Il racconto dei prigionieri liberati ad Amman di Sandro Viola

Il racconto dei prigionieri liberati ad Amman Il racconto dei prigionieri liberati ad Amman (Dal nostro inviato speciale) Amman, 8 settembre. Le condizioni dei 176 passeggeri (fra cui 35 bambini) e dei 17 componenti degli equipaggi trattenuti dai guerriglieri, ormai da 48 ore, su di una pista del deserto giordano, sono buone. I responsabili del Fronte popolare hanno accompagnato oggi pomeriggio i giornalisti nel piccolo aeroporto di Gian-Kahana, un'ora e mezzo di macchina da Amman, dove atterrarono domenica pomeriggio il « DC 8 » della « Swissair » e il « Boeing 707 » della « Twa ». Abbiamo potuto avvicinarci a una trentina di metri dagli aerei dove i «fedayn» avevano riunito un gruppo di 21 persone tra equipaggi (c'erano il pilota del « 707 » e due hostesses della « Swissair » ) e passeggeri. L'aeroporto è circondato da una doppia cintura di uomini in armi. Una prima di truppe giordane con autoblindo e carri armati, una seconda di « fedayn », circa centoventi, che hanno scavato da ieri a oggi una lunga trincea ai bordi della pista e varie fosse per le mitragliatrici. L'atmosfera era assai nervosa, i fotografi'potevano puntare gli obbiettivi solo in certe direzioni, alcuni che tentavano di avvicinarsi agli aerei sono stati respinti bruscamente. Un breve confuso dialogo ci ha consentito di avere qualche notizia dai passeggeri che i fedayn avevano condotto a terra. Le condizioni sono buone, appunto, nel senso che non vi sono malati o feriti. Ma queste ore sino allo scadere delVultìmatum, le quattro di giovedì mattina, stanno trascorrendo lente e difficili. La situazione igienica a bordo dell'aereo svizzero è cattiva, un po' meglio sull'aereo americano. In ambedue c'è ormai un forte cattivo odore. Manca l'acqua dei gabinetti, si stanno esaurendo i disinfettanti del piccolo pozzo nero che c'è su ogni aereo. Per quanto riguarda il cibo, le cose vanno piuttosto bene. I pasti vengono preparati e portati sul campo da Zarka, dov'è un grosso centro del «Fronte». Personale della Croce Rossa presiede a tutte le operazioni di vettovagliamento. Ma ciò di cui tutti si sono più lamentati è il caldo, e oggi è stata distribuita pòchissima acqua. Stare dentro due aeroplani fermi nel deserto, mentre all'interno delle cabine il termometro sfiora i 45 gradi è ciò di cui più stanno soffrendo passeggeri ed equi- paggi, e soprattutto 1 bambini israeliani, tra i quali ce n'è uno di tre mesi. E' quello che hanno detto tutti, e con tono più amaro un israeliano con barba lunga. Ma \ tutti (salvo i cittadini israeliani) sembrano certi che da qui a giovedì — e per i passeggeri svizzeri e tedeschi forse anche domani — la situazione si sbloccherà. E' infatti molto probabile. La risposta svizzera è venuta, seppure condizionata al rilascio dei passeggeri, è venuta quella tedesca (pronta a liberare subito i terroristi), e se mentre scriviamo mancano notizie della decisione del governo inglese, tutti pensano che anche Londra accetterà le condizioni dei guerriglieri. I passeggeri rilasciati ieri sono ancora ad Amman. Tra di essi due italiani, Gianpaolo Recagno e Arnaldo Palumbo, che oggi ci hanno raccontato la storia del rapimento del « DC 8 » della « Swissair ». L'aereo era partito alle 4 del pomeriggio da Zurigo diretto a New York. Il meccanismo del dirottamento è scattato dopo circa tre quarti d'ora di volo. Il signor Recagno, che si trovava in prima classe, ha visto tutto: un giovane, che brandiva una pistola, aveva passato un braccio intorno al collo di una delle « hostesses » e la spingeva verso la cabina di pilotaggio. Dietro di loro veniva una ragazza che teneva sollevate due bombe a mano. Dieci minuti di suspense, poi la voce della guerrigliera ha detto in inglese: « State calmi. Dà questo momento siete sotto il controllo del Fronte popolare di liberazione della Palestina ». L'aereo, che volava sulla Francia, ha subito invertito la rotta. Eccolo sorvolare prima il Gottardo, poi la costa adriatica, e puntare verso la Grecia. Intanto a bordo qualcuno si era sentito male, subito accudito dalle hostesses, e c'era naturalmente una certa tensione: non paura, tuttavia. La paura è venuta più tardi, quando si è capito che l'aereo girava da un aeroporto all'altro del Medio Oriente senza ottenere il permesso di atterrare. Beirut prima, poi Damasco e Amman rifiutavano l'autorizzazione (non bisogna dimenticare che gli Stati arabi e tutti i maggiori movimenti palestinesi respingono la tattica dei dirottamenti aerei ritenendola dannosa). I passeggeri non lo sapevano, ma capivano che c'erano difficoltà per l'atterraggio e cominciavano ad essere spaventati. Finalmente, alle sei e mezzo, il Fronte popolare decideva da terra che l'aereo si sarebbe posato nel piccolo aeroporto di GianKahana (oggi «Aeroporto della rivoluzione»), a una quarantina di chilometri da Sandro Viola (Continua a pagina 2 in settima colonna) Amman. Mezzi corazzati dell'esercito giordano controllano i due aerei dirottati a bordo dei quali sono ancora 176 passeggeri. La pista d'emergenza è situata, in pieno deserto, ad una cinquantina di chilometri dalla capitale (Telef. Upi) Amman. Palestinesi sulla pista dove sono scesi gli aerei catturati (Telefoto Upi)

Persone citate: Arnaldo Palumbo, Gianpaolo Recagno, Recagno