La difficile congiuntura dell'industria dolciaria

La difficile congiuntura dell'industria dolciaria Rallenta lo sviluppo dopo anni di vivace espansione La difficile congiuntura dell'industria dolciaria La produzione non aumenta come Tanno scorso e le esportazioni sono in netto regresso - L'Italia continua ad occupare uno degli ultimi posti fra i Paesi consumatori dell'Occidente - Preoccupazione delle imprese per la futura aliquota dell'Iva (Nostro servizio particolare) Roma, 28 settembre. L'industria dolciaria italiana, dopo anni d'intenso sviluppo, attraversa un periodo di crescenti difficoltà: la produzione aumenta attualmente ad un ritmo inferiore al 2 per cento rispetto al 1969; il commercio estero presenta addirittura un andamento negativo. Nel primo semestre le esportazioni sono diminuite dell'8,1 per cento, mentre le importazioni sono aumentate del 7,7 per cento. In questo contesto si spiegano alcune vicende aziendali che hanno fatto rumore: la Motta, che da quattro o cinque esercizi non distribuisce dividendi; il passaggio dell'Alemagna sotto il controllo della Sme (Gruppo Iri); la' cessione alla Tobler svizzera, da parte del Gruppo Montedison, del pacchetto di controllo sulla Tobler Italiana. Le ragioni variano da caso a caso, ma tutte si collegano ad una situazione di costi crescenti (del lavoro, delle materie prime, del prelievo fiscale), mentre i profitti calano a vista d'occhio e la concorrenza estera diventa sempre più aggressiva. Per fronteggiare questa concorrenza occorrono massicci investimenti in nuovi impianti, fortemente automatizzati, che consentano di ridurre i costi e di accrescere la produttività; ma poche sono le aziende così robuste da poter disporre dei capitali necessari per questo aggiornamento tecnologico. Le banche sonò a corto di liquidità e le imprese, ancora a prevalente struttura familiare, hanno di solito una base finanziaria troppo ristretta per compiere — con le sole loro forze — 11 « salto di qualità » imposto dal nuovo e più ampio mercato comunitario. Non stupisce, in questa situazione, che anche la Ferrerò, la più grossa impresa dolciaria nazionale, con circa 6 mila dipendenti in Italia e 2 mila all'estero, con un fatturato globale di oltre 100 miliardi (di cui oltre 70 in Italia), abbia chiuso il bilancio al 31 agosto in modo tutt'altro che brillante. L'assemblea degli azionisti si terrà solo in dicembre, ma sembra ormai certo che verrà proposto di non distribuire dividendo per l'esercizio 1970. Sarebbe la prima volta da quando, nel 1962, la Ferrerò si costituì in Società per Azioni. L'annuncio dovrebbe servire a riflettere non solo sulle vicende congiunturali, che da un anno in qua hanno pesato su tutta l'industria italiana, ma anche — e soprattutto — sulla politica, perseguita da sempre, nei confronti della produzione dolciaria. Nonostante i progressi compiuti in fatto di reddito nazionale per abitante, nonostante la stretta associazione con Paesi più ricchi del nostro, il trattamento fiscale dello zucchero, del cacao e dei prodotti derivati continua ad essere quello riservato ai beni « voluttuari ». Per l'effetto combinato del prezzi più alti e del reddito più basso, l'Italia si trova agli ultimi posti nella graduatoria dei Paesi dell'Europa occidentale consumatori di prodotti dolciari. Questo vale, sia per la media generale, sia per le classifiche per prodotti: la nostra media generale è di 9 chilogrammi prò capite l'anno, contro 12 dell'Austria, 13 della Francia, 14 della Germania, 17 della Svizzera, 25 della Gran Bretagna. Distacchi notevoli si riscontrano anche per i singoli prodotti. Per i dolci a base di zucchero (caramelle, torrone, confetti, ecc.) il consumo annuo per abitante non supera in Italia i due chili, contro 3 chili in Francia, 4 in Germania, 4 e mezzo in Belgio e 6 in Olanda. Per i prodotti a base di cacao al nostro consumo annuo di un chilo e mezzo scarso a testa, fanno riscontro 3 della Francia, 5 della Germania, 5 e mezzo dell'Olanda e 8 del Belgio. Ci difendiamo un po' meglio, grazie a panettoni, pandori e colombe, nel campo dei prodotti da forno. Pur concedendo che la maggiore disponibilità di frutta e il clima più caldo (specie nel Centro-Sud) giustificano un livello di consumi dolciari più basso, è innegabile che lo scarto sarebbe meno rilevante con una politica fiscale meno « repressiva ». Poiché la riforma tributaria è ormai alle porte (dovrebbe entrare in vigore il 1" gennaio 1972, ossia Ira 15 mesi appena), si comprende perché tutte le aziende dolciarie — anche le più forti — siano sempre più preoccupate per la futura aliquota dell'Iva (imposta sul valore aggiunto). Si opterà per le aliquote più alte (12 o 18 per cento), secondo la linea tradizionale, o si estenderà ai dolci il trattamento più favorevole (6 per cento) riservato negli altri Paesi del Mec agli alimenti di «consumo popolare»? Dalla risposta a questo interrogativo dipende la sorte di- centinaia di aziende. Arturo Barone Commercio estero dell'industria dolciaria - (in milioni di lire arrotondati) PRODOTTI 1969 var' °'° 1970 var- V° (anno) su'68 (l°sem.) su'69 ESPORTATI Caramelle, confetti, torrone, gomma da mastlcare, Ctoccolato, cacao In polvere zuccherato, gelatl con ca- Prodottl da Torno .... 2.762 + 14,1 1.010 — 18,9 Frutta candlta, gelatl sen- Totale 20.578 + 24,5 7.717 ! — 8,1 IMPORTATI Caramelle, confetti, torronc, gomma da mastlcare, Cioccolato, cacao In polvere zuccherato, gelatl con ca- Prodottl da forno ...... 4.339 : + 26,3 2.291 4- 2,4 Frutta candlta, gelatl sen- Totale i 9.474 1 + 35,3 4.803 I + 7,7

Persone citate: Alemagna, Arturo Barone, Motta, Tanno, Tobler