II sogno nero di Buñuel

II sogno nero di Buñuel LE PRIME VISIONI SULLO SCHERMO II sogno nero di Buñuel «Tristana»: storia di una passione senile, dove si raccolgono tutti i motivi tipici del regista spagnolo - «Un'estate con sentimento»: film d'amore di Roberto Scarsella, con Stefania Sandrelli (Romano) - Visto fuori concorso a Cannes, Tristana può intendersi coinè un ritratto simbolico della Spagna o come un ritratto di scapolo; meglio ancora come un autoritratto di Luis Bunuel. Alla prima interpretazione, più suggestiva che fondata, figlia d* un indiscriminato entusiasmo critico per il cinema bunueliano, preferiamo la seconda, che colloca il film, poco al di sotto di Bella di giorno, su un piano di minorità rispetto ai capolavori assoluti di questo regista, e fa di esso un esercizio, fórse un po' stanco e qua e là contaminato di commercialismo, di un ingegno tuttavia straordinario, in linea, per forza realistica e dono visionario, coi grandi picareschi. Tristana (che trasfigura un vecchio romanzo del castigliano Perez-Galdos) è la storia di un amore senile, avvolta d'un odore di tomba, spalmata d'un colore denso e scuro, a bioccoli rilevati su cui gioca la luce. Dallo specchio in cui s'è guardato, Bunuel ha fatto uscire, prima di tutto, una gran figura di vecchio libertino. Quel don Lope, alla cui tutela è affidata l'orfanella Tristana, stimato gentiluomo ed arbitro -di questioni cavalleresche nella Toledo degli « Anni Venti », in effetto uno sfinito gaudente, è una delle più calde figurazioni che ci abbia dato la tavolozza del regista applicata al piacere dell'empietà. Con qualcosa del vecchio hidalgo, povero con dignità, o addirittura del Don Chisciotte soccorritore dei deboli; nemico della Chiesa, del potere costituito, del matrimonio e di altri tabù, e impenitente cacciatore di gonnelle, non appena si avvede che la pupilla vien su molto carina, mellifluamente le esibisce un doppio amore di padre e di sposo. Tristanita, come fanno le ingenue, si adatta a tanta latitudine di cuore, prendendo però subito, in quella duplice funzione di figlia-amante, un che di autoritario e di acido. Tanto che quando conosce un giovane pittore che s'innamora di lei e vuol portarsela via, a don Lope, die pur fa qualche resistenza di cavaliere offeso, non resta che lasciarla andare. Ma la provvidenza è per lui. Passato qualche tempo ì colombi ritornano a Toledo, e Tristana, che trascina una gamba malata, chiede ospitalità al tutore, cui non par vero di riprendersela. Si tratta di tumore e la gamba deve essere amputata. Anche così don Lope. divenuto frattanto ricco per. via d'eredità, ti felicissimo: anzi la minorazione di lei e poi l'introduzione di un arto artificiale ravvivano il suo penchant feticistico. Ma non ha fatto i conti col carattere della donna, ormai totalmente pervertito dalle disgrazie (il pittore s'era squagliato a tempo). Ella si licenzia a frenesie erotiche intermezzate da ritorni d'ipocrisia bigotta, e tanto opera sui nervi del vecchio, che questo, caduto sotto il potere dei preti, la sposa. Dopodiché la perfida- gli nega il gius maritale, e tempesta da padrona per la casa, appoggiandosi alle grucce. Un suo vecchio sogno, quello di vedere la testa del tutore mutata in un dondolante batacchio di campana, si mette in fuoco; e infatti don Lope ha una crisi di soffocazione dalla quale potrebbe forse guarire se la moglie, da lui pregata, telefonasse, al medico. Ma Tristana, allucinata dal suo sogno e allettata dal denaro, non telefona. Molte cose sono da ammirare in questo macabro gioco, pur ammettendo che esso sfiora, nelle linee generali, il confezionato. E più ancora del grande risalto umoristico e in parte autobiografico del personaggio del vecchio, ritagliato nel velluto della libidine; più ancora della figura di Tristana, elevata a simbolo vendicativo della libertà repressa dall'unzione, rapisce la stregata pittura di quell'ambiente d'opera tragicobuffa, dove non c'è cosa, neppure la scioperata gamba di legno della protagonista, che non doppieggi in un secondo significato emblematico: tanto che, a farla breve, pare die tutto il mondo (come accade coi veri artisti) strapiombi fra quelle quinte. Sarà Tristana un po' allentato e facile nei particolari, ma nettissimo vi si coglie il cerchio magico dentro cui l'incredibile si fa credibile. Cosicché non importa poi molto che l'interpretazione non sia trionfale: che Catherine Deneuve segni un po' estrinsecamente l'evoluzione da ingenua a carogna; che Ferdinando Rey riscatti sì e no la monotonia del suo don Lope con la pastosità del timbro; che perfettamente commisurato alla modestia del personaggio risulti Franco Nero, il pittore. Più che su loro bisogna fissarsi sul regista che riempie l'intera scena coi suoi umori e la sua maestria di narratore. * * (Ideal) — Un'estate con sentimento ha due pregi: è un film d'amore, e un film d'amore pulito. Ne è autore il giovane Roberto Scarsella, un avvocato convertitosi al cinema attraverso istruttive esperienze americane. Dell'esordiente tradisce qua e là la rosea compiacenza, un certo languore, la nota troppo tenuta per l'illusione che dica di più. Ma se l'assetto narrativo del suo primo film lascia un po' a desiderare, vi si sentono sicure qualità in ordine alla finezza del sentire, al disegno delle psicologie, alla resa degli ambienti. Sono promesse, e più che promesse, che fanno sperar bene di lui. Intanto gli dobbiam esser grati d'aver trattato il tema canonico dei « giovani » secondo un'angolazione così romanticamente struggente, pucciniana quasi, da farlo sembrar nuovo. Tratto dal romanzo « Within and without » di John Harvey, il film narra il trionfale impostarsi d'un amore fra ineguali (Mark appartiene all'alto ceto londinese. Sue al piccolo) e poi il suo accartocciarsi e sfiorire sotto la spietata legge del conformismo. La nota fine è che questo esito sia presentito per tempo dalla povera Sue, amata follemente da Mark che se l'è portata nel Galles e l'ha resa incinta, per cosi dire, trionfalmente. Caro ragazzo a cui la vita si presenta per assoluti e l'amore affatto libero da schiavitù economiche e sociali. Egli arde e basta; e fintantoché arde. Sue rappresenta tutto per lui. è la famiglia e gli amicibene che gli tengono gli occhi addosso, non sono niente. Ma l'intuito finissimo della ragazza coglie il punto preciso in cui la fiamma cala (è allora, manco a dirsi, che ha detto di aspettare un bsslucggbcmlpmdcstLndslgqnD bambino) e poi pian piano s'estingue sotto il peso delle sollecitazioni familiari e per l'intervento carognesco di una Bridget, fanciulla-bene, che sì è portato a letto il giovinotto. Con sublime dignità Sue si libera del bambino, piega in ritirata, lascia campo a Mark di rappattumarsi coi suoi e di sposare la ricca sgualdrina. Gli toglie persino l'incomodo del rimorso. Ambientato in una Londra delle meno trite e toccata con gusto sicuro, il racconto si espande nella lunga parentesi gallese, dove le prime crepe di quell'a amore eterno » generano suspense e addensano tenerezza in capo a Stefania Sandrelli, che scandisce una recitazione chiara e onesta come la natura del personaggio. Robin Phillips, giovane attore di prosa, dà slancio a Mark; mentre Anastasia Stevens pela a dovere l'affascinante gatta di quella Bridget. Siamo nella gentilezza d'un piccolo melodramma in prosa: sicché la citazione dell'insinuante colonna sonora di Ulpio Minucci è assai pertinente. Leo Pestelli

Luoghi citati: Cannes, Galles, Londra, Spagna, Toledo