Da Wiligelmo a Morandi di Marziano Bernardi

Da Wiligelmo a Morandi L'anima emiliana in nove secoli d'arte Da Wiligelmo a Morandi Si apre oggi nell'Archiginnasio la mostra curata da Francesco Arcangeli su «natura ed espressione nell'arte di Bologna e dell'Emilia» (Dal nostro inviato speciale) Bolo.i;n;i, 11 settembre. Una mostra difficile, questa che domattina s'inaugura nell'Archiginnasio di Bologna. E' l'ottava della grandiosa serie di quelle biennali d'arte antica emiliana che il soprintendente alle Gallerie Cesare Gnudi, proseguendo l'indagine aperta da Roberto Longhi con la memorabile prolusione universitaria del 1934, portò a un livello d'interesse europeo. Ma non è, similmente ad alcune delle precedenti — o per il Reni, o per i Carracci, o per il Guercino — una mostra monografica d'immediato effetto e di relativamente pronta comprensione da parte d'un visitatore anche abbastanza frettoloso. Il suo titolo, « Natura ed espressione nell'arte bolognese-emiliana », subito annunzia una ricchezza e complessità di proposte apppnn percettibili con intensa meditazione, un ricorrere di motivazioni artistiche ed umane quasi segrete su un arco poetico di nove secoli: dal misterioso scultore Wiligelmo il cui nome è legato ai rilievi del duomo di Modena fondato nel 1099, a Giorgio Morandi, protagonista della pittura italiana moderna. Per di più non è una mostra che con relativa impassibilità storica proietti filologicamente e criticamente dal passato sul presente l'avventura delle sue dramatis personae che in questo caso sono Wiligelmo, Vitale da Bologna, Jacopino di Francesco, Andrea de' Bartoli, Amico Aspertini, Ludovico Carracci, Giuseppe Maria Crespi, Morandi. Bensì una mostra che, a lungo pensata, ha finalmente preso forma, con passione che si può dire commovente, per una specie di oscura necessità critica e morale del più anziano, e certo tra i più geniali, dei discepoli di Roberto Longhi. Unità padana Insomma la mostra, da luì proposta e tenacemente voluta come la prova d'una convinzione certissima maturata in venticinque anni di ricerche e di collaudi, è lo specchio della coscienza di Pran- cesco Arcangeli, oggi docente nell'Università di Bologna. E' cosa sua, perché raggiunta e perfezionata con dedizione sentimentale assoluta; la stessa che informa le stupende 45 pagine del saggio in apertura del catalogo; la stessa ch'egli, bolognese, sente vivere nell'umore della sua comunità emiliana. La quale, soprattutto nella cerchia felsinea, è per l'Arcangeli caratterizzata da una « popolarità », da una « cordialità », rivelate entrambe dalla stessa conformazione e proporzione della città, dal suo colore, dalla sua cucina, dalle sue donne, dal suo costume: cose tutte legate ad una remota radice contadina che ha un significato ben preciso, cioè « il rapporto altrettanto remoto ed irriflesso col mondo della natura ». Ci sembra che non si sia molto lontani da quel concetto di « ultimo naturalismo » i cui fiori estremi parvero ad Arcangeli (che ne parlava già nel fascicolo del novembre 1954 di Paragone) affidati ad alcuni pittori attuali della tf nostra provincia italiana di settentrione: terra amata », che altro non è se non la terra « lombarda » nel senso ormai nuovamente invalso del termine, « che lui fatto ancora dell'antica "Padania" una unità storico-culturale ». A un filo d'Arianna appena percettibile, labile e fragile (forse troppo," talvolta) ma non interrotto, dovrà dunque affidarsi il visitatore nel breve labirinto della mostra. Si parte — beninteso con documentazione fotografica — dal tema di Wiligelmo, ch'è il corpo dell'uomo e delle cose, ed il suo lento agire: « corpo fisico », precisa Arcangeli, interna forza generante che è naturalistica e non imitativa, che è spazio di materia e spazio di umanità, viste l'una e l'altra con l'occhio immaginoso dell'uomo romanico che non si separava dalla selva paludosa della Padania. Parrà temerario affiancare al greve « corpo fisico » dell'Adamo wiligelmico la « violenza attimale sfrenatamente appuntata al culmine d'uno scatto di vita» del San Giorgio di Vitale, precorritore, si direbbe,' nello stravolgimento gotico del cavallo (che il salto, infatti, è d'oltre due secoli dai marmi di Modena) dei « Miracoli » di Marino Magrini? Se il discorso non s'interrompe, anzi si lega con le prime frasi, lo si deve a quanto « di estroverso e d'ardente, di immaginoso e d'abnorme, di sensuale e di patetico, domina i momenti più tipici e profondi dell'arte bolognese; in confronto al ritegno più perdutamente popolare e introverso, malinconico, dell'arte di Lombardia ». Un discorso, del resto, che bene sembra riannodarsi, oltre che con le opere di Jacopino di Francesco e di Andrea de' Bartoli, con quelle dell'altro campione della pittura locale. Amico Aspertini, « uomo di crisi... imprevedibile, mutevole, inquieto », anticlassico nel suo esistenzialismo, «in pieno parallelo con gli spiriti del Nord » da Cranach a Grunewald. Anche Maestro Amico, che il Malvasia aveva detto capriccioso e fantastico, è per l'Arcangeli un milite di « antirinascimento » e quindi un assertore della « espressione » tipica dell'arte emiliana. Anche meglio indicata, questa costante, dal meno eclettico (e perciò scelto nella celebre triade) dei Carracci, Ludovico. Se non che la concezione a suo modo moderna della vita e dello spazio pittorico del non controriformista ma riformista cattolico Ludovico non si attua col « corpo fisico » di Wiligelmo, con l'« azione » di Vitale, con la « fantasia » dell'Aspertini, ma con la molla profonda del « sentimento », che ispira la calma luministica delle sue opere giovanili. Basti guardare V Annunciazione. Il quinto a capo dell'ormai lungo discorso introduce all'umanità protoromantica del Crespi, « alito grave, projon- do, avvolgente, d'una materia che si anima in vitalità di sentire ». E che cos'è per l'artista la vitalità di sentire se non l'espressione? Fin verso la fine del quarto decennio del Settecento il pittore si dilettò di quei temi di verità naturale che lo Zanotti chiamava « vulgari e piacevoli ». Arte di rivolta Nell'umanità del Crespi l'Arcangeli scorge qualcosa di fiero, l'antica gagliardia dei tempi lontani di Bologna, selvaggia in Vitale, estrosa nell'Aspertini; e sempre densa di umore popolare, di passionalità infocata che brucia fin nelle nature morte, nei paesaggi. Natura ed espressione continuano a darsi la mano sul cammino dell'arte emiliana; e sempre in rivolta contro la prevaricazione di sovrastrutture; siano mistiche, o umanistiche, o intellettualistiche, o accademiche. Anche quella di Morandi è un'arte di rivolta: chiusa, silenziosa, ma per la sua parte terribilmente attiva. E' un'arte che dichiarò guerra a « una umanità non vera », a « un equilibrio umanistico mentito ». E' un'arte che volle compiere una « indagine sull'eternità della materia », con spirito degno di Leopardi. L'aveva preceduta di novecent'anni Wiligelmo; e così il cerchio si chiudeva. , Marziano Bernardi

Luoghi citati: Bologna, Emilia, Lombardia, Modena