchioli

Persone citate: Cyril Gouldborn, Fawkes Potts, John Wallis, Kallas, Potts

Luoghi citati: Amman, Bahrein, Giordania, Londra