Ammutinati in Vaticano di Vittorio Gorresio

Ammutinati in Vaticano TRASCORSI CENTANNI DALLA BRECCIA DI PORTA PIA Ammutinati in Vaticano I centoquarantun gendarmi di Paolo VI, in agitazione sindacale, intendevano marciare su Castel Gandolfo: ne sono stati dissuasi dalla polizia italiana, intervenuta come braccio secolare della Chiesa - In quali imbrogli si troverebbe oggi il Papa, se avesse ancora il potere temporale? Non a caso, molti cattolici impegnati esaltano il valore «religioso» del Venti Settembre, chiedono la revisione o la rinuncia al Concordato Roma, settembre. Cento anni fa, entrati che furono a Roma i primi soldati italiani attraverso la breccia di Porta Pia, la Santa Sede volle che l'impresa fosse compiuta fino in fondo. Chiese difatti che essi varcassero il Tevere, occupassero la cosiddetta Città leonina — che sono i borghi attorno al Vaticano — e si assumessero quindi per intero la responsabilità di garantire l'ordine pubblico. Nella Città leonina le truppe del generale Raffaele Cadorna non avrebbero dovuto metter piede, secondo gli ordini ricevuti dal governo italiano, ma fu il papa Pio IX a giudicarli ordini insulsi. Disarmate le truppe pontificie, era pur necessario che una forza inquadrata e organizzata provvedesse alla pubblica sicurezza. Motivi salariali Cento anni dopo, proprio in questi giorni, il settimo successore di papa Pio IX, Paolo VI, ha fatto giungere alle autorità dello Stato italiano una petizione in qualche modo analoga, nel senso che una quantità di carabinieri e di poliziotti della Celere sono stati richiesti a protezione della villa pontificia di Castel Gandolfo, dove attualmente risiede il Papa a consumare queste ultime settimane d'estate. A minacciarlo, a quanto sembra, non sarebbero contestatori cinesizzanti del genere di quelli che infierirono in Sardegna nella pineta della borgata Sant'Elia in occasione della visita papale; lo scorso aprile. Non è nemmeno per il timore suscitato dal gesto di un mentecatto che ha scagliato due pietre, «grosse come pugni», contro il Papa durante una benedizione, i giorni scorsi: la difesa invocata ha da valere nei confronti degli stessi gendarmi pontifici, cioè quel poco che rimane ancora delle Forze armate vaticane. A quanto pare questi gendarmi sono sul limite dell'ammutinamento per motivi di ordine salariale, come non è infrequente che accada presso truppe di mestiere. Tra i mercenari di ogni tempo si sono sempre dati casi simili. Gli attuali centoquarantuno gendarmi del Papa (compresi nel numero anche ufficiali e sottufficiali, che rappresentano una buona parte dell'organico complessivo) sono in agitazione sindacale da circa un anno. Avrebbero voluto aumenti di paga e miglioramenti nor¬ mativi, ma inutilmente li hanno chiesti al cardinale Sergio Guerri, competente per la loro amministrazione. Inutilmente hanno ottenuto che in loro nome intercedesse il cappellano delle Forze armate del Papa, monsignor Giovanni Sessolo: anzi, il volonteroso cappellano ha perso il posto per essersi troppo prodigato. Quasi un simbolo L'idea del cardinale Sergio Guerri e del comandante dei gendarmi, colonnello Spartaco Angelini, era che tutto si sarebbe potuto risolvere con l'elargizione di una regalia una tantum, a titolo di premio extra, magari da consumare in un grande banchetto, che il colonnello Angelini aveva già commissionato, a quanto sembra, ad una trattoria di Palestrina. I gendarmi si sono rifiutati di partecipare all'agape cordiale, insìstendo per incassare invece certi soldi arretrati ai quali essi ritengono di avere diritto. Non li hanno avuti, perdurando la ferma opposizione del cardinale Sergio Guerri, c si sono pertanto rifiutati di riscuotere il normale salario, ciò che è già una protesta di natura audace. Non a questo, comunque, si sono limitati. Hanno scioperato nei giorni scorsi per mezz'ora (uno sciopero breve, ma importante perché è raro che avvenga tra gendarmi, e comunque è inconsueto in Vaticano) e successivamente avevano deciso di passare ad un'azione meglio dimostrativa. Avrebbero voluto compiere una marcia su Castel Gandolfo, a bordo di pullman noleggiati allo scopo; si sarebbero inquadrati davanti al palazzo, e avrebbero chiesto di venire ricevuti dal Papa per ottenere finalmente giustizia, naturStmente con le buone. E' stato a questo momento, avuto sentore della minaccia sediziosa, che il colonnello Angelini è corso dal cardinale Guerri, e il cardinale Guerri, in nome del Papa, ha chiesto appunto l'intervento di carabinieri e poliziotti italiani. I quattro ingressi della villa di Castel Gandolfo sono stati sbarrati e presidiati in forze e, se i gendarmi fossero arrivati, una seconda piccolissima battaglia di Porta Pia avrebbe potuto avere luogo fra le truppe dello Stato e quelle della Chiesa: ma con inversione delle parti, rispetto a cent'anni fa, perché in difesa del Papa si sarebbero battute le truppe dello Stato contro i sediziosi mercenari della Chiesa. Per fortuna, comunque, i gendarmi pontifici hanno poi desistito dal proposito (avevano mandato in avanscoperta uno dei loro, che ha riferito delle preclusive misure di sicurezza adottate dal cardinale Guerri con il concorso del braccio secolare italiano) e l'episodio ha quindi, senza carica drammatica, un valore soltanto simbolico, di pacifico apologo. Esso aiuta difatti a immaginare, con un modesto sforzo di fantasia, quali sarebbero state le condizioni di una Chiesa che si fosse trovata al giorno d'oggi ancora impigliata nelle sempre più ardue difficoltà che deve fronteggiare chi è investito dell'esercizio di un potere temporale. Se, per gli ultimi scampoli che ne restano al Papa, il cardinale Guerri deve chiedere aiuto ai colonnelli dei carabinieri e ai commissari di P.S., fa paura pensare al gravame che avrebbe dovuto sopportare la Chiesa cattolica se il coraggioso e intraprendente Stato italiano, il 20 settembre 1870, non l'avesse alleviata dalle sue terrene insostenibili responsabilità. Si è nel diritto di aspettarsi una sincera gratitudine da parte della Chiesa: ed essa forse, nel profondo, è sentita. Per motivi che sfuggono alla percezione ed alla valutazione dei laici, è però un sentimento che la Chiesa — o la Santa Sede in suo nome — si astiene dall'esprimere. Sembra che anzi, alla vigilia del centenario di Porta Pia, provi ancora disagio a riconoscere la portata storica, la portata politica, la portata religiosa della fine del potere temporale. I dirigenti della Cei (Conferenza episcopale italiana) hanno suggerito ai fedeli ed al clero preghiere speciali per il prossimo Venti Settembre, ma si sono limitati a dettare « preghiere deludenti, vaghe, poco esplicite e poco vigorose ». Visione moderna E' l'opinione amara di uno scrittore cattolico impegnato, Antonio Barolini, che dal suo angolo di credente non esita a criticare certe pavidità e incertezze delle strutture gerarchiche della Chiesa romana di fronte ad una data che dovrebbe essere apertamente riconosciuta come provvidenziale dal mondo cattolico non meno che dal mondo di ispirazione e tradizione laica. In questo senso, francamente, le gerarchie finora hanno deluso, come se ancora volessero tar dare ad ammettere l'enorme vantaggio, l'enorme guada gno che in termini di liber tà e di slancio evangelico la Chiesa ha conseguito es¬ sendo stata liberata dagli affanni temporali in tempi come i nostri, tanto compromissori nei confronti del potere. Se oggi esistesse uno Stato pontificio. Paolo VI varrebbe nel mondo quanto un Salazar o quanto un Cadano. Ha pertanto ragione un altro scrittore cattolico, Carlo Bello, a dichiarare, in un fascicolo monografico dedicato a Roma capitale dalla rivista Studi cattolici, che oggi si deve dire che è stata la Provvidenza — probabilmente perseguendo un suo disegno o un suo obbiettivo di rinnovamento ecclesiale — a servirsi « del braccio secolare dei bersaglieri italiani ». Dalla lettura dell'intero fascicolo si ha l'impressione che vengano chiarendosi fra i cattolici (come ha osservato Gaspare Barbiellini Amidei su La nuova tribuna, un mensile del pli che ha dedicato il suo ultimo numero ad un « Ricordo del Venti Settembre ») una consapevolezza liberale, un senso critico moderno, un superamento definitivo delle angustie temporali. Anche il divorzio Data serenamente come scontata la fine dello Stato pontificio, in una prospettiva più attuale sembra difatti che la parte più matura del cattolicesimo si lasci alle spalle anche quella cittadella o roccaforte concordataria e quelle pretese legalistiche che continuano invece a tormentare le gerarchie della Chiesa. Scrive ad esempio il direttore di Studi Cattolici, Cesare Cavalieri, che ormai deve essere « unanime il riconoscimento dell'inutilità delle barriere giuridiche e dei tramiti formali per assicurare la pace religiosa ed il progresso civile, che saranno invece garantiti dal senso politico e storico di tutti ». Si apre così il discorso sul Concordato: « E' una cosa brutta, vecchia e stantìa — proclama un credente come Antonio Barolìni — che la Chiesa farebbe benissimo a denunciare, perché le è nocivo; è una palla al piede della sua autentica spiritualità, senza della quale camminerebbe meglio e più spedita ». Si può continuare sullo stesso piano a proposito anche del divorzio: « E' una urgente necessità dello Stato italiano; è un provvedimento che confermerà la sacertà delle famiglie che si sentono fondate su autentici valori cattolici, e finalmente risolverà l'ipocrisia di quelle che essendo fondate su di un equivoco ( senza autentico religioso sentire e religiosa responsabilità) sono tenute insieme artificialmente e spesso immoralmente con la colla dei falsi legalismi ». Siamo nell'anno centenario di Roma capitale, che è anche l'anno del divorzio e delle dispute concordatarie. Questa è la prova che l'antica questione romana, pur avendo mutato di aspetto e di sostanza, non è ancora stata risolta, a dispetto del Concordato del 1929 e della inserzione dei Patti Luterànensi nella Costituzione della Repubblica nel 1947. Questo significa difatti che il vecchio problema dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica — il problema storicamente più importante nel nostro Paese — continua ad angustiare la vita nazionale. Rigurgiti di anticlericalismo sono quindi ancora possibili, determinati da un'invadenza clericale che, pur cambiando metodi e occasioni d'intervento, non cessa di esorbitare dall'ambito che le sarebbe proprio, a termini di Concordato e di Costituzione. Si può ricordare che lo stesso Papa Paolo VI ebbe a pronunciarsi tempo addietro — quando il divorzio venne dichiarato costituzionalmente legittimo dalla competente Commissione parlamentare — in termini di condanna se non di spregio per l'organo dello Stato italiano che aveva emesso la sentenza. Si ha memoria delle più recenti pressioni che un governo Rumor ebbe a subire, sempre a riguardo dell'attività legislativa italiana in tema di divorzio. Per quanto riguarda il Concordato, l'atteggiamento, della Santa Sede non consente il lusioni di facile intesa pacifica, nonostante le mature disposizioni che dimostrano — come abbiamo citato — i cattolici meglio qualificati. Si dia allo sciopero dei gendarmi pontifici e all'intervento dei carabinieri italiani in funzione di braccio secolare il valore d'un semplice apologo, senza cioè drammatizzarlo e quindi senza condizionare al modesto episodio un discoiso che sia più pertinente al tema di fondo, che è questo: oggi, a cent'anni da Porta Pia. restano aperte fra Stato e Chiesa questioni politiche che nell'interesse delle due parti esigono soluzioni radicali e non differite nel tempo. Esse si chiamano revisione del Concordato e divorzio, tanto per fare i nomi delle maggiori. A tenerle presenti, una maturazione dei cattolici ed~Un risveglio dei laici possono dare carattere alla prossima celebrazione del centenario del Venti Settembre, nell'interesse dello Stato ed a vantaggio della Chiesa, come nel 1870. Vittorio Gorresio

Luoghi citati: Castel Gandolfo, Palestrina, Roma, Sardegna