L'uomo è sempre cultura di Remo Cantoni
L'uomo è sempre cultura I maestri dell* antropologia moderna L'uomo è sempre cultura Tylor, Boas, Lowie, Krober, Malinowski, Murdock, Untori, Sidney, Kluckhohn, Herskovits: « Il concetto di cultura », a cura di Pietro Eossi, Ed. Einaudi, pag. XXXI-330, L. 3200. In Italia l'antropologia culturale è ancora la cenerentola tra le moderne « scienze dell'uomo ». Il suo statuto scientifico le viene contestato, non senza anacronismo. Vita difficile, per molti anni, ebbero anche le sue parenti prossime, la psicologia e la sociologia. L'ostracismo per la psicologia durò nella cultura ufficiale italiana fino alle soglie del 1950. La sociologia fu guardata con estrema diffidenza fino agli inizi degli Anni Sessanta. Gli Anni Settanta consentiranno, credo, il tanto atteso ingresso dell'antropologia culturale anche nella Universitas Studiorum. E vi è da augurarsi che sia un ingresso regolare, a testa alta, non già un'ammissione clandestina, per la porta di servizio. L'idea di « cultura », concetto chiave dell'antropologia moderna, fu per lungo tempo la roccaforte dei letterati e dei filosoft, la cittadella di un umanismo invecchiato, ostile alla scienza e alla tecnica. La nuova scienza dell'uomo definisce « cultura » non soltanto le creazioni della poesia e dell'arte o quelle del pensiero teoretico ma anche le invenzioni anonime dell'età paleolitica o neolitica, l'agricoltura e l'uso della ruota, l'addomesticamento degli animali o l'impiego dei metalli, i modelli di comportamento e gli stili di vita dei gruppi umani illetterati. L'antropologia esamina, ad esempio, accanto alla Cappella Sistina o alle sinfonie di Beethoven, i costumi e le tradizioni degli Arunta o dei Bororo, i cibi crudi e quelli cotti, l'abbigliamento, gli utensili o artefatti, le tecniche per cacciare 0 pescare, far l'amore o viaggiare. Suo oggetto particolare sono inoltre le credenze, i miti, i riti, i simboli, le norme e.i valori, tutto ciò, insomma, che gli uomini, sotto i cieli più diversi, hanno inventato o immaginato per costruire se stessi. Le ricerche dell'antropologia, che esiste da più di un secolo, trasformano e approfondiscono l'idea di cultura scoprendo nell'uomo, individuo o socius, il soggetto e la fonte delle « istituzioni » e delle opere. Questa vicenda storica la possiamo seguire nel bellissimo libro 11 concetto di cultura, egregiamente curato da Pietro Rossi. Grandi studiosi, come Tylor, Boas, Lowie, Krober, Malinowski, Murdock, Linton, Bidney, Kluckhohn, Herskovits, ci espongono 1 fondamenti, non sempre concordi ma convergenti, di questa «Scienza Nuova» che già Vico, fondatore ignorato della antropologia culturale o sociale, anticipò genialmente. Nel 1871 apparve la Primitive Culture di Edward Burnett Tylor (1832-1917). Egli era convinto che la storia dei popoli e delle culture seguisse, sempre e ovunque, un identico schema di sviluppo e che vi fosse analogia culturale tra l'uomo preistorico e il cosiddetto « primitivo » delle tribù indigene. L'antropologia dell'ultimo mezzo secolo ha praticamente demolito l'idea, nata in clima positivistico, che la cultura percorra, sempre e ovunque, un suo itinerario obbligato e identico nelle varie tappe della sua evoluzione, ma rimase fedele al principio che già riguardo al mondo preistorico o illetterato si potesse e dovesse parlare di « cultura ». Franz. Boas (1858-1942), grande studioso delle culture indiano-americane e vero patrono dell'antropologia attuale, ha criticato ogni forma di persistente o superstite determinismo geografico ed economico. La cultura è, nel suo fondo, irriducibile a condizioni extra-culturali e non è derivata, come sostengono i razzisti, dalle caratteristiche biologiche o genetiche dei popoli. Erede della cultura storica tedesca, Boas sottolineava l'esigenza di studiare le singole culture nei loro contesti storici e sociali, nelle loro lingue e nelle loro istituzioni specifiche, senza schemi evolutivi rigidamente prefigurati. Peculiare dell'uomo è, infatti, la grande varietà del suo comportamento nelle relazioni con la natura e con i suoi simili. Alfred L. Krober (1876-1960), anch'elfi tedesco di origine, come Boas, metteva a fuoco i temi più originali dell'antropologia, soprattutto quello dell'autonomia relativa dei fenomeni culturali nei confronti delle loro premesse biologiche e psicologiche. La cultura è, dunque, per Krober, un fenomeno « su perorganico », ossia un livello di realtà nuovo rispetto alle sue premesse organiche o, per dir te riecifiKrni monmla riclitculivmva19tre l'utivmpelaAergiracoposctrmsmtopacmcqdsSvnliptclsrlazppmssnlcLsplsercnspvdR meglio, un fenomeno « emergente » nell'evoluzione. L'ereditarietà non spiega ciò che è specifico nella cultura dell'uomo. Krober non fu però, come alcuni sostengono erroneamente, un metafisico o un assertore di una ontologia idealistica. Era, semmai, più propenso a partire dalla materia e dalla natura, ma riconosce e accentua l'originalità e il novum dei fenomeni culturali e del loro autonomo livello. L'uomo di natura o Nalurmensch non esiste, come osserva Bronislaw Malinowski (18841942), polacco d'origine, ma trasferito poi in Inghilterra e in America. Anche quando l'uomo obbedisce agli imperativi biologici più urgenti o primari, si distingue dall'animale perché organizza culturalmente la propria esistenza e inventa, nei modi più ingegnosi, un * suo » ambiente nuovo. Quando prepara il cibo, quando si muove nello spazio, quando affronta i pericoli e la morte, oppure quando fa l'amore, l'uomo rimodella e stilizza culturalmente il suo patrimonio biologico. Cultura significa beni e strumenti, costumi e abitudini corporee o intellettuali che operano direttamente o indirettamente ai fini della soddisfazione dei bisogni umani. Il compito più importante dell'antropologia è pertanto lo studio delle funzioni culturali. La grande lezione dell'antropologia culturale non è quindi il distacco, impossibile, dell'uomo dalla natura. E' piuttosto la scoperta, sempre varia e nuova, del carattere sui generis della cultura stessa. Come afferma paradossalmente Robert H. Lo¬ wie (1883-1957), viennese emigrato e allievo di Boas, « onmis cultura ex cultura ». L'elemento dominante dell'antropologia anglo-sassone è dunque il rifiuto dell'evoluzionismo unilincare e l'affermazione della inventività imprevedibile dell'uomo. Come ritengono, in modi simili, Melville J. Herskovits (18951963) oCIyde Kluckhohn (19051960), non esistono assoluti culturali, anche se ogni popolo o gruppo ha la tendenza dogmatica a chiudersi nel proprio etnocentrismo. L'antropologia — questo il suo pregio — è la sconfessione di ogni atteggiamento settario, assolutistico o esemplare. Essa è l'invito a guardare con occhi critici «noi» stessi,.se vogliamo rispettare e comprendere gli. « altri ». Remo Cantoni
Luoghi citati: America, Inghilterra, Italia
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