Si è uccisa con un colpo di pistola al cuore perché non poteva vedere le due bimbe di Francesco Fornari

Si è uccisa con un colpo di pistola al cuore perché non poteva vedere le due bimbe Chiarito il mistero della morte della madre di Verolengo Si è uccisa con un colpo di pistola al cuore perché non poteva vedere le due bimbe Aveva 26 anni e viveva separata dal marito, che teneva con sé le figlie di 7 e 4 anni - Pensava sempre a loro, era ossessionata dal pensiero di non poterle avere vicino - Mentre la casa era piena di parenti e amici, si è chiusa in camera sua attuando il suicidio - Nessuno ha udito la detonazione - Come si è procurata la rivoltella? (Nostro servizio particolare) Verolengo, 17 agosto. Una giovane madre si è uccisa con un colpo di pistola al cuore. Chiusa in camera sua, si è sparata mentre al piano di sotto parenti e amici conversavano allegramente, ignari della tragedia. Non hanno neppure udito la detonazione, soffocata dalle loro risate. E' morta sola, come aveva sempre vissuto, torturata da un dolore senza fine: il ricordo delle sue due bambine, che il marito, da cui viveva separata, non le permetteva più di vedere. Sì chiamava Teresa Dagostaro, aveva 26 anni, era sposata con l'elettricista Salvatore Manitta, 33 anni, abitante a Vercelli in via Verdi 15. Un matrimonio mal riuscito, che neppure la nascita delle figlie, Angelina e Rosalba, di sette e quattro anni, era riuscito ad accomodare. Nell'aprile scorso la donna aveva definitivamente abbandonato il marito, andando ad abitare in un albergo di Ve-rolengo, vicino alla casa della sorella Rosa, di 24 anni, che vive con l'antiquario Giuseppe Schittino, 37 anni, in una villetta alla periferia del paese. « Mia sorella non era mai andata d'accerdo col marito — racconta Rosa Dagostaro —. Era già scappata nel '61, ma io l'avevo - convinta a tornare. Questa volta però non aveva voluto sentire ragioni: la sua decisione era definitiva ». Per aiutarla in qualche modo, lo Schittino l'aveva accolta in casa. « Mi faceva pena, non aveva denaro, era triste, preoccupata. Le ho offerto la mia ospitalità, le ho prestato dei soldi perché si comperasse qualche vestito. Era scappata senza portare nulla, a mani vuote. Le ho trovato anche un lavoro in un negozio di acconciature a Chivasso. Cer-, cavo di aiutarla perché mi faceva pena ». Teresa Dagoslaro ha tentato di adattarsi alla nuova vita, ma il ricordo delle figlie si faceva ogni giorno più struggente. Racconta lo Schittino: « Almeno una volta la settimana l'accompagnavo a Vercelli,. perché voleva vedere la più piccola, Rosalba, che frequentava la scuola materna. La più grande è malata e non esce quasi mai di casa. Il marito non voleva che lei vedesse la figlia, così l'accompagnavo nei pressi dell'asilo e lei aspettava per ore l'uscita della bimba. Si accontentava di vederla da lontano, ma anche questo infuriava il marito, che veniva a protestare con me, a casa mia, accusandomi di avergli rubato la moglie" e di volergli portare via le bimbe ». Sabato sono arrivati a Verotengo parenti e amici dello Schittino. « Venivano tutti da Lascari, in provincia di Palermo, ed erano compaesani di Teresa. Fra gli altri c'era anche mia madre », dice l'antiquario. Teresa Dagostaro li saluta con gli occhi bassi, confusa e intimidita. La storia del suo matrimonio, delle fughe, della separazione, è già arrivata in Sicilia e i compaesani la guardano con diffidenza. L'unica che le si avvicina è la madre dello Schittino, Domenica, di 59 anni. Dice il figlio: « Sapete come sono le madri. La mia, in tono pacato e senza malizia, le ha detto che era spiaciuta per le voci che circolavano sul suo conto a Lascari. Le ha detto che sarebbe stato molto bello se avesse fatto pace con suo marito, che doveva preoccuparsi per il benessere delle figlie e non pensare solo a se stessa ». Con gli occhi gonfi di pianto. Teresa ha abbandonato il salone ed è corsa in camera sua, al primo piano, chiudendosi a chiave. Lo Schittino è uscito per comperare del cibo, quando è rincasato pioveva a dirotto. « Ho trovato i miei parenti a pianterreno: il fragore dei tuoni copriva a volte le loro parole. Io penso che Teresa si sia uccisa allora: questo spiega perché nessuno ha sentito il colpo di pistola ». Più tardi l'hanno chiamata per la cena, ma non ha risposto. « Abbiamo pensato che fosse ancora in collera e non se la sentisse di stare in compagnia, e non abbiamo insistito », dice la sorella. Domenica mattina, dopo aver cercato inutilmente di farsi aprire, lo Schittino ha sfondato la porta. « Era sdraiata sul letto. Prima ho creduto che fosse addormentata, poi ho vistp la pistola per terra e quell'orribile ferita all'altezza del cuore. Mi sono messo ad urlare, ero terrorizzato ». Sono accorsi i carabinieri di Verolengo col maresciallo Palese, poi il vicepretore di Chivasso, dott. Gribaldo, ed i tenenti Gioia, di Chivasso e Passerella del nucleo investigativo di Torino. La pistola, una Beretta cai. 9 che ha i numeri di matricola limati, non era mai stata vista prima dagli abitanti della casa. « Se avessi saputo che aveva un'arma — dice lo Schittino — avrei fatto di tutto per portargliela via » Stamane il prof. De Bernardi, dell'Istituto di medicina legale, ha fatto l'autopsia della salma e la prova del guanto di paraffina. Nessun dubbio che la poveretta si sia uccisa, resta invece da chiarire come abbia fatto a venire in possesso della pistola, un'arma da guerra di cui è vietata la vendita e che si può trovare solo clandestinamente. Per accertare questo particolare, i carabinieri indagano a Chivasso e a Torino, dove la Dagostaro lavorava e dove frequentava una scuola di taglio. Sono stati interrogati anche alcuni conoscenti. La risposta è stata quasi sempre la stessa: « Non sappiamo. A nói parlava soltanto delle sue bambine. Non aveva altro per la testa, erano la sua ossessione ». Francesco Fornari

Persone citate: Beretta, De Bernardi, Gioia, Gribaldo, Salvatore Manitta