Gli abitanti di Filetto dicono "È un'altra giornata di lutto,, di Gianfranco Franci

Gli abitanti di Filetto dicono "È un'altra giornata di lutto,, Dopo l'assolutoria dell'ex capitano delle SS Defregger Gli abitanti di Filetto dicono "È un'altra giornata di lutto,, A colloquio con la gente del paese d'Abruzzo dove 17 civili furono fucilati dai nazisti - Continua l'istruttoria della magistratura italiana anche dopo la sentenza di Monaco di Baviera (Dal nostro inviato speciale) L'Aquila, 17 settembre. « Ho sempre esortato al perdono. E' passato ormai tanto tempo e, se molti furono gli errori e gli orrori, bisogna riportarsi a quegli anni di guerra quando Matthias Defregger non era monsignore, ma capitano dell'esercito tedesco », dice don Demetrio Gianfrancosco, parroco da vent'anni di Assergi e di Filetto di Camarda, due paesini distanti tra loro una decina di chilometri. Don Demetrio è un uomo sui cinquantanni, biondo, dinamico. Sale a Filetto la domenica mattina per dire Messa o quando la cura delle anime lo richiede. « Non è vero che io abbia raccolto firme per ottenere clemenza per Defregger. Furano fantasie di giornalisti. Feci soltanto opera, pastorale, fiducioso nella giustizia », prosegue il prete. E dopo una pausa: « Sapevo che sarebbe andata a finire così. Anche in Germania lo elicevano tutti. Defregger non fece che obbedire agli ordini. Allora l'obbedienza era cieca; ora è oculata ». Don Demetrio si anima all'improvviso. Afferra un quotidiano romano che nella cronaca abruzzese reca questo titolo: « Non vi sarà giustìzia per la strage di Filetto ». Dice: «Guardi qui che roba. Vi sarebbe forse stata giustizia soltanto se avessero accusato il monsignore di strage? E' la decisione di un magistrato ed io l'accetto come avrei accettato una condanna ». Quella di don Demetrio è l'unica voce in difesa dell'ex capitano della 114" divisione dei « Cacciatori delle Alpi », il quale, il 7 giugno del 1944, comandava la compagnia che uccise a Filetto diciassette persone inermi. La notizia dèi « non luogo a procedere ». con cui si è conclusa l'istruttoria della magistratura di Monaco di Baviera nei suoi confronti, è stata appresa, comimque, senza emozione in Abruzzo. La decisione di archiviare definitivamente il « caso » non è infatti che la conferma ai dubbi ed alle perplessità espresse subito dopo l'apertura della seconda inchiesta. La gente dice: « Per noi oggi è un'altra giornata dì lutto ». Non resta che sperare nella magistratura italiana. Il procuratore della Repubblica dell'Aquila, dott. Armando Troise, in seguito ad una denuncia presentata contro mons. Defregger dal deputato comunista Ercole Cicerone, sta conducendo anch'egli una istruttoria sull'eccidio di Filetto di Camarda. Attualmente egli è in vacanza, ma negli ambienti della Procura dell'Aquila abbiamo appreso che il magistrato ha già raccolto molto materiale su quella tragica vicenda di guerra. Oggi ci siamo recati nuovamente a Filetto di Camarda, dove un cippo, nel luogo dell'eccidio, ricorda i nomi dei diciassette caduti. Abbiamo incontrato, ad un anno di distanza, Basilio Altobelli, ottantenne, e Vittorio Janni, anch'egli vecchio e ammalato: sono due degli scampati. Riuscirono a fuggire mentre i tedeschi gli sparavano addosso raffiche di mitragliatrice. « Eccome se sparavano mentre dì coi'sa ci gettammo giù per il pendio della montagna. Era una notte di luna piena e non riesco a dimenticarla ». dice Basilio Altobelli. Quindi prende un giornale, guarda per un attimo la fotografia di Defregger ed esclama in dialetto: « Che lo possino accidere ». Pietro Meco ha 53 anni. Fa il manovale. E' uno dei tre figli di Ferdinando Meco, una delle vittime. Il padre aveva allora 64 anni. Pietro racconta che verso la fine di dicembre vennero a Filetto don Demetrio e due sacerdoti tedeschi. Dissero che portavano una somma di denaro offerta dai cattolici bavaresi per i familiari delle vittime. Si trattava di 150 mila lire per ciascuna vedova o per uno dei parenti più stretti, (t Era per trascorrere un Natale felice, ci dissero, e poi per Pasqua ci sarebbe stala un'altra somma uguale ». Fino ad allora, malgrado le insistenze di alcuni, i familiari delle vittime non avevano voluto concedere il perdono a chi aveva ordinato la morte dei loro cari né intesero concederlo accettando il denaro che gli veniva offerto. Firmarono delle ricevute e basta. Pietro Meco fu il solo a rifiutare le trecentomila lire. « Sono il più povero del paese, disse, ma la memoria di mio padre non la vendo ». E mentre racconta l'episodio mostra un settimanale di vita abruzzese in cui c'è un articolo firmato da don Demetrio che definisce il suo il « gesto isolato di un contestatore ». Gianfranco Franci tsrfclLdhfirpactrasdedg1 L'Aquila. Un gruppo di abitanti di Filetto, il paese dove furono fucilati gli ostaggi (Tel.)