Le "talpe,, sotto l'Appia

Le "talpe,, sotto l'Appia UN MALE CHE NON INVESTE SOLO LA METROPOLITANA Le "talpe,, sotto l'Appia Sono macchine meravigliose che si lasciano dietro una galleria perfetta - Le prime lesioni nelle case ed il grande allarme Inchieste, supercomitati e la decisione salomonica: sospendere i lavori e lasciare in pace la gente - Un inquietante interrogativo: chi ha dato l'ordine di scavare a ventidue metri quando il progetto prevedeva una profondità di trenta? Roma, agosto. Gli «scudi», o «talpe», sono macchine da considerare come gioielli per la perfezione tecnica che loro è propria, e come colossi per la mole: set metri di diametro, duecento tonnellate di peso, mez zo miliardo di costo. Sono arrivati a Roma dall'America dove li hanno approntati nel breve giro di diciotto set Umane, dopo che l'Urss, che anche dispone di esemplari interessanti, aveva fatto sapere che occorrevano sei me si di tempo soltanto per mandare i disegni dei macchinari, che poi sarebbero stati eventualmente modificati per servire alle particolari esigenze di uno scavo a foro cieco in una città come Roma. Un metro l'ora Così, evitato l'invischiamento della burocrazia italiana con la burocrazia sovietica, nel 1969 sono state messe in opera le due meraviglie dell'industria americana, che scavano, eliminano il materiale dì sterro e costruiscono una galleria in una serie contestuale di azioni. In media, avanzano alla velocità dì un metro l'ora lasciandosi dietro una galleria perfetta, stagna, retta da conci prefabbricati saldati a cinque a cinque per chiudere l'anello. Adoperate con tutte le cautele del caso, hanno permesso di procedere al ritmo di dodici metri il giorno In condizioni di terreno particolarmente favorevoli, una volta hanno comun que consentito un'avanzata — record mondiale — di quaranta metri e venticinque centimetri. I tecnici e gli operai della società appaltatnce. la Sacop (Società azionaria cementazioni per opere pubbliche), si sono sempre tenuti, tuttavia, a criteri dì giudiziosa prudenza Si tratta dì una società che gode di altissimo credito, collegata con un gruppo di espertissimi costruttori milanesi che l'hanno vitalizzata di recente. Una perentoria ed autorevole dichiarazione pronunciata in questi giorni ha difattì sancito che « gli uomini che di rigono a Roma la realizzazione della metropolitana sono fra i migliori del móndo in questo campo: lo affer miamo con conoscenza di causa. Il loro senso di responsabilità è stato molte volte dimostrato ». Eppure, con queste macchine meravigliose e con questi uomini modello (ai quali perfino l'Unità ha voluto rendere omaggio: ti E' fin troppo facile — ha scritto — accusare solo la Sacop »), il disastro è avvenuto. Il 15 luglio, sulla via Appia, alle cinque del mattino si sentì una scossa, come di terremoto, in molte case della via Appia Nuova. Però la Sacop l'aveva prevista e aveva già raccomandato agli abitanti della zona dì non preoccuparsene: si trattava dell'incontro della talpa con alcune falde freatiche preventìvamen te identificate, che' non sarebbe stato difficile puntel- lare. Ma quello che, al contrario, non era stato previsto, furono le crepe, le lesioni nelle case, e l'abbassamento del livello stradale, per cinque centimetri in quel punto. Così quel giorno si dovettero sgomberare sette appartamenti e chiudere cinque negozi. Il 18 luglio undici appartamenti sgombrati, sette negozi chiusi. Il 22 toccava ad altri quindici appartamenti e tre negozi. Il 28 un autotreno in transito apriva nella strada una voragine profonda due metri e larga tre. Rassegnazione La Sacop sostenne la tesi dell'assoluta innocenza e innocuità delle «talpe»; era sua convinzione che la buca dovesse trovarcisi già prima, in quel punto, malamente rappezzata. Ma il giorno dopo, 29 luglio, tutto uno stabile dovette essere sgombrato: si fece notare però, come scusante o consolazione, non si sa, che gli edifici prospi denti via Appia Nuova generalmente sono vecchi e tatiscenti, contando dai quaranta agli ottanta anni di età. Fatale, quindi, che non reggessero al travolgente dinamismo moderno delle « talpe ». Del resto, venne ancora ricordato come invito alla rassegnazione di fronte all'ineluttabile, anche nel 1950, quando era in costruzione il tronco di linea Termini-Eur, vari palazzi erano stati sgombrati nella zona dì San Pietro in Vincoli. A Roma è facile la rassegnazione, e invalsa l'abitudine ài trovare cause di forza maggiore in-tutte le circo- stanze che richiedano applicazioni volonterose ed interventi pronti a prevenire ì mali o a trovarne i rimedi. Gli ordini di sgombero emanati dal sindaco sono stati difatti contestati come un sopruso dagli abitanti della via Appia. abbarbicati nelle loro case e nelle loro botteghe pericolanti. Altro sopruso, l'ordine di bloccare il traffico stradale chiesto dai Vigili del Fuoco il 30 luglio: essere privati delle automobili, quale ne sia il motivo, è considerato dai romani una soperchieria delle autorità. La Sacop, dal suo canto, sosteneva le ragioni degli abitanti: prometteva di puntellare dove fosse necessario, e che inquilini e bottegai se ne stessero quieti. Esiste però a Roma una speciale « Commissione stabili pericolanti », nome orninoso che dischiude anche più di uno spiraglio sulle reali condizioni della città. Composta di rappresentanti dei Vigili del Fuoco, del ministero dei Lavori Pubblici, del Genio Civile e della XV Ripartizione del Comune (urbanistica, edilizia privata), la « Commissione stabili pericolanti » fu pronta a intervenire presso il sindaco di Roma, delio Darida, agitandogli lo spauracchio di una catastrofe imminente: sessanta edifici erano al rischio di uh crollo improvviso, i loro abitanti — dai cinque agli ottomila, una piccola Libia nel cuore di Roma — dovevano essere allontanati, ed i lavori delle «talpe» immediatamente sospesi. Il sindaco Darida si spaventò, effettivamente, e fece quello che poteva: emise, nella notte dal 3 al 4 di agosto, ordinanza di sgombero generale. Quanto alla sospensione dei lavori delle «talpe» non era affare di sua competenza. Spettava al senatore Italo Viglianesi, ministro dei Trasporti. Egli adunò trenta persone di estrazione variata, chiamandole dal Comune, dal proprio ministero e da quello dei Lavori Pubblici, dalla Motorizzazione, dal Genio Civile, dai Vigili del Fuoco, naturalmente dalla Sacop, e in più da una speciale Commissione consiliare capitolina che il sindaco Darida si era affrettato per suo conto a nominare. I trenta dibatterono a lungo opinioni in contrasto. Intransigenti i Vigili del Fuoco, minimizzatori del perìcolo i tecnici della Sacop, possibilisti o incerti molti fra gli altri, per Viglianesi era difficile raccapezzarsi. Decise in modo salomonico, alla fine: che i lavori venissero sospesi, ma gli abitanti lasciati in pace nelle case e botteghe. Estraneo ai fatti A coronamento della risoluzione, nominò un'altra Commissione ad alto livello, presieduta dallo stesso presid"nte del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, ingegnere Antonio Franco. Nel giro di tre giorni quella Commissiona avrebbe dovuto riferire e suggerire sulla sorte degli abitanti e sulla condotta dei lavori. L'ingegner Franco, d'altra parte, a suo tempo li aveva autorizzati proprio nella maniera in cui sono poi stati compiuti. Sembra a qualcuno che egli apparisse nella veste ambigua di un controllore controllato. Ma tagliò corto Viglianesi. definendo l'ingegnere un cittadino e un teeo superiore a ogni sospetto, e spiegò anche, con un sottile distinguo, che l'approvazione dei sistemi di lavoro della Sacop non era stata data mai dall'ingegner Franco personalmente, ma da una apposita sezione del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici che egli si trova a presiedere dal 1" luglio 1967. Così stando le cose, arguiva Viglianesi, l'ingegner Franco era da considerare estraneo ai fatti avvenuti. Contenti Franco e Viglianesi, contenti tutti, per il momento, anche perché le conclusioni della Commissione ad alto livello sono venute adesso a sdrammatizzare la situazione. Dei sessanta edifici da sgomberare e dei cento negozi che si credeva di dover chiudere sono stati fatti salvi quasi tutti: solo quattordìd famiglie dovranno cercarsi un altro appartamento, e cinque negozianti sospendere l'eserdzio. Quanto ai lavori della Sacop, essi sono interrotti fino ad un nuovo ordine, assolutamente imprevedibile nella natura e nella data: sì pronuncerà al riguardo un'altra supercommissione, chissà quando, che il ministro dei Trasporti si riserva di ascoltare. Talpe in riposo Nell'attesa, le «talpe» si riposano. Quella che scavava il cunicolo di sinistra in direzione della città è ferma sotto il piazzale Appio dove scorre un torrente sotterraneo, chiamato Marano, portatore di 170 litri al secondo dì un'acqua potabile conosciuta da sempre con il nome di Acqua Crabra. La Marano, una volta, più o meno fino ai tempi della prima guerra mondiale scorreva a cielo aperto prima di gettarsi nel Tevere all'incirca all'altezza dell'Isola Tiberina. Era un corso d'acqua rispettabile, e si ricorda che in altra età con la sua forza — scorre in pendenza — era capace dì azionare un mulino, una distilleria, una segheria ed una fabbrica di varecchina.Poi fu interrata per fare posto alle costruzioni intensive della speculazione edilizia del primo dopoguerra di questo secolo. Ma l'acqua è rimasta, nel sottosuolo, e si è scavato un nuovo letto, dove la « talpa » ora è arrivata. Lo ammette anche la Sacop: « La "talpa" si è imbattuta nel materiale di riporto che era servito a ricoprire il tor rente. Un assestamento del terreno era nelle previsioni. Si tratta di constatarne l'entità », ha dichiarato l'ingegner Giorelli. Anche il diret tare generale della società, ingegner Fongi, pacatamente informa: « Sondaggi ne abbiamo compiuti in maniera più che soddisfacente. Siamo infatti in possesso del completo profilo idrogeologico della zona ». « Ma perché non si è provveduto prima d'ora a consolidare il terreno? ». « Una volta eseguiti i sondaggi, questa necessità non era stata avvertita. Adesso, dopo i primi cedimenti e le prime lesioni agli stabili studieremo nuove soluzioni ». Modifica imprudente La migliore sarebbe, come è ovvio, scendere al dì sotto, molto al di sotto della Marana, alla ricerca di una vera sicurezza non solo nei riguardi del torrente, ma poi anche di tutte le fondamenta delle case nei quartieri del centro. La sicurezza è certa solo quando si dista dalla superficie almeno cinque volte il diametro del foro che si apre, in condizioni di terreno buono. Il terreno di Roma buono non è, e si dovrebbe quindi ulteriormente aumentare il margine di precauzione. Dato che sull'Appio il foro ha un diametro di sei metri, sarebbe necessario scendere anche sotto i trenta, che era il limite mìnimo previsto nei progetti della Sacop. Viceversa — e il mistero della modifica imprudente non è stato svelato — sotto l'Appia si scava alla profondità di soli ventì-ventìdue metri. Spiega l'ingegner Fongi: « Il nostro progetto prevedeva uno scavo molto più profondo. E' stato il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici a chiederci di por¬ tare i lavori a ventidue metri di profondità invece che ai trenta metri, come era nel nostro progetto originario ». Denunciato il fatto, l'ingegner Fongi si chiude nel silenzio. L'ingegnef Franco, presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, sarà ancora una volta dichiarato dal ministro Viglianesi non responsabile della variante, 'dato il distinguo che egli usa tra una delle seziorll del Consiglio superiore e il presidente del medesimo. Sarà pur da trovare un responsabile, comunque. Cause civili sono in vista per risarcimento di danni, le società assicuratrici stanno già studiando i motivi di contestazione, alcuni invocano un'inchiesta parlamentare, altri un procedimento giudiziario. Questa metropolitana alla profondità di venti metri lascia perplessi, a dire poco, quando si pensa che i - « tubes » di Londra sprofondano a più di cinquanta dal livello del suolo. A Roma l'uso di fare e di far fare le cose a mezzo, approssimativamente, disordinatamente, sempre in ritardo, a costi crescenti, e male, purtroppo non investe soltanto la questione della metropolitana. Questa è però un esempio tipico di quella condotta politica, tecnica, amministrativa, che ha fatto precipitare la capitale nella condizione di un informe agglomerato dove nulla funziona e nulla più si regge. In questa condizione ne stiamo celebrando il centenario, magari senza averne neppure una cattiva coscienza. Vittorio Gorrèsio Roma. La via Appia Nuova sbarrata: case pericolanti per gli scavi della metropolitana (Telefoto)