"Cosa vuol dire Giappone,,

"Cosa vuol dire Giappone,, Incontro di studio alla Fondazione Giovanni Agnelli "Cosa vuol dire Giappone,, « Cosa vuol dire Giappone » è il tema di un « incontro di lavoro » che si è svolto ieri nella sede della Fondazione Giovanni Agnelli a Torino. Lo scopo del colloquio — al quale hanno partecipato una cinquantina di studiosi e specialisti — era quello di avviare un primo approccio ad una realtà di cui in Italia si comincia ad avvertire il peso ma che è ancora in gran parte sconosciuta. Come ha detto Giovanni Giovannini — uno dei tre relatori che hanno animato il dibattito dopo l'introduzione del segretario generale della Fondazione, Ubaldo Scassellati — nel nostro paese la letteratura sull'argomento è estremamente scarsa, e pochi operatori economici e politici sanno valutare la realtà del Giappone « terzo grande » del mondo. L'imponente avanzata del Sol Levante dal '45 ad oggi non è certo avvenuta senza squilibri. Si tratta peraltro di squilibri bene assorbiti, almeno finora, dai giapponesi — come ha sottolineato Paolo Beonio Brocchieri — per l'approccio del tutto particolare che i nipponici danno a problemi altrove immedia tamente scottanti. In altri termini, il grande sviluppo industriale del paese si è realizzato in un con- testo psico-sociologico (e politico) assai diverso da quello occidentale. I nipponici sembrano concepire la loro storia, dopo Hiroshima, in modo pragmatico, seppure a tappe ben definite: e quella attuale è dedicata alla crescita dell'industria, anche se il prezzo individuale è stato finora piuttosto alto. A tutto questo non è estraneo il condizionamento di una tradizione culturale sulla quale Beonio Brocchieri si è soffermato, sottolineandone gli aspetti più incisivi. Ma, come ha successivamente messo in luce il terzo relatore, Antonio Tescari, trattando più a fondo gli aspetti economici del fenomeno giapponese, bisogna sgombrare il campo da aicuni luoghi comuni piuttosto diffusi in Occidente. Si ritiene spesso che il boom nipponico sia l'effetto combinato di tre fattori: i limitati salari e quindi i bassi costi; un'industria che utilizza quasi senza contropartite finanziarie l'apporto tecnologico straniero; la grande incidenza dell'esportazione. Si tratta — ha detto Tescari — di spiegazioni inesatte. Per quanto riguarda i salari, se è vero che all'inizio essi erano bassi, oggi sono paragonabili ad alcuni dei paesi industrializzati europei più avanzati. E' vero però che il costo del lavoro è basso, a causa della minore incidenza dei costi supplementari. Il Giappone poi, da uno stato di soggezione nel settore tecnologico, è passato ad una posizione attiva. Infine, anche se il Giap pone considera l'esportazione come uno degli elementi vitali della sua economia — ha ancora detto Tesca ri — non bisogna dimenticare che esporta relativamente poco (all'incirca il 10 per cento del prodotto nazionale lordo, meno, ad esempio, del 15 per cento inglese). Questo dell' esportazione, tuttavia, è il capitolo che oggi preoccupa di più le altre potenze industriali, perché la percentuale relativamente modesta, cui si è accennato, potrebbe « esplodere », con la rapidità che caratterizza tutti i fenomeni del Giappone moderno Giovannini ha ricordato a questo proposito il lungo dissidio con gli Stati Uniti sulla questione dei tessili e l'attenzione di Tokio agli sviluppi del Mec, con il quale, in questi giorni, ha avviato trattative destinate a rendere comunque più sensibile la presenza nipponica in Europa *-

Persone citate: Antonio Tescari, Beonio Brocchieri, Giovanni Giovannini, Giovannini, Paolo Beonio, Tesca, Tescari