Antenati e dèi di Provenza di Carlo Carena

Antenati e dèi di Provenza Antenati e dèi di Provenza J.-P. Clébert: « Provence antique », Ed. Laffont, 2 voli, di pag. 561, franchi 40. Aspra e dolce, mediterranea e alpestre ma ugualmente favolosa, la Provenza non cessa di attrarci e il suo richiamo, tra letterario e balneare, è dei più forti sugli itinerari delle nostre possibili vacanze, quasi irresistibile nell'arco dì un anno. Jean-Paul Clébert vi giunse da Parigi nel 1956. Da allora l'autore di Paris insolite, romanzo fortunatissimo, di Paris que j'aime e dì Rèver de Paris non ha più lasciato la Provenza. Si è stabilito nel Luberon, sulle Alpi Marittime, e di lì ha sfogliato metodicamente i trascorsi del suo nuovo amore. Ed ecco Rèver de Provence e finalmente questi due bei volumi dì Provence antique, che potrebbero procurarci, oltre ad una lettura affascinante, agile e vìva, anche una vacanza nuova: si può girare gradevolmente il mondo in cerca di cibi genuini o altre amenità, ma anche — una tantum — del passato, quando la guida sia intelligente e simpatica, di quelle che schivano i musei troppo afosi per indicarci fugaci sortite dalle strade abituali. La Provenza antica ha due poli d'attrazione fondamentali, disposti alle due estremità del suo territorio e ai due limiti cronologici del suo lontano passato: la preistoria e l'impero romano. Ad est, sia che si entri per il Colle di Tenda o per Ventimiglia, la preistoria ci viene incontro con alcune delle testimonianze più remote della vita umana sulla terra. Le dieci grotte dei Balzi Rossi, a filo del confine di Stato sul mare, abitate centomila anni prima di Cristo, sono forse troppo note per tornarvi, così come quelle di Grimaldi, a Monaco, con le loro tracce del paleolitico. Uno spettacolo più imprevisto e assai più impressionante si apre invece poco dopo Tenda. In un ambiente naturale grandioso e desolato di picchi e di lugubri laghi, sotto un cielo Spesso tempestoso (la descrizione del Clébert è convincente e contagiosa), si snoda la stretta Valle delle Miniere. Da ogni parte si è investiti da una toponomastica patibolare. Di fronte il Monte Bego, la montagna sacra, sorgono la Cima del Diavolo e il Corna di Capro; sotto, i laghi d'Inferno e il lago Nero, il lago Verde, le Mille Forche. E tutt'intorno, per una decina di chilometri quadrati, tra ì radi alberi e la sterpaglia, ogni roccia è coperta di segni misteriosi simili a quelli della Val Camanica e della Val Germanasca. Pastori seminomadi, appartenenti ad una civiltà sconosciuta dell'età del bromo, per un millennio vennero incidendo a decine di migliaia, con un segno schematico ma naturalistico, le figure dei loro animali (cervi, buoi), dei loro attrezzi (carri, aratri), delle loro armi (spade, asce). Fantastica collezione di omaggi, di propiziazioni, di ex voto lasciata dai fedeli al terribile dio della montagna. Non molto tempo dopo già arrivavano dal mare sulla costa ì Greci di ^ocea. fondatori di Marsiglia e di altre fortunate città del litorale. Dalla Grecia parte la gentilezza provenzale, resistente a durissime prove nel corso dei secoli, e pronta a rinascere più volte in forme smaglianti. Gli splendori supremi del paese in età antica sono però legati alla successiva conquista romana. Domizio Enobarbo, vincitore degli Allobrogi nel 121, apre la ■'Ha Domizia, quella stessa che ancor oggi dal passo del Monginevro scende a Briangon e dì lì si spinge verso ovest fin 1 a congiungersi poco sotto Avignone con la via Aurelio, che intanto dalla Liguria si protendeva, come si protende tuttora, lungo la costa fino a Fréjus per poi risalire nell'interno verso le grandi città della Provenza occidentale: il triangolo magico Arles-Nimes-Orange. Arles s'irradia dalla sua splendida arena, attraverso il teatro, le terme e il circo, fino al Rodano, che qui divarica il suo delta e s'immerge nella Camargue; e ancora la popolano i fantasmi di Cesare che la fondò e di Costantino che ebbe a soggiornarvi. Nimes, al terminal occidentale della via Domìzia e dell'Aurelio, trae la sua bellezza e la sua gloria dai rapporti idillici che seppe intrattenere con gli imperatori. Lontana dai grandi centri di passaggio, borghese e pia, la città ripeteva nella sua atmosfera serena la grande armonia della natura circostante. Ferrea invece Orange, più a nord: Colonia Julia firma Arausio, fondata da Augusto per i veterani d'una sua legione. Dell'accampamento romano Orange conserva la struttura, con le due vie principali che la tagliano da nord a sud e da est a ovest.- Le sue mura, le porte, il grande arco presentavano con prepotenza ai Galli che giungevano nella Provincia la saldezza incrollabile del conquistatore e insieme ammonivano il viaggiatore in partenza ch'egli stava lasciando il mondo civile per immergersi, oltre quell'ultimo avamposto, nell'oscuro Settentrione. Come sì vede, c'è ancora modo dì ricuperare, da quelle parti, qualche dimensione umana. Carlo Carena

Persone citate: Bego, Corna, Greci, Grimaldi, Laffont, Provenza J.-p.