L'ultimo arabesco del poeta Heym di Giorgio Manacorda
L'ultimo arabesco del poeta Heym Morì pattinando sul ghiaccio L'ultimo arabesco del poeta Heym Georg Heym: « Umbra vitae », Ed. Einaudi, pagine 101, lire 800. Liberty, Jugenstil, Floreale; arabeschi convolvoli fiori; estrema eleganza, raffinatezza, forme squisite e, sotto, il nulla o un baratro. Il 16 gennaio 1912 Georg Heym, i pattini ai piedi, disegna arabeschi sulla Havel: il ghiaccio si spacca e le eleganti evoluzioni del giovane poeta cedono il posto alla sua morte. Il poeta del vuoto è carpito dal vuoto. La morte ha catturato in modo molto poco eroico un giovane insofferente di ii questa pace muffita unta e oleosa » e desideroso di ii una guerra, sia pure ingiusta ». Caddero in guerra La guerra ingiusta arriverà e distruggerà un'intera generazione. « La generazione dell'Espressionismo — ricorda il Mittner — è quella delle giovani vittime della prima guerra mondiale e della rea zìone che preparò la seconda ». Caddero in guerra Lichtenstein (uno dei pochi a essere totalmente esente da entusiasmi « guerrieri »), Sorge, Stadler, Stramm; Georg Trakl si suicidò; tra i pittori espressionisti morirono Marc e Macke. La caduta di Weimar e l'avvento del nazismo prw-i.'ooarono tra gli intellettuali una quantità incredibile di suicidi: Taller si suicidò in America nel 1934, Reinhard Goering in Germania nel 1936, Masenclever e Cari Einstein in Francia nel 1940, all'inizio dell'occupazione te- \ desca; Kornfeld fu assassina |to in «n campo di sterminio Tutto questo Heym non lo potè vivere. Il suo desiderio di guerra o di rivoluzione (egli non fa una grande differenza tra le due) ha apparentemente origine da un represso vitalismo (e infatti gli ii Per ecces- j amici scrissero: ì so di vitalità e mot to G. \Ileym»), che invece nascon- de una probabile quanto prò fonda incapacità di sentire, di vivere, una sostanziale carenza di vitalità («è tutto sempre lo stesso, così noioso, noioso, noioso! Non succede nulla, nulla, nulla. Se almeno una volta accadesse qualcosa senza lasciare dieI tro di sé questo gusto insi; pido di banale uniformità ! (...) si costruissero di nuovo ; barricate. Sarei il primo a : salirvi, con lu pallottola nel cuore vorrei provare l'ebbrezza dell'entusiasmo »i. Carenza compensata, sulla scorta di Nietzsche, dal desiderio di trovare « fuori di sé », nella storia, qualcosa capace di dargli la sensazione di vivere intensamente, sia pure per poco. Il nulla che si nascondeva sotto gli eleganti arabeschi del Liberty, è qui rovesciato in un vitalismo sostanzialmente nichilista, in cui elementi di nevrosi personale e di contingenza storica disperatamente s'incontrano. E' pertanto nel giusto Paolo Chiarini quando nota come la guerra, per Heym, fosse « una " fantasia a occhi aperti ", la proiezione — di un'intensità quasi onirica — di un desiderio frustrato, la sublimazione di uno scacco che ha le sue radici non solo nella vicenda personale dello scrittore, ma anche e soprattutto nella coscienza che egli ebbe del momento storico in cui viveva ». E non è escluso che il vitalismo e l'attivismo, almeno potenziale, come ha notato Furio Jesi, di Heym non siano che una « maschera » per dominare un inconscio senso di colpa. ' La produzione della « maturità » di Heym è segnata, estrema difesa, dalla maschera del grottesco, probabilmente ultima possibilità (co- | me per Lichtenstein) di dire il vuoto, consapevole che la realtà è una perenne distruzione. Questa" « poesia del vuoto sul vuoto » non può che fare il verso alla poesia e a tutto ciò che è « poetico » per eccellenza: ii E lune enormi I con gambe ossute salgono oltre i tetti » di una città che è sentita ostile come un « immenso mare di cemento ». Il suo vero limite Ma il grottesco di Heym è teutonicamente compreso di sé, è esente dalla feroce ilarità e dalla penetrante satira di un Lichtenstein: non ha imparato a ridere di se stesso e del proprio dramma; la sua è una goliardica smorfia di dolore, non un ghigno sia pure atrocemente satanico. La sua ironia non lo investe e questo lo rende in qualche modo atono. Il fatto è che, non credendo a | niente, crede alla poesia, e per giunta lirica. Il dramma vero, probabilmente, consiste in tale contraddizione. Giorgio Manacorda
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