Solzenicyn opera prima di Lia Wainstein

Solzenicyn opera prima Solzenicyn opera prima Un dramma dello scrittore russo, del 1954, già anticipa con vigore il tema dell'universo concenti-azionario: la lotta tra «politici» e criminali nei Lager Alcksandr Solzenicyn: « Il cervo e la bella del campo », « Una candela al vento ». Ed. Einaudi, pag. 216, lire 2200. A poco a poco, e senza alcun riguardo per il rispettivo ordine cronologico, le opere di Solzenicyn, in gran parte inedite in patria, diventano accessibili al lettore occidentale. Ora è la volta di due drammi, assai diversi di argomento, di tono, e anche di valore. A fondarsi sulle scarse informazioni di "cui disponiamo, Il cervo e la bella del campo (secondo quanto dice il giornalista slovacco Pavel Licko nell'intervista concessagli dallo scrittore a Rjazan' nel 1967) fu scritto nel 1954, quando Solzenicyn, uscito dai Lager, era confinato nel Kazakistan (1953-1956). E' dunque non solo la prima opera in cui egli affronta il suo te- ma fondamentale, 1 universo concentrazionario, ma è addirittura, per quanto ne sappiamo, la sua prima opera in senso assoluto, essendo Una giornata di Ivan Denisovic del 1962, e potendosi II primo cerchio i itenere del 1965. Nell'equilibrato e asciutto dosaggio del dramma nulla tradisce l'esordiente: i personaggi, una cinquantina tra zeki (detenuti) e liberi, si rivelano in frasi concise, in cui ogni parola è significativa, frasi che di rado superano le due righe. L'azione, suddivisa in 4 atti e 11 quadri, è intensamente drammatica, raggiungendo poi in talune scene (come la lotta coi criminali comuni o la destituzione di Nemov) momenti di un'ancora più esasperata tensione. Criticò Stalin Siamo nel 1945, anno in cai i detenuti superstiti dei Lager nazisti cominciavano ad intravedere qualche speranza, anno anche in cui Solzenicyn, mentre si trovava come capitano dell'esercito rosso nella Prussia orientale, venne arrestato e condannato a Lager e prigione fino al 1953, per aver criticato Stalin. Tutti gli orrori del mostruoso microcosmo, le sue leggi e il suo gergo si palesano con ritmo serrato: la corruzione e la spietatezza delle autorità, dal comandan- te del campo al medico, le pessime condizioni di vita, le frodi sul lavoro, le dure repressioni, l'inevitabile predominio dei furbi, la continua minaccia di essere trasferiti in luoghi peggiori, lo sfruttamento delle donne, le violenze, i conflitti tra le varie mafie interne. Di questi, il più terribile è il conflitto tra detenuti politici, incriminati in base all'articolo 58 del codice penale della Rsfsr (abrogato nel 1958) sui «reati controrivoluzionari », che comprende 13 paragrafi, e i criminali comuni. « Non c'è altro sistema, con loro. Questi fottuti, questi parassiti, io li ho sempre pestati dal primo giorno di prigionia, e li pesterò fino all'ultimo. Noi siamo " i nemici " e loro " gli amici " del popolo. Probabilmente i capi li tengono perché ci succhino il sangue. Tanto per tormentare quelli dell'articolo 58. Non li isolano né nelle camerate, né sui convogli. E i nostri hanno paura ». Non tutti, però, soccombono. Nel disperato clima alcuni detenuti hanno saputo conservare dei tratti umani, il coraggio, l'onestà, la compassione che mostrano ad altri, ancora più infelici, come quel misterioso Igor', il quale muore di tubercolosi in una cella di segregazione sistemata in cantina. Qui Solzenicyn afferma già la sua fede nei valori morali dell'uomo, vivi a dispetto *dei rischi che fanno correre, convinzione che sarà poi più ampiamente illustrata nel Primo cerchio. David Rousset, autore di due celebri libri sui Lager nazisti, ha scritto recentemente: « Non so nulla di Solzenicyn, se non quanto rivelano le sue opere: ma so che lui ed io, molto al di là di quello che, per altri versi, ci può dividere, facciamo parte del medesimo universo. E' appunto questa comunicazione fondamentale che fa della letteratura concentrazionaria mondiale un fenomeno eccezionale ». Gioco intellettuale A differenza de il cervo e la bella del campo, di un'asprezza singolarmente efficace, Una candela al venia (I960) è forse l'unica opera di Solzenicyn che malgrado la ".onsueta, impeccabile fattura, non convince appieno. L'autore stesso ne è d'altronde consapevole, tanto che nella già citata intervista concessa a- P Licko, dichiara: « Credo che il lavoro non sia riuscito, benché a suo tempo 10 si sia voluto rappresenta re nel teatro Vakhtangov e in quello centrale, del Kom somol » Il dramma si fonda sul conflitto tra l'aspirazione a non lasciar spegnersi la candela dell'anima e la completa identificazione con un materialismo scientifico in cui i valori morali si annullano. Nel tentativo di conferire una validità universale ai termini del dibattito, l'autore ci presenta una fantascientifica élite di studiosi di cibernetica, alquanto impalpabile e i sommaria nella sua intenzionale astrattezza. Così, mentre Ivan Denisov'ic, Nerzin (nel Primo cerchio). Nemov, Ljuba o Gaj (ne /J cervo e la bella del campo) divenllino spontaneamente, sconfinando dalla precisa caratterizzazione, i simboli di una umanità oppressa, in Una candela al vento non si procede oltre le premesse di un brillante gioco intellettuale. Evidentemente, nemmeno un Solzenicyn può riuscire a « mostrare i problemi mora 11 della società in paesi ultamente sviluppati, socialisti o capitalisti che siano ». Lia Wainstein

Luoghi citati: Kazakistan