La dolce vita di "Pussycat"

La dolce vita di "Pussycat" LE PRIME SULLO SCHERMO La dolce vita di "Pussycat" Una satira senza trama di Rod Amateau - « La rossa maschera del terrore » : malefici africani - « Le avventure di Gerard » : un Napoleone di Skolimovsky (Vittoria) — Che cosa di più vecchio del motivo della moglie che rende pan per focaccia al marito che la tradisce? Ma è il tono che fa la musica, e quel motivo sembra nuovo nelle caleidoscopiche frenesie di Pussycat Pussycat... ti amo, e sembra nuovo perché svuotato di sentimentalismo e affogato nel grottesco. Diretto dal regista Rod Amateau con la mano d'uno che getta i dadi, il film si può intendere come un'esercitazione di gusto felliniano intorno al tema della « dolce vita » romana dei giorni nostri, in ambiente paracinematografico: il marito, uno sceneggiatore britannico, corre sì la cavallina, ma sbadatamente, essendo tutto preso dai suoi complessi, fra i quali primeggia quello di perdere i capelli (onde il suo parrucchiere assume ufficio di psicanalista); e altrettanto disimpegnata è la moglie nel cercare II suo « principe azzurro » e nel credere d'averlo trovato in un divo del cinema, il quale è poi pretesto per concludere lo spettacolo nei teatri di posa, con una ridda di gags arieggiami la satira del « western all'italiana ». Senza una trama vera e propria, senza centro e senza nessi, il filmetto si *rova nella pericolosa condizione di dovere sfornare trovate a getto continuo; o ovviamente il getto è a singhiozzo e le ciambelle senza buco sono le più. Resta che in quella atmosfera pazzerellona, invocante Indulgenza, sbadigli e sorrisi si alternano senza grave danno per lo spettatore estivo, disposto ad apprezzare, oltre alle molte beltà muliebri, alcuni azzeccati spunti satirici sul matrimonio, sull'erotismo e sulle frustrazioni sessuali. t Belle le immagini a colori di Tonino Delli Colli, pertinente la musichetta pop di Lalo Schifrin, piuttosto rilassata la partecipazione del protagonista Jan McShane, con cui sono Anna CalderMarshall, S. Darden, John Gavin e tanti altri. \m p. (Nazionale) — C'è effettivamente qualcosa di Poe, della sua cupezza e morbosità, nella storia d'un maleficio importato dall'Africa per una vendetta tribale la cui conseguenza è la deformazione mostruosa del volto di chi l'ha subita: un baronetto inglese al quale è toccato un castigo destinato a un iniquo fratello, reo d'avere ammazzato un negretto in piena foresta equatoriale. Questo fratello nasconde nel proprio castello il mostro, naturalmente bramoso di punire chi l'ha ridotto in quella bestiale condizione, che lo ob. bliga, quando è libero, a circolare con il viso celato dai una maschera scarlatta. E', come dice il titolo del film. La rossa maschera del terrore: di stoffa e non di cera come quella d'un altro sventurato eroe cinematografico dalla faccia ripugnante. Anche stavolta l'orrore governa il racconto: prima dell'epilogo, che vedrà il fratello reo vittima dello stesso maleficio che colpì l'innocente, il film dà fondo al repertorio technicolorato delle nefandezze: si parte dalla necrofilia e si arriva agli sgozzamenti a ripetizione. L'intrepida regìa di Gordon Hessler non si fa scrupolo di spingere a fondo il pedale dell'orrore, sì che qualche effettaccio arriva ad essere, più che allucinante, mistificatorio. Tra gli interpreti Vincent Price. Christopher Lee, Uta Levka, Hilar Divyer. * * fGioielloJ — Nessuno dei grossi nomi scritturati per il technicolor americano Le avventure di Gerard sembra impegnarsi minimamente. Sulla traccia di un romanzo scacciapensieri di Arthur Conan Doyle che aveva pensato ad uno spiritoso antieroe che rischiò, per la sua balordaggine, di mutare volto alla storia durante la campagna spagnola di Napoleone, gli attori si muovono svogliatamente. Peter McEnery è un protagonista che strizza deplorevolmente l'occhio ai più sprovveduti degli spettatori. Eli Wallach fa un comico Na-*\ poleone di maniera. Jack Hawkins è travolto dalla macchietta del suo sadico generale di ladroni, Claudia Cardinale deve fingersi con difficoltà patriota * e donna d'armi, John Ncville, Leopoldo Trieste e Carlo Delle Piane sono smodati nei caratterizzare alcune figure di contorno. Del tutto fuori luogo però è il regista polacco Jèrày Skolimovski, già collaboratore di Polanski e « Orso d'Oro » a Berlino per Le départ («Il vergine»), il quale ha evidentemente accettato l'incarico perché a corto di quattrini e non riesce a prendere sul serio la caricatura di grandi uomini e la deformazione di periodi storici. Una volta avviata la vicenda — Napoleone affida a Gerard un messaggio con falsi piani di guerra perché è convinto che i nemici lo uccidano e ne vengano tratti in inganno — egli assiste indifferentemente alle peripezie di McEnery che si trasforma invece nel più valido artefice della grandeur. vice

Luoghi citati: Africa, Berlino