Realismo di Bonn di Ferdinando Vegas

Realismo di Bonn Realismo di Bonn Il trattato tedesco-sovietico, siglato ieri a Mosca da Scheel e Gromyko, merita veramente di essere definito un documento storico. A venticinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dagli accordi di Potsdam fra i vincitori della Germania, l'accordo di Mosca chiude una lunga fase della storia contemporanea, quella del dopoguerra, e si spera che ne apra un'altra, la fase della normalità. Non solo fra russi e tedeschi, ma per lo sviluppo pacifico dell'intera Europa, occidentale e orientale. Non si conoscono ancora i termini precisi del trattato, ma il suo significato generale non può essere dubbio. Di fatto, se non nella forma, è il trattato di pace fra la Germania e l'Unione Sovietica, così come gli accordi di Parigi del 1954, con l'ingresso di Bonn nel Patto Atlantico e nell'Unione dell'Europa Occidentale, tennero luogo di pace fra la Germania ed i vincitori occidentali, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. La differenza fra i due avvenimenti è tuttavia fondamentale: gli accordi con l'Occidente erano accordi fra Paesi già amici, non facevano che ratificare l'inserimento della Repubblica federale nel sistema politico-militare occidentale; invece il trattato di Mosca è stato stipulato fra avversari politici, già impegnati a fondo nella « guerra fredda», ciascuno membro di opposte alleanze. Ci son voluti quindici anni perché dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche fra Mosca e Bonn (settembre 1955) si giungesse all'attuale trattato, che scongela finalmente tali relazioni dalla rigidità protocollare in cui si erano sinora mantenute. Il merito primo e massimo è di Brandt, che ha avuto il coraggio di guardare in faccia la realtà internazionale qual è: la sistemazione territoriale dell'Europa scaturita dalla guerra è immodificabile, a meno che non si voglia correre il rischio della terza guerra mondiale e quindi della catastrofe atomica. Tanto vale, allora, riconoscere questa realtà, con la Germania divisa in due, con l'esistenza della Repubblica Democratica tedesca, con il confine dell'Oder-Neisse. E' un boccone amaro per i tedeschi; ma infine Brandt accetta soltanto gli attuali rapporti di forza e registra che la Germania ha perso la guerra e ne deve pagare le conseguenze. Il punto sa pitale del trattato tedescosovietico, quale che ne sia l'esatta formulazione, sta proprio nell'impegno dei due contraenti di rispettare l'integrità territoriale di tutti gli Stati europei, entro i confini attualmente esistenti. Con questa formula viene aperta la strada alla conclusione delle trattative, ormai giunte a maturazione, fra Bonn e Varsavia; e si facilita anche la stipulazione d'un accordo fra Bonn e Berlino Est, senza che la Repubblica federale debba procedere al riconoscimento pregiudiziale della Repubblica Democratica. Il successo della Ostpolitik di Brandt, in meno di un anno, appare dunque pieno, su tutti e tre i fronti: Mosca, Varsavia e Berlino Est. Ancora più , importante degli aspetti particolari è però il significato generale della «pacificazione» fra la Germania occidentale e l'Unione Sovietica. Per la prima volta viene sottoscritto un trattato fra un Paese membro dell'Alleanza Atlantica e un Paese appartenente al blocco opposto, il Patto di Varsavia. Bonn, che è già la maggiore potenza occidentale del continente europeo, compie cosi, com'è stato det- to, un atto di « emancipazione diplomatica », acquista cioè autonomia di movimento rispetto ai suoi vincitori, e ora alleati occidentali, con tutti i vantaggi e tutti i rischi di un simile passo. Ma questo non vuole affatto dire che a Mosca sia stata realizzata una seconda Rapallo. In cinquant'anni i tempi sono enormemente cambiati: l'Unione Sovie¬ tica è una delle due superpotenze, mentre la Germania occidentale, comunque si sposti, non è in grado di capovolgere la bilancia dell'equilibrio mondiale. Bonn tuttavia non pensa a spostamenti sensazionali, tant'è vero che, durante }e trattative con Mosca, si è mantenuta sempre in stretto contatto con i suoi alleati occidentali. Brandt, xiel Testo, è un « occidentale », un « europeo » convinto, che sa bene come il peso internazionale della Germania dipenda dall'appoggio dei suoi alleati e quindi non pensa neppure lontanamente a sovvertire il sistema internazionale. Il fatto stesso che la ratifica del trattato sia rinviata a dopo che i «quattro Grandi» avranno sistemato la questione di Berlino significa che Bonn, cui preme molto la salvaguardia di Berlino Ovest, deve sempre contare sugli alleati. La Repubblica federale, pertanto, resterà bene inserita nel sistema occidentale, anche se il trattato di Mosca apre prospettive dinamiche, sul piano economico non meno che su quello politico. Ferdinando Vegas Mosca. I ministri Scheel, a sinistra, e Gromyko mentre firmano l'accordo russo-tedesco (Teletoto Upi)

Persone citate: Brandt, Gromyko