La passione di Bergman

La passione di Bergman LE PRIME SULLO SCHERMO La passione di Bergman (Centrale d'Essai) — Quattro sono i personaggi di Passione di Ingmar Bergman, ambientato, come già L'ora del lupo e La vergogna nell'isola di Farò, nel Baltico; e il più rilevato è il quarantottenne Andreas Winkelman (l'attore Max von Sydow), fatto misantropo e bisognoso di solitudine dopo un matrimonio infelice e alcuni attriti con la giustizia. Egli patisce di gravi problemi morali, e principalmente di quello dell'umiliazione, un male che la solitudine non risana, anzi aggrava; umiliazione di appartenere a un moftdo funestato dalla violenza e dalla morte, in cui l'uomo vive ai patti peggiori, cioè avendo perduto il rispetto di se stesso. Sarebbe il « monodramma » ideale, se quest'uomo selvatico non avesse intorno un po' di gente con cui effondere il suo eloquio. Sono: una coppia di coniugi, Elis ed Eva Vergerius (Erland Josephson e Bibi A.idersson), lui un architetto urbanista dalla lingua pungente, lei una donna sofferente d'insonnia e di complessi, e una loro amima, Anna Fromm (Liv Ullman, l'ultima moglie del regista), zoppa per un incidente automobilistico in cui ha perduto, forse per sua colpa, marito e figlioletto. E' costei che più turba la solitudine d'Andrea, saltandoci in mezzo con un confuso ba--1 gaglio di sentimentalismo e d'isteria. Amica, quale dice di essere, "della verità, ha invece il vizio di mentire; mente sul suo passato coniugale facendolo apparire senza ombre (sappiamo invece che ce ne furono), mente su se stessa proponendosi ad Andreas come amante e compagna ideale. L'uomo credulo le fa posto accanto a sé, ma se ne deve pentire. La loro unione non regge; le menzogne (in" buona fede) di Anna si ritorcono contro se stessa, facendole apparire insensato il disegno di guarire la nausea esistenziale del compagno; e dal suo canto Andreas capisce bene che quell'infelice persegue in lui l'ombra del marito morto. Seguono baruffe, alcuni schiaffi, e i due si lasciano. Andreas rimane nella sua solitudine, che più dolente, più flagellata non si potrebbe immaginare. Lasciamo le turbolenze addotte dalla televisione; ma, se il mondo tutto è un ritmo di dolore, come potrebbe andarne esente l'isola in cui egli ha cercato illusoriamente rifugio? Un uccellino che durante una tempesta sbatta contro l'imposta, si ferisca e debba essere ucciso basta a portarvi la tragedia. Oltre di ciò un branco di montoni è sgozzato ad opera di sconosciuti, e un innocente carrettiere, accusato del misfatto, si toglie la vita in conseguenza delle sevizie subite da quelli del villaggio. Alla fine del film un incendio distrugge tutte le stalle, l'isola si chiazza di sangue, Andreas (su cui non fanno presa i, nuovi approcci di Anna) si costringe all'ululato belluino come anima ratto. Passione, benché ci ritorni illimpictito dalla .traduzione italiana, rispetto all'originale visto a Cannes, resta, tra i lilm di Bergman, uno dei più impennati e difficili, mancando di un simbolo risolutore che riverberi la luce su tutti gli altri. Al suo ermetismo non è forse estraneo un principio di stanchezza, più che naturale in una produzione così affollata e senza stacchi come qilella di Bergman, giunto con questo al suo ventinovesimo film (e secondo a colori). Facto è che il dialogo sovrabooncta (sollecitato anche dal vecchio artifizio di convocare ogni tanto gli attori davanti alla macchina da presa perché rendano criticamente conto delle rispettive «parti»), sicché i tormenti di quei personaggi variamente tormentati danno vita a un oratorio concettuale, virtualmente senza fine, piuttosto che a una ritagliata visione. Ma sullo schermo le parole non operano, e la tragedia vissuta da quei verbosi resta come sospesa (non diciamo gratuita); affidata a una quantità di presupposti che sono poi i precedenti film, e perché non dovremmo dire?, la « maniera » di questo regista. Per fortuna la visione trova spesso dei varchi, ed è allora bellissima. Il filosofo o magari il filosofante, l'homo patiens (Passione è tramato di riferimenti autobiografici), sono trascesi in immagini di imiverso squallore, tanto più ammirevoli che si valgono d'una tecnica semplicissima e, nonostante il colore, disadorna. Sono quelle degli animali morti, dell'uccello sbattuto, e le tante che pongono in evidenza il rapporto tra il protagonista e il paesaggio desolato. Momenti e immagini in cui gli atti della vita, i più insulsi come i più strani, acquistano dignità di mistero, e il pathos di Bergman non batte più la campagna (o peggio, i salotti) ma si raccoglie sotto il tetto d'un felice simbolismo. Per troppi tratti, invece, Passione è astratto o misterioso soltanto per ideologico puntiglio, e quindi uri po' uggioso. 1. p. *

Luoghi citati: Andreas, Cannes