Vestire come Zelda

Vestire come Zelda la donna di scott FiTZGERALD: un mito Vestire come Zelda Le nostre ragazze vorrebbero vestire come Zelda Fitzgerald. Non vorrebbero portare abiti simili ai suoi, rivisitati dalla moda di oggi tanto manieristicamente votata a curiosare nel passalo più o meno recente. Vorrebbero indossare con spontaneità, come lei le indossava, quelle corte pellicce lavorate a strisce, cintura bassa sotto la vita, un bavero enorme da tabarro stretto sotto il mento con un vistoso bottone, e le mani sprofondate nelle tasche: niente borsetta, la fronte interamente coperta dalla cloche. Non sono poche, e non soltanto in America, quelle che tengono vivo il mito di Zelda. Ecco Zelda a Parigi, nel '25, in una foto color seppia. Il vestito di crespo scuro le ricade sopra le gambe sottili, la fascia di raso le segna i fianchi appena rilevati. Alla gola un filo di perle, c un collettino di merletto le scivola sul petto lievemente incavato. Una corta e morbida giacca di lontra sembra sfiorarle le braccia e le spalle: la mano sinistra sul fianco. Con la mano destra tiene stretta la piccola Scottie, che poi si appoggia al cappottonc grigio del papà. Zelda, gli occhi che le brillano sorridenti di sotto la falda del cappello, e Scott fissano il fotografo, che li ha ripresi dal basso in su e li ha fatti fermare per più di un attimo nella luce limpida del boulevard. Zelda, un mito. Il mito degli anni ruggenti; la donna della lost generation, ispirazione e distruzione di uno dei talenti più esplosivi della narrativa americana, e non solo americana, di questo secolo. Francis Scott Fitzgerald la conobbe un sabato sera, il luglio del '18, a Montgomery nell'Alabama, in un country club. Zelda si dilettava di danza, come di letteratura e di pittura, e si esibiva volentieri tra amici. Quella sera, a richiesta, ballò la Danza delle ore, e Scott, sottotenente della riseria in quei giorni di guerra, la osservò seduto sull'orlo della pista. Fu incantato da quella ragazza dai lunghi capelli biondo-naturale che scivolava in aria con una leggerezza c una delicatezza senza pari. Chiese di conoscerla. « E' troppo giovane per te », gli risposero. Poi ballarono insieme; e Zelda raccontò in seguito che avvertì subito in lui una divina capacità di volare ma anche i correttivi ironici a una simile eventualità. Pareva che il giovane ufficiale si divertisse a scendere a compromissori patteggiamenti col modesto universo degli umani. Sembrerebbe tutto molto romantico: una piccola cittadina del Sud, una bella ragazza che fa arabeschi sui propri delicati piedini, e un bel ragazzone con gli occhi chiari, la fronte ampia e la bocca carnosa che se la divora con lo sguardo. Poi, via!, nell'inevitabile e re ciproco abbraccio. Ma quella ragazza era già motivo di scandalo nella piccola comunità « bene * della cittadina: se ne andava sola in macchina con i ragazzi, e discorreva brillantemente con tutti. Lui, poi, si sentiva votato a vincere qualsiasi difficoltà. Infatti, quella sera di luglio, dall'incontro, doveva nascere una delle leggende del secolo. Una leggenda carica di significato e priva del benché minimo alone di languida fantasticheria. La favola della coppia Fitzgerald è una favola tragica. Ce lo ha detto piò volte lo stesso Scott nei suoi libri; lo ha sottolineato con amoroso distacco un loro amico di affilatissima intelligenza, Edmund Wilson. Ma ce ne arriva una nuova conferma dall'attenta biografia, ricca di una inedita documentazione raccolta dalla viva voce di cento amici, di Nancy Milford, Zelda (Harper Se Row, ed.). Quale fu questa favola? Bruciarsi, distruggersi, ma esser capaci anche di mutare l'effimero in una specie di impalpabile eternità. Sembrerebbe una vita inventata, una vita di romanzo; invece è quella di un autore di romanzi. A prima vista non ve nulla in essa di quel sottrarsi al mondo, o di quella religiosa necessità di solitudine che distingue chi è segnato dai bisogni della meditazione e della poesia. New York. Pari gi, la Costa Azzurra, semprt all'avanguardia della notorietà Zelda stessa scriveva. « Par¬ lascWupdco" a trntazcescleevdtuthcoTMscvadridsutiedTlevtevpfuaqcpsenssccrcnl'ddccglptctsolctsrpcccltS lava quasi esattamente come scriveva — ha detto Edmund Wilson —, con un colore e un brio così spontanei, che ben presto- io non ini sentivo più disturbato dal fatto che la sua conversazione era una sorta di " libera associazione " di idee a cui era impossibile tener dietro. Ho conosciuto poche dori' ne capaci di esprimersi con tanta deliziosa freschezza: senza luoghi comuni e senza ricerche d'eletti. Ma t suoi discorsi evaporavano in un baleno... *. Dobbiamo dire che sono evaporati così i suoi scritti d'invenzione. Il suo romanzo tutto « età del jazz », Stive Me the Waltz, e il tardo troncone incompiuto del Caesar's Things (ci lavorò nel '42). Ma sono restate le sue lettere scintillanti d'immagini, imperviamente ellittiche: in queste, aprendosi a Scott, vi lasciò andare alcune delle sue inebriate risate, e capiamo come potè donare a lui, al suo uomo, al suo King oj the Roses, alcuni titoli di libri diventati poi così emblematici. Di qua dal paradiso, Belli e dannati. Lo stesso Tenera è la notte sono parole sue. Bene: i due Fitzgerald vivevano una vita dove non c'era tempo, in apparenza, che per vivere. Vivere le nottate in piedi, con gli ospiti « come fuochi d'artificio scatenati »; aprire le porte di casa ventiquattr'ore su ventiquattro, procurando di non chiuderle mai, perché l'evento folle di una sera ne chiamasse altri il giorno appresso, in una ronda inesauribile di umana dedizione sempre al diapason. - Ma la leggenda nacque perché entrambi condussero le cose — non credo per deliberato calcolo, ma per poetica cecità — esemplificando che non può esservi possesso dell'esistenza se non per le vie della disperazione, anche quando si è al massimo del successo c sembra che tutto concorra alla fortuna. I due Fitzgerald spesero bellezza d'intelligenza e fascino fisico perché privi' d'ogni avarizia intellettuale, convinti che al fascino c alla bellezza, appena si en tri nella terra dell'arte, dà senso e sapore quel che è il loro opposto, la dispersiva cenere, la combustione totale. La leggenda sta nel - fatto che questa coppia, della fatuità più arresa, volle rischiosamente affermare ed esprimere la totale insicurezza. La prima guerra mondiale si era conclusa, il mondo era percorso da un brivido di morte che invano cercava di cancel lare. Al centro di uria società che tendeva a dimenticare, Scott e Zelda dissero che la vera felicità del momento consisteva nel dedurre da quello stato di disagio il suo massi mo. E non si sottrassero ad alcuno sperpero. Al rovescio di tutto questo Scott scriveva, e nei suoi libri depose la grazia di tanta tragica e sfuggente coscienza. Ma Zelda ebbe a soffrire in una casa di cura per malattie mentali. Nancy Milford ci suggerisce che la storia tra i due è una storia di reciproco cannibalismo psicologico. La debolezza psichica di lui, il suo appassionante fervore, gli scatti estatici e insieme impertinenti della sua mente, trovavano in Zelda il centro dinamico. Le loro liti e le tumultuose rappacificazioni segnavano, pare, solo punti a vantaggio di lui. E lei, lentamente, nell'arco intero degli Anni Venti, si trovò svuotata, proprio come Nicole Diver in Tenera è la notte. La Milford, sottintende, alcune volte, che Scott sia in debito quasi totale verso Zelda, non solo un debito umano, ma finanche letterario, espressivo. Quando Zelda pensava in proprio alla letteratura, le reazioni di lui furono di chi si sentì defraudato d'un segreto del quale era sicuro d'avere tutte le chiavi. C'è da dire invece che l'illusione costante di Scott, per cui Zelda era l'immagine vivente della sua poesia, fu più d'un demone ispirativo. Non potè fare a meno di amarla col folle egoismo dei poeti. I quali credono, forse a torto, che la poesia, alla fine, risarcisca la vita. E 'se questo sembrasse non accadere mai, è perché la vita ii più delle volte è cieca e sorda. E Zelda sembra aver perduto. L'annientata malinconia dei suoi ultimi anni, quella luce opaca degli occhi, che la più sciatta fotografia non riesce a nascondere, la segnano irrimediabilmente. Eppure, divorata e annientata che fu, l'eco della sua belezza umana non si è spenta. Scott ha saputo perpetuarla in mmagine, con tale trasparenza, con tale ricchezza di affascinanti modulazioni che è ancora oggi quel mito per cui le nostre ragazze vorrebbero vestire come lei. Enzo Siciliano f e Rb d Ri

Luoghi citati: Alabama, America, Nancy Milford, New York, Parigi