Salerno, un regista fra Proust e Flaubert

Salerno, un regista fra Proust e Flaubert LE PRIME SULLO SCHERMO Salerno, un regista fra Proust e Flaubert Anonimo veneziano: opera prima dell'attore, con la Bolkan (Romano) — Era scritto che Enrico Maria Salerno, attore fra i più pensosi e multicordi, dovesse pensare a fare un film; che lo facesse; che vi si mostrasse in possesso d'una tecnica già sicura o addirittura raffinata (la qual cosa, essendo ormai di quasi tutti gli esordienti, non desta meraviglia). Ma non era scritto, e torna a suo onore, che il film gli dovesse riuscire un così fedele ritratto del proprio temperamento. - Anonimo veneziano, che così s'intitola, per vaghezza, dalla prima denominazione del musicista Alessandro Marcello (se è proprio lui l'autore del famoso concerto per oboe e archi), è certamente un film prezioso e, sulla fine, un tantin manierato: pure non esce mai dall'anima salerniana e gode per intero; nel bene e nel meno bene, del raro beneficio ' della sincerità. Tanto che l'impressione (senza dubbio fallace, perché la sensibilità si riforma sempre) è che il sensibile autore vi si sia affatto svuotato. Il tema è unitario: l'elegia di un uomo a specchio di un'elegia di città (o viceversa); e la città è Venezia, condannata, Dio non voglia, a inabissarsi; e le due elegie sono mediate da quell'antica « perla » musicale. Ma tra i difetti del film dobbiamo mettere che risulta composto di due parti. La prima, che è la migliore, è d'approccio rispetto alla seconda, la quale porta un nodo che dovrà essere sciolto. Anonimi anche loro, due giovani coniugi veneziani, separati da sette anni, si rivedono nella loro città natale su richiesta del marito rimasto a Venezia. Studenti, s'innamorarono e si presero d'impeto, nascendone un bambino; poi l'unione andò in frantumi per il carattere difficile di lui, che anche oggi, in questo loro « breve incontro », può sembrare un qualunque anonimo « rivoltato » in rotta con la società borghese di .cui vede nella moglie, rifattasi una vita a Ferrara, accanto a un brav'uomo che s'è aftigliolato il bambino di lei e la'tiene come moglie, un irritante esemplare. Anche sembra ch'egli l'abbia fatta venire a Venezia soltanto per leticarci ancora una volta e rinfacciarle i suoi torti d'integrata; e poiché la donna, che è seria ma non mite, gli risponde per le consonanze, vediamo in iscorcio quel fallito matrimonio e le ragioni del suo fallimento, tra le quali principalissima è l'essere l'uomo un artista rientrato: sognava di diventare un grande direttore d'orchestra, è invece rimasto un semplice oboista della « Fenice »: cose che si ripercuotono in famiglia. Orbene questa prima parte, tenuta in un registro d'ira e di memorie d'amore (quei due sono ancora legati), è molto bella perché i caratteri vi concrescono per mosse improvvise e naturali e i ritmi psicologici d'una baruffa inconcludente si sposano al fisico vagabondare che i due fanno da una calle all'altra di una Venezia di maggio, con pochi veneziani e pochissimi turisti, dalla bellezza socchiusa e triste. Su questo tema « visuale » Salerno ha insistito fino a destare qualche allarme (cadono alcune vere e proprie cartoline illustrate), ma si aspetti la fine e si vedrà che sapeva quello che faceva. Nella seconda parte infatti, la consustanzialità di Venezia, e della sua oleografia, col personaggio del marito appare evidente. Da due parolette che gli sfuggono: « sto morendo », apprendiamo che la disperazione e il disordine di lui non dipendono da ragioni sociali ma fisiologiche. Un male altrettanto inguaribile quanto quello della sua città lo condanna a morte vicina: e s'egli ha richiamato la moglie, non era per leticarci ma per averla vicina, -un'ultima volta, su quel terribile pendio in cui gli s'affacciano tentazioni di suicidio. Qui il realismo dialettico che aveva improntato il dibattito viscerale dei coniugi separati, cede a un tono di patetismo obbligato. E' naturale: i « mali che non perdonano » ( si pensi a « Osvaldo », a « Margherita Gauthier») prendono essi la direzione delle cose. Dopo la commossa reazione della moglie, che in quel caldo offre volentieri al marito il suo corpo, a Salerno si presentavano diversi partiti.. Fare che la moglie, per pietà, abbreviasse quei pochi giorni di lui (la cosa è detta, ma non è fatta): il che sarebbe stato troppo drammatico. Scegliere una chiusa sorda, in tutta prosa, coi due che si lasciano con povere parole di cerimonia (è quello che avremmo preferito). Oppure produrre, sul tema del morire a Venezia, dell'estetismo raffinato. Così ha fatto il regista, ma sempre con sincerità e buon gusto. La visita a un'antica fabbrica di drappi, dove fra le la¬ gladredlezichsicspsular(cimelatebinndb grime balena la civetteria della donna, e la registrazione del concerto dell'Anonimo diretto dal marito (ultima soddisfazione di quell'infelice dilettante) introducono lo straziante distacco fra i coniugi che hanno scoperto di volersi ancora bene: le spettatrici piangeranno, ma anche gli spettatori, lancinati da quel suono d'oboe che manda via la donna senza parole, resteranno commossi. Così il film (alla . cui sceneggiatura ha collaborato Giuseppe Berto), impostato su toni di verità, entra e un poco svapora nella regione dell'eleganza letteraria. Con un dialogo ben calibrato, che sopporta escursi in Flaubert e in Proust, Anonimo' veneziano è un « film d'attore » nel senso più nobile dell'espressione, in quan¬ to cioè la recitazione non è soltanto parte accuratissima di un tutto, ma diventa quasi il tutto, senza che per questo il film cessi di essere un film. E' implicito in questo il più caldo elogio degli interpreti: una Florinda Bolkan in cui le autentiche qualità di attrice già altre volte affermate si innestano per la prima volta in una parte di grande respiro e di compatta tenuta; egregia per aderenza, sobrietà e passione; un Tony Musante che non ha più bisogno d'essere scoperto ma che qui è al meglio della sua pregnante incisività. La fotografìa tutta sfogata di Gatti, la scenografia di Scaccianoce, le musiche (su quelle dell'Anonimo) di Cipriani, hanno parte nella struggente finitezza dello spettacolo. 1. p.

Luoghi citati: Ferrara, Salerno, Venezia