Smettere la "rissa meridionalistica,,

Smettere la "rissa meridionalistica,, Smettere la "rissa meridionalistica,, Le capacità reali di rinnovamento dei pugliesi sono in grado di creare piattaforme comuni per lo sviluppo del Sud Nella primavera del 1966 si svolse in Puglia una singolare battaglia. Teatro dello scontro il Comitato regionale per la programmazione. Le armi: una democratica valanga di ordini del giorno. Protagonisti dell'offensiva i rappresentanti delle zone particolarmente depresse della Puglia, Salento in testa, per via delle cosiddette « serre salentine » (seguito del sub-appennino dauno, vasta zona di esodo della provincia di Foggia riscaldata dalla speranza dopo i ritrovamenti metaniferi) e della Murgia, soprattutto quella barese, rimasta taglia¬ ta fuori, per secoli, dagli itinerari di sviluppo. I programmatori respinsero gli ordini del giorno: prendeva corpo un primo abbozzo di discorso unitario. La domanda che saliva da quelle aree di sottosviluppo era legittima. Ma aveva il torto di essere formulata in termini approssimativi e rivendicazionistici. La verità è che quelle aree venivano ancora considerate come un « ghetto » che avrebbe dovuto essere lambito dal soffio vivificante proveniente dai « poli di sviluppo ». Più vero ancora: la classe dirigente locale impoverita dalla fuga delle forze giovani, i partiti e i sindacati, gli enti comunali erano incapaci di elaborare alternative valide desunte da studi sulle valorizzazioni « in loco » delle risorse e da piani comprensoriali intersettoriali. L'endemica debolezza politica era anche una debolezza culturale, per l'incapacità di far propri e di tradurre in termini di azione politica i temi che le minoranze critiche e i gruppi critici organizzati pur andavano elaborando in quegli anni, in op- posizione a schemi piovuti dall'alto. Il gruppo dei meridionalisti di Puglia, sulla base di un documento presentato dall'urbanista Marcello Fabbri (era il giugno del 1965, cioè tre anni circa prima che Pasquale Saraceno bandisse da Bari le note test anticoncentrazioniste) aveva parlato di un più equilibrato rapporto da crearsi fra zone povere e aree di decollo industriale della Puglia, ipotizzando vere e proprie fasce di sviluppo in alternativa ai « poli ». Le avanguardie critiche del meridionalismo pugliese e lucano (in questo caso mi riferisco anche al gruppo facente capo alla rivista «Basilicata» di Leonardo Sacco) avevano spesso sollecitato, in un modo né uluministico né professorale, le forze politiche e i sindacati a diventare protagonisti della programmazione, con visioni nazionali ed europee. Granài investimenti La Regione Puglia nasce dunque in un momento in cui alcune grandi industrie del Nord hanno deciso di investire cospicui capitali nel Mezzogiorno in aggiunta a quelli della mano pubblica, e mentre già sul suo territorio la guida dello sviluppo economico e culturale è stata assunta da grandi imprese pubbliche e private. Queste imprese esercitano un potere che si è sostituito a quello che la borghesia agraria, nel corso della storia post-unitaria fino al fascismo, ha esercitato in senso regressivo. Di fronte a questa realtà nuova, che è comunque una realtà- globale in progresso (potrebbe esaltare lo spontaneismo imprenditivo, non sempre assecondato e guidato da una classe politica consapevole) si troveranno ancora una volta le forze politiche e sociali pugliesi sommate come « costituente » della Regione. Tali forze dovranno prendere sempre più coscienza dei termini nuovi della « questione pugliese », misurandosi modernamente con il gigantismo industriale e presentando alternative programmatiche autonome, capaci di utilizzare in senso collettivo e democratico le spinte provenienti dall'industrializzazione. Ma la Puglia (e il Mezzogiorno), come ha' ricordato recentemente Leo Valiani, può disporre di una viva tradizione politico-culturale, regionalista, meridionalista ed europeista, legata a lunghe tradizioni di lotta, che ha saputo rinnovarsi fino ad acquistare un volto peculiare e inconfondibile, in opposizione al giolittismo, al protezionismo, all'accentramento, al malgoverno statale e locale, al blocco agrario ed alla cultura nazionalistica e pseudoumanistica che esprimeva; al neo-clientelismo, al neo-trasformismo e neo-colonialismo poi, cosicché la lezione di Salvemini e di Tommaso. Fiore, di De Viti De Marco e di Di Vittorio, è servita ai giovani meridionalisti pugliesi, imbevuti di cultura europea, per portare avanti arditi processi di revisione critica, politica, culturale, storiografica, per prospettare un meridionalismo dei tempi nuovi, dell'industrializzazione, del progresso scientifico e tecnologico, della programmazione. Il meridionalismo dell'« alternativa meridionale » di Michele Abbate e quello che punta su un rapporto organico fra ricerca scientifica e sviluppo economico di Beniamino Finocchiaro (e di Augusto Graziani, se guardiamo fuori della Puglia, alla Campania). E' in grado questa nuova cultura pugliese di creare piattaforme comuni e di modificare la realtà, le istituzioni? Intanto non siamo ai tempi di Salvemini, di Gobetti e di Carlo Rosselli i quali nel Mezzogiorno andavano atta ricerca col lanternino di intellettuali coraggiosi e combattivi. A parte gli intellettuali di diversa estrazione operanti fuori della- regione che mantengono contatti fecondi col gruppo dei meridionalisti (i Cifarelli, i Morlino, i Tamburrano, i Cassie ri, i Cavazza), a parte alcuni nomi di storici, critici letterari, urbanisti, narratori ed artisti che già circolano nella cultura nazionale, bisognerà pur riconoscere che uno stuolo di nuovi meridionalisti e studiosi e tecnici opera in collegamento con la cultura nazionale: si chiamano Crudele, V. Chiaia, Cotecchia, Di Bari, Dilio, Di Vagno, Fabbri, Giacovelli, Mazzillo, Minchilli. Nebbia, Patrono, Romano, Satalino, Scardaccione, Formica, Reichlin, Di Paola, Papapietro, Anna Malera, Amati, Amendola, Pace, Sobbrio. La Regione Puglia non dovrà estraniarsi né dalle battaglie popolari né dai gruppi critici, dalle università, dai tecnici. Pena la sua asfissia, la sua atonia, il suo rientrare in vecchi schemi quando invece sono sul tappeto non solo problemi drammatici di riequilibrio fra coste ed entroterra, di difesa delle coste, del paesaggio, dei centri storici, ma anche di progettazione comune con la Basilicata, il Molise, la Calabria, la Campania. La «grande regione» si troverà di fronte a vecchi e a nuovi problemi. E già oggi assistiamo ad un nuovo tipo di domanda che sale dalle popolazioni. Le genti del quadrilatero metanifero chiedevano e chiedono piani zonali, irrigazione, lavorazione « in loco » della materia prima. Tuttavia bisogna dire con estrema franchezza che questa può diventare una battaglia di retroguardia, a patto che sia capace di diventare sempre più concreta e precisa (quali tipi di piani? Quale programmazione ospedaliera, quella scoordinata, finora attuata?), sempre meno subordinata ad interessi.corporativi e settoriali, sempre più capace di scegliere, di stabilire priorità, di prevedere il futuro e le conseguenze sulla società civile dei grandi insediamenti industriali. Siamo nel momento in cui tutto il nuovo può diventare vecchio. Non è più sufficiente reclamare l'attuazione totale del piano irriguo e delle acque o la ristrutturazione della viticoltura, dell'olivicoltura e della mandorlicoltura. Occorre prevedere una politica di mercato per i prodotti della nuova agricoltura, il che significa porre in primo piano il ruolo della Regione nella prospettiva europea e della regionalizzazione dell'Europa comunitaria. Occorre impostare in termini nuovi la battaglia per l'acquisizione all'economia pugliese di quel « valore aggiunto » in agricoltura che attualmente va a beneficio di altri settori e di altre zone del Paese. istituii specializzati Non è più sufficiente invocare industrie e contendersele fra città e città. Bisognerà urgentemente ottenere dal Cipe che istituti specializzati portino avanti le ricerche sulle specializzazioni industriali, sul « polo » chimico, su quello meccanico, sui possibili blocchi di investimento nella siderurgia, nei settori della trasformazione dei prodotti agricoli e nelle industrie a tecnologia avanzata. Bisognerà definire il ruolo dell'area di ricerca pugliese, soprattutto dopo che la Cassa ha finanziato il Osata promosso dall'Istituto di Fisica dell'Università di Bari. Sarà urgente coordinare tutti gli strumenti di intervento e l'azione degli enti locali specializzati, nell'agricoltura e nel turismo. Come spenderà la Regione pugliese i 64 miliardi di entrate complessive di cui disporrà? Scimmiottando la politica nazionale di esaltazione dei consumi individuali o attuando una chiara e programmata politica di soddisfacimento dei consumi collettivi e sociali? Se le risposte saranno deludenti e intempestive, anche da parte dello Stato e degli strumenti nazionali dell'intervento straordinario, verrà meno proprio quella capacità di iniziativa, coerente con i contenuti meridionalistici della programmazione, che il «contratto sociale regionale» dovrebbe con successo portare avanti. ir-., t-- Vittore Fiore