Lo svedese e gli altri di Carlo Casalegno

Lo svedese e gli altri Lo svedese e gli altri Molte cose importanti sono dovute accadere prima che il mediatore svedese Gunnar Jarring, agendo in nome e per delega del segretario dell'Onu, potesse incontrare ieri a New York in colloqui separati i rappresentanti di Israele, dell'Egitto e della Giordania, ed avviare i negoziati indiretti che dovrebbero condurre da una tregua precaria a formali trattative di pace. E' stato necessario che i belligeranti sentissero il peso intollerabile d'una guerra senza soluzione militare; che gli israeliani temessero l'isolamento e gli arabi avvertissero i vincoli sempre più stretti della tutela sovietica, la debolezza della discordia, le minacce rivoluzionarie dei guerriglieri palestinesi; ma soprattutto che Russia ed America, sfiorato il rischio d'un « confronto » diretto, premessero con risolutezza sui rispettivi alleati. Tuttavia rimane vero che le trattative di New York sono una rivincita della diplomazia, messa troppo frettolosamente tra 1 relitti del passato, ed anche della cultura, all'apparenza fuori luogo in un tempo di aspre passioni collettive. I colloqui del Palazzo di Vetro si svolgono tra sottigliezze che avrebbero incantato 1 plenipotenziari del Congresso di Vienna: sono negoziati ir .ìiretti, ma ufficiali; in una sede lontana dal teatro di guerra e neutrale, ma dove tutti gli Stati si sentono a casa propria; al livello di ambasciatori, ma accettando che il delegato israeliano rappresenti il suo ministro degli Esteri. Ed i protagonisti delle conversazioni sono insieme diplomatici d'alto rango e sofisticati intellettuali. L'israeliano Tekoah ha incominciato l'Università in Cina per finirla in America; ha diretto per anni la delegazione d'armistizio del suo paese ed è stato ambasciatore a Mosca prima di passare all'Onu. L'egiziano Zayyat, allievo di Oxford, è un orientalista che ha alternato l'attività politica agli studi sulla filosofia persiana del Medioevo. E lo svedese Jarring è un filologo, passato dalla cattedra universitaria alla diplomazia per la sua conoscenza delle lingue turamene. Fra i protagonisti delle trattative non è soltanto la figura centrale, ma anche la più interessante. Porta le virtù tradizionali del diplomatico, la discrezione e la pazienza, la cautela e l'obbiettività, fin quasi alla caricatura. I suoi silenzi sono impenetrabili: in patria i colleghi l'avevano soprannominato «Ostrica» ed il segretario dell'Onu ha detto una volta: « Non posso credere che Gunnar si sia compromes so tanto da rispondere No comment ad un giornalista ». Spinge l'imparzialità fino a rifiutare incontri con ambasciatori di paesi coinvolti solo indirettamente nel conflitto mediorientale. E si direbbe che tenda a mimetizzarsi per passare inosservato: è certo il più scolorito dei mediatori che la Svezia ha offerto nell'ultimo quarto di secolo al mondo in guerra. Ma i suoi gusti ed il suo stesso riserbo ne fanno un personaggio. E' davvero un tipo fuori del comune uno svedese nato in campagna, che parli correntemente do dici lingue (compreso l'ara bo), abbia esplorato l'Asia centrale a caccia di parole e per hobby compili un vocabolario dei dialetti usbe chi. O un diplomatico dalla brillante carriera (ambascia-1 tore nel 1958 a Washington e dal 1964 a Mosca), che si sforzi di apparire « un muro bianco » svolgendo la missione internazionale più prestigiosa e difficile, e riesca a coprire ogni moto d'orgoglio sotto la maschera «d'impeccabile fattorino della Western Union ». Sono parole sue: vuol essere come un impassibile registratore per consentire un dialogo tra arabi ed israeliani, che rifiutano di parlarsi direttamente. E l'eccezionale memoria gli consente, dicono, di far da corriere tra le due parti senza bisogno di nastri magnetici. Nel 1967-68, in diciotto mesi di continui viaggi tra Cipro, Gerusalemme, Il Cairo, Amman, Beirut e New York, è stato soprattutto un corriere sfortunato tra le due parti; in questa nuova fase della sua missione potrà incontrare migliore successo, e soprattutto agire finalmente da mediatore, cioè portare un contributo attivo e personale alla ricerca d'un compromesso? Dei bene informati, alcuni sono scettici: «Jarring è davvero un muro bianco » ha detto un diplomatico inglese, convinto ch'egli non possegga l'energia e la passione indispensabili per spingere verso un accordo. Al tri, a cominciare dal segretario dell'Onu, sono di parere contrario. Pongono molte speranze nel suo talento, affinato in una carriera che lo ha portato dal lavoro d'informazione nella Turchia del '42-'45 ai compiti di ambasciatore presso i due Supergrandi. Contano sulla sua calma paziente e impassibile, sulla sua esperienza del Medio Oriente, sul suo talento di filologo: l'impiego sottile delle parole è di primaria importanza nelle trattative arabo-israeliane. E soprattutto traggono buoni auspici dal suo capolavoro di due anni fa: in una missione lunghissima, e fallita, ha conservato la fiducia di entrambe le parti. Che il Levante ritrovi la pace, non dipende soltanto dal mediatore svedese: egli si trova al centro del' tifone, ma non può controllarlo. Tuttavia la nuova fase delle trattative dirà come una cartina al tornasole (l'immagine è d'un suo collega) se Gunnar Jarring sia un bravo od un grande diploma- tlC0' Carlo Casalegno

Persone citate: Amman, Gunnar Jarring