Pompidou il re in doppiopetto di Nicola Adelfi

Pompidou il re in doppiopetto QUESTA LA FRANCIA SEDICI MESI DOPO DE GAULLE Pompidou il re in doppiopetto Il Presidente francese non s'accontenta dei già ampi poteri del suo predecessore: ha fatto dire a Chaban-Delmas che il Capo dello Stato deve aver mano libera in tutti i ministeri - Egli, che fu a suo tempo un abilissimo « delfino », non vuole rivali o eredi intorno a sé - Ma piace al francese medio, che è sostanzialmente conservatore e antepone alla « grandeur » la pace sociale e il benessere - Le elezioni di Bordeaux: un « test » appassionante (Dal nostro inviato speciale) Parigi, 16 settembre. Sono passati appena sedici mesi dalle dimissioni di De Gaulle, eppure il suo mito, la sua epoca, le sue inquietudini, le sue impennate, tutto ciò che formava « lo stile del Generale » e che dava alla Francia un aspetto e un posto particolari sulla scena del mondo, sempre .meno è discernibile nella vita pubblica e privata dei francesi, sempre più viene spinto lontano, nel passato. Il culto o l'avversione per De Gaulle continuano a vivere in mezzo ai francesi, ma è come se l'uomo fosse scomparso da chi sa quanto tempo. E' diventato semplicemente un personaggio della storia francese, della storia di ieri, beninteso. Si direbbe che la gente stia aspettando solo la sua morte fisica, per imbalsamarlo e collocarlo con tranquilla solennità sotto la cupola del Panthéon. Severo congedo Il trapasso dal gollismo al dopo-gollismo avvenne la mattina del 28 aprile dell'anno scorso. Fu il Generale in persona che ne diede l'annuncio ai francesi con due brevi periodi: « Pongo termine alle mie responsabilità di Presidente della Repubblica. Questa decisione ha effetto da oggi, da mezzogiorno ». A sentirlo, le dimissioni erano una sua decisione, e non la conseguenza del fatto che il giorno prima 10 milioni e 515 mila francesi avevano votato per lui, 11 milioni e 943 contro. Nelle elezioni del primo giugno 1969 per la Scelta del successore, ì voti risultarono ripartiti in questo -modo: il gollista Pompidou ne ebbe il 44,460fa, il candidato del Centro Sinistra Poher il 23,30 per cento, il comunista Duclos il 21,27 e il socialista Deterre il 5,01. Si rese necessario il ballottaggio tra i primi due eletti. A Pompidou andò il 58,21 per cento dei voti, a Poher il 41,78. Tuttavia, quasi un terzo dell'elettorato, il 31,14 per cento, preferì non' votare. Se non interverranno fatti oggi imprevedibili, Pompidou resterà in carica fino alla primavera del 1976. Nel Parlamento egli può contare su una larghissima maggioranza e la Costituzione gli dà poteri quasi sovrani. E tuttavia Pompidou non se ne contenta. Nella teoria e nella pratica sta cercando di rafforzare gradualmente il suo regime. Campo riservato " Quando De Gaulle salì ' al potere' è diede alla Francia una nuova Costituzione, sorse subito la questione dei poteri del Presidente della Repubblica. Nel 1959 fu Chaban-Delmas, l'attuale Primo Ministro, a definire « campo riservato » al Capo dello Stato la gestione della politica estera e della difesa nazionale; in tutti gli altri settori la direzione politica spettava invece al governo. A De Gaulle quel « campo riservato » era più che sufficiente. Egli non voleva impicciarsi d'altro. Una volta, quando gli domandarono come avrebbe potuto rifare grande la Francia con le limitate risorse economiche del Paese, De Gaulle rispose sprezzantemente: « Le salmefie seguiranno ». Secondo lui, non appena la nazione fosse riuscita a collocarsi tra le superpotenze al livello politico e militare, anche l'economia, appunto come fanno le salmerie al seguito degli eserciti che avanzano vittoriosi, avrebbe preso automaticamente un grande slancio sul piano mondiale. Nei giorni scorsi, l'inventore della teorìa del « campo riservato ». Chaban-Delmas, se ne è uscito a freddo con una dichiarazione sorprendente. Il capo licenzia Il premier ha affermato che, in pratica; non esistono limiti ai poteri governativi del Presidente della Re1 pubblica: « A lui' compete determinare la politica del governo »; « Il Primo Ministro dirige il governo a seconda degli orientamenti presidenziali »; « Il Capo dello Stato traccia la rotta in tutti i campi, senza nessuna eccezione ». Per spiegarsi meglio, Chaban-Delmas ha aggiunto che il Presidente della Repubblica, Pompidou, è il capitano della nave e lui, il Primo Ministro, il primo aiutante. Di conseguenza, il capitano può in qualsiasi momento licenziare i suoi aiutanti. Pompidou non ha battuto ciglio, ed è lecito supporre che sia stato lui stesso a suggerire questa nuova e inattesa definizione dei poteri illimitati del Presidente della Repubblica. Ma perché Pompidou si fa conferire poteri maggiori di quelli, già così estesi, che aveva De Gaulle? La risposta più semplice è che Pompidou non è De Gaulle. Un alone di prestigio illuminava la figura del Generale ed egli poteva mettersi al disopra dei partiti, al di fuori di ogni corrente o conventicola, all'occorrenza poteva rivolgersi direttamente al Paese. Pompidou, invece, è un figlio e un maestro della politica, ha una lunghissima pratica nel manovrare uomini e correnti, possiede un fiuto eccezionale degli umori conservatori della maggior parte dei francesi. De Gaulle era l'eccezione e l'improvvisazione, Pompidou preferisce un'amministrazione normale e programmata. Ma, quel che più conta, Pompidou sa per esperienza diretta che un Primo Ministro, se si rende troppo potente, riesce a contrapporre la sua immagine a quella del Presidente della Repubblica davanti all'opinione pubblica. A un certo momento, può gettare giù di sella i! Capo dello Stato e mettersi al suo posto. Secondo rivelazioni sempre più numerose e precise che appaiono in questi giorni, è proprio ciò che Pompidou ha fatto a De Gaulle Poiché si considerava incommensurabilmente superiore a tutti i suoi amici e nemici messi insieme. De Gaulle non si preoccupò delle manovre che Pompi' dou conduceva alle sue spalle, convincendo un numero sempre maggiore di francesi che il gollismo era finito, che bisognava pensare al dopo-gollismo e che lui era il « delfino » naturale. In breve, Pompidou non vuole correre rischi. Non vuole « delfini » e impedisce che qualcuno della maggioranza governativa emerga come tale. Chaban-Delmas vede crescere la sua popolarità perché si pensa che abbia dato al governo più efficienza, più modernità e anche più simpatia? Ebbene, quando il Consiglio nazionale del partito gollista si riunisce e per diversi giorni di fila accumula critiche e accuse contro Chaban-Delmas, Pompidou non muove un dito. Poiché la Francia ha superato più che bene la crisi economica e molti sono persuasi che il merito spetti al ministro delle Finanze Giscard d'Estaing, ecco che Pompidou lo convoca all'Eliseo, lo redarguisce aspramente per il rincaro del costo della vita e contemporaneamente fa scrivere sui giornali che il rilancio dell'economia francese è dovuto principalmente al senso di stabilità e di sicurezza che luì, Pompidou, ha saputo restituire alla nazione dodo la caduta di De Gaulle. Pompidou, dunque, non vuole rivali o eredi all'interno della maggioranza governativa. Se uno sopravanza gli altri, provvede subito a rimetterlo in riga. Se un settore della vita pubblica va bene, esige senza indugi la sua parte di merito, quella del leone. Ha fatto sapere che nel 1976, quando scadrà il mandato presidenziale, non ripresenterà la sua candidatura; però, fino a quel momento, è deciso a premunirsi contro qualsiasi sorpresa o manovra o congiura. L'abolizione del « campo riservato » rientra per l'appunto in questo disegno di Pompidou d'avere mano libera in tutti i dicasteri e con tutti i ministri. Non più febbre Curiosamente, non ci sono state reazioni notevoli. La verità è che Pompidou ri sulta più congeniale di De Gaulle alla mentalità del francese medio. Piace di più, come Molière piace più di Racine. De Gaulle era la febbre alta, l'esaltazione, il dramma o la tragedia; Pompidou è il senso della giusta misura e delle proporzioni, è il paternalismo bonario ma astuto, è una polizza d'assicurazione contro le avventure. De Gaulle imponeva continui sacrifici al fine di gettare le basi di una grande Francia per le future generazioni; in Pompidou è sempre esplicita l'intenzione di far vivere meglio i francesi d'oggi. Ora, se mettiamo a confronto i propositi dell'uno e dell'altro e ciò che essi hanno saputo realizzare, il bilancio risulta di gran lunga più favorevole per Pompidou. Nel suo stesso « campo riservato » non si può dire che De Gaulle abbia avuto successi: la Francia non è diventata una grande potenza e non possiede forze ar¬ mate neppure di lontano paragonabili a quelle americane o sovietiche. Viceversa Pompidou ha dato ai francesi un benessere materiale senza precedenti e una tranquillità sociale che dovrebbe durare a lungo. Appena qualche giorno fa il capo della centrale sindacale comunista ha ammesso che l'economia francese ha bisogno di pace sociale per almeno un altr'anno. Questa remissività dei sindacalisti di fronte al governo nasce soprattutto dal ricordo, ancora oggi ossessivo tra i francesi, di come il Paese fu messo sossopra nel maggio di due anni fa. Non si pensi però che tutta la Francia sia quieta, grassa e soddisfatta. La lotta elettorale a Bordeaux tra il primo ministro Chaban-Delmas e Servan-Schreiber ha di colpo restituito il gusto della poli'tica a larghi strati della popolazione, cresce tra i cittadini la sensazione d'essere stati assopiti dalla politica conservatrice e paternalistica di Pompidou. Quanto diffusa sia questa fastidiosa sensazione, nessun sondaggio d'opinioni riuscirà mai a indicare. A giudicare dalle apparenze, io direi che non è molto diffusa. Però, quando si tratta dei francesi e dei loro stati d'animo, bisogna andare sempre adagio. Pochi giorni prima che scoppiasse quell'ira di Dio che fu « il maggio francese », quando la situazione appariva altrettanto calma o addormentata di adesso, su Le Monde apparve un articolo di fondo intitolato: « La Francia è un Paese che si annoia ». Nicola Adelfi *