I bulldozer sulla frutta di Arturo Barone

I bulldozer sulla frutta I nostri soldi I bulldozer sulla frutta Le distruzioni avvenute nell'ultimo mese, in varie regioni d'Italia, di molte decine di migliaia di quintali di pere e di pcsehc, hanno provocato indignate proteste sia da parte dei produttori che dei consumatori. Pare assurdo, al cosiddetto «uomo della strada», che si debbano affrontare altre fatiche ed altre spese per distruggere un alimento come la frutta, la cui produzione è costata molti sforzi e il cui consumo è ben lungi dall'essere eccessivo. E l'assurdità risulta confermata da certi commenti dei produttori che hanno quasi il sapore di una bestemmia: «Ver noi le cose vanno meglio quando le colture, in una certa misura, vengono colpite dalla grandine e dalle brinate primaverili ». Gli economisti hanno un bel dire che, se si vuol assicurare un certo prezzo ai produttori, altro non resta che ritirare dal mercato — per altre utilizzazioni — le quantità clic fanno cadere i prezzi al di sotto del livello prestabilito. Indugi burocratici 11 latto che le utilizzazioni possibili (distribuzione gratuita agli enti di beneficenza ed assistenza, distillazione alcoolica, impiego per l'alimentazione del bestiame) rimangano il più delle volte sulla carta, sarebbe dovuto solo all'estrema deperibilità del prodotto, che non tollera troppi indugi burocratici. Ad un certo punto, l'unica soluzione pratica è il rovesciamento della frutta sui campi e il ricorso al bulldozer. Per quanto realistiche, queste argomentazioni non sono del tutto persuasive: anche coloro che bt: ne servono tradiscono un certo imbarazzo, che li costringe a riconoscere che qualcosa non va, che bisogna fare qualcosa per contenere lo scandalo entro proporzioni sopportabili. Si può infatti ammettere che il ciclo di maturazione sia occasionalmente falsato da andamenti climatici anormali: un'estate precocemente calda può anticipare l'offerta di certi tipi di frutta o di verdura provocando — eccezionalmene — un eccesso di produzione che il mercato, colto in contropiede, non è in grado di assorbire. Ma in Italia, da qualche anno, i raccolti abbondanti di certi prodotti (arance, mele, pere, ecc.) tendono a diventare la regola. 1 magri raccolti di ciliegie, albicocche e pesche servirono nel 1969 a giustificare prezzi di affezione per la frutta della tarda primavera e a smerciare, sempre a prezzi altissimi, le mele accatastate nei frigoriferi sul finire dell'autunno in piena crisi di sovrapproduzione. Quest'anno, la produzione di pesche e di pere è di poco superiore al 1968, che fu anno climaticamente normale; parlare di raccolto troppo abbondante non ha quindi molto fondamento. Certo, l'impressione di sovrabbondanza sarebbe meno diffusa se l'esportazione « tirasse » di più, se più intensa ed efficace fosse la propaganda all'estero (ma l'Ice dispone attualmente, per tale scopo, della somma irrisoria di 350 milioni l'anno), se la disponibilità di carri frigoriferi non costituisse ancora una « strozzatura » gravissima nei mesi di punta. Ed è senz'altro vero che la coopcrazione fra i produttori e il loro intervento diretto sui mercati all'ingrosso potrebbero favorire il collocamento di maggiori quantità di frutta a prezzi più remunerativi per gli agricoltori. Episodi mafiosi r Le stesse associazioni dei produttori dovrebbero poi provvedere alla conservazione e alla trasformazione industriale di quella quota dcll'olferta che risultasse veramente eccedentaria, assumendosi inoltre il compito d'impedire — mediante un'opera assidua di propaganda e di consulenza tecnica — che gl'investimenti (n nuovi frutteti o in' nuove varietà poco richieste dai consumatori diano luogo ad eccedenze di cui poi si giudica inevitabile la distruzione. L'Italia fa grande assegnamento, per vendere le crescenti produzioni di ortofrutticoli delle zone irrigue del Mezzogiorno, sui mercati della Comunità europea e sulla « prefei •enza » che gli accordi comunitari le concedono. Temo che si nutrano in proposito illusioni eccessive. Fino a quando i nostri prezzi all'ingrosso saranno gonfiati ila una catena d'intermediari sarà ben dif- lìcile per noi competere con aesi che sono riusciti ad organizzare il settore con un minimo di razionalità. Del resto, quanto avviene sul mercato interno e abbastanza sintomatico. Si parla di «sovrapproduzione» quando al dettaglio non si riesce a vendere, a 250-500 lire il chilo, quelle stesse pesche che all'origine non trovano compratori a più di 5040 lire. Episodi camorristici e mafiosi, affiorali anche di recente nelle cronache delle maggiori città del Mezzogiorno, dimostrano sino a che punto può risultare redditizio il controllo incontrastato dei mercati all'ingrosso di frutta e verdura. Pur di non dividere tale controllo con i rivali, non si esita a lar ricorso alle intimidazioni, agli « avvertimenti », persino al delitto. Nel Nord, certi sistemi sono estranei alla tradizione lo cale, ma il mantenimento delI lo status quo viene perseguito con mezzi meno cruenti: mediante collusioni e forme di pressione che stroncano sul nascere l'affermarsi di una vera concorrenza all'interno dei mercati all'ingrosso. Proprio in questi giorni, la Confagricoltura ha chiamalo in causa le autorità locali per la loro opposizione all'ingresso nei mercati delle associazioni di produttori. Varrebbe la pena che simile accusa venisse documentata in modo irrefutabile, con nomi e cognomi. Arturo Barone

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