Il regista dopo la rivoluzione

Il regista dopo la rivoluzione Bertolucci, ex alfiere del nostro cinema di protesta Il regista dopo la rivoluzione A ventinove anni, ha scoperto che il «pubblico popolare», sognato dal cinema di sinistra, non esiste - « Quel popolo cui sognavamo di rivolgerci è una nostra immaginazione retorica » (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 25 agosto. «Giovinezza» danzate, a sveltissimo ritmo di fox-trot, le sahariane e gli abiti femminili con le spalle quadrate, la gorgheggiata canzone sentimentale «Usignolo», l'orbace che pare ancora più cupo sulle abbronzature contadine. Mussolini che nelle dolcezze dialettali emiliane diventa « il duze ». « Niente è passato », dice il regista Bernardo Bertolucci, « il fascismo è per me un elemento quotidiano, contro cui mi trovo continuamente a sbattere. Il mio interesse per quel periodo nasce da questo, ed è ancora più forte nel Conformista, che ho tratto dal romanzo di Moravia: un film sul fascismo da cui si esce pensando che il mondo in cui viviamo non è molto diverso ». La fine dell'eroe La strategia del ragno, che il regista è venuto a presentare a Venezia, è piuttosto un film sui miti dell'antifascismo: «In tanti borghesi italiani la scelta antifascista avvenne per motivi libertari, individualisti, culturali, anarchici: magari addirittura per ragioni di buon gusto. Non aveva radici in una necessità di classe né in una tradizione politica. Per questo le fragilità, i compromessi, i tentennamenti o persino 1 tradimenti potevano diventare più facili, potevano nascere da umori occasionali: la scoperta della paura, una frase dell'amante... nelle figu re dell'antifascismo borghe se c'è sempre una parte di ambiguità » Per la prima volta, in un film italiano, un eroe antifascista non viene esaltato ma demistificato: è bastato per attirare subito sui. regista l'accusa di aver mancato di rispetto alla resistenza antifascista. «Ma no», polemizza lui, « proprio non vorrei che qualcuno della generazione più anziana reagisse sentendosi sotto accusa. Io dico soltanto: smettiamola con gli eroi mitici, anche quando si tratta di eroi dell'antifascismo. Tiriamoli giù dal loro piedistallo, impariamo a conoscerli come uomini. E poi continuiamo a dire che erano degli eroi: perché in loro sono rappresentati tutti quelli che hanno lottato contro il fascismo. Anche se la cosa migliore, naturalmente, sarebbe arrivare ad una società che non abbia più bisogno di eroi né di padri ». Suo padre, il poeta Attilio Bertolucci, siede poco lontano; insieme con suo cugino Giovanni che è il produttore del film, a suo fratello Giuseppe che ne è l'aiuto regista, a sua moglie Maria Paola Maino che ne ha creato le scene e i costumi. E tutti gli sono intorno con fierezza affettuosa. Bernardo Bertolucci è, dice Moravia, « un fiore di serra »: è cresciuto nel mondo dei letterati, ha cominciato a scrivere poesie a sette anni e a tredici ha girato il suo primo film di dilettante, a ventun anni ha vinto a Viareggio il premio per l'opera prima e ha debuttato alla Mostra di Vene zia con La commare secca Molto presto è diventato uno dei registi italiani prediletti dalla critica francese: perche faceva un cinema d'avanguar dia e, con Prima della rivo¬ luzione e Partner, un cinema politico. Adesso, a ventinove anni, realizzando La strategia del ragno per la Televisione, ha scelto invece uno stile più semplice: « Forse mi ha influenzato l'idea dell'enorme pubblico televisivo cui il film è destinato: finora i miei film li vedevano soprattutto i frequentatori di cinema de essai, arrivavano con difficoltà alla massa degli spettatori. Ma sentivo già il bisogno di raccontare le cose in modo più limpido, più chiaro: certe formule del cinema, chiamiamolo così, d'avanguardia, mi paiono ormai logore, sterili, superate ». L'utopia e la nevrosi Non sono mutati i suoi interessi umani: « Ho sempre fatto film su personaggi sconfitti. Forse perché, come i decadenti, sono attratto dai vinti. O forse è un esorcismo: come se, dichiarando certi limiti, uno riuscisse a trovare la forza per superarli ». Ma nel cinema rivoluzionario non ci crede più: « Mi sono reso conto che con i film risultati politici non se ne raggiungono. Per anni noi registi giovani di sinistra abbiamo continuato a parlare di cinema popolare, di pubblico popolare. La verità è che il pubblico popolare non esiste. Quel popolo cui sognavamo di rivolgerci è una nostra immaginazione retorica: la gente che frequenta i cinematografi è profondamente condizionata dai film commerciali e dalla televisione, non ha al fatto l'innocenza estetica e il classismo politico di cui noi caricavamo il termine "popolare". E allora che fai? Il cinema di élite per l'elite della classe lavoratrice? Non è neppure un'ipotesi: è una boutade. La classe lavoratrice non considera per niente il cinema un possibile strumento della sua lotta. Per un po' di tempo mi sono illuso che si potesse fare un cinema rivoluzionario: adesso ho capito che è un'utopia dovuta alle nostre nevrosi e ai nostri complessi di colpa ». Dalle nevrosi lui si sta liberando con la psicoanalisi: « Seguo da qualche mese una terapia analitica che mi fa molto bene. Il mio film precedente, Partner, era un'opera -chizofrenica, e l'ho girata in preda ad una totale schizofrenia. A La strategia del ragno, invece, ho lavorato con grande serenità ». Una pausa, un dubbio, uno sberleffo finale: « Magari con quella stessa serenità verde, silenziosa e idillica che regna nei cimiteri ». Lietta Tornabuoni * Un dramma ad Assisi sul Nordeste brasiliano Assisi, 25 agosto. Nell'anfiteatro della Cittadella cristiana è andato in scena, per la prima volta in Italia, il dramma « Morte e vita severina » del poeta brasiliano Joao Cabrai de Melo Neto. 11 dramma presenta un j personaggio comune del ; Nordeste brasiliano, uno dei j tanti di nome Severino che j lascia il suo paese sulla mon| tagna della Costela, monta gna magra e scabra, per an ! dare verso la pianura e il ! mare in cerca di lavoro. I (Ansa)

Luoghi citati: Assisi, Italia, Venezia, Viareggio