Il profeta smarrito

Il profeta smarrito Autobiografia di Jack Kerouac Il profeta smarrito Offuscata dal delirio nevrotico l'immagine giovane e spavalda d'un tempo Jack Kerouac: « Vanità di Duluoz », Ed. Bompiani, pag. 357, lire 2500. Tre anni or sono, gonfio di arroganza e di alcool, Jack Kerouac volle disegnare il proprio autoritratto di giovane ribelle. Battendo a velocità vertiginosa sulla tastiera della macchina per scrivere, era ormai giunto alla sera della vita. Sotto i suoi lucidi occhi verdi, le mani irriguardose del tempo avevano disegnato due borse rugose. Talvolta, parlando, sollevava le braccia senza compiere nessun gesto definito. Insoddisfazione, stanchezza, inquietudine allungavano sempre più le loro ombre sulla sua anima ferita e nevrastenica. Come scopriamo, scorrendo con un sottile disagio le pagine di questa autobiografìa, Kerouac non era un maudit, un genio corrotto e demente. Secondo Fidler, che si lascia tuttavia trascinare da un feroce sarcasmo, la sua leggenda sarebbe stata inventata da Ginsberg con la collaborazione dei fotografi di Life. A differenza comunque di I quei grandi artisti, ai quali desiderava probabilmente assomigliare, Kerouac non avrebbe mai saputo sacrificare le proprie giornate alla silenziosa solitudine della scrivania, alla sua vegetazione di foglietti e di minuziosi appunti In lui dominavano una sfrenata impulsività, un irragionevole e impaziente esibizionismo. La palla ovale fu la prima tappa di quella che diverrà betlbiedcnslnC una folle corsa verso la «tomba del successo », dove spesso « si giunge — anche prima di esser morti ». Con straziante monotonia da ubriaco, attraverso interminabili capitoli, Kerouac descrive le sue battaglie sui campi sportivi: il sudore mescolato al fango e-quella gioia vagamente isterica, che serpeggia nei sensi dopo la vittoria. Invano si cercherebbe tuttavia di riconoscere nello sterile e intristito autore di queste pagine, lo spavaldo profeta della generazione perduta degli Anni Cinquanta. Quali forze nega- tive si erano dunque impossessate di Kerouac, estendendo i loro domini sul suo generoso talento? Come molti scrittori votati all'esclusivo programma di affermare se stessi, in un momento imprecisabile della propria carriera, Kerouac era rimasto vittima di uno strano infortunio. Da un rifiuto calcolato della realtà, quale limite della propria esperienza soggettiva, egli si vide passare gradatamente a un delirio nevrotico della presenza, a un isterico rifiuto di ogni diretto confronto con gli altri e con il mondo. All'isolamento si aggiunse un atteggiamento negativo, talvolta maligno nei confronti della stessa esistenza. In questo stato, sopraffatto da una patologica sovraeccitazione, lo scrittore tenta invano di dare un volto concreto e oggettivo alla propria giovinezza. Le immagini, che gli cadono dalla penna, non hanno più presa di terra. Spesso le sue parole sembrano scorrere con un flusso idraulico, come da un rubinetto ubriaco. Le conseguenze si possono facilmente immaginare. Prigioniero di una enfasi astratta, smarrito nel proprio narcisismo, Kerouac ci rovescia addosso una grottesca, forse patetica ma irritante immagine di se stesso: il volto del campione sportivo s: confonde suo malgrado con quello del personaggio di successo che. talvolta infastidito dalla notorietà, osava sfogare la propria irritazionemanifestando un intollerabilequanto orecchiato antisemi- tismo. Antonio Debenedetti tmgm