La guerra delle arachidi

La guerra delle arachidi ANALISI La guerra delle arachidi (In Guinea i portoghesi difendono i privilegi di poche centinaia di famiglie) Il Senegal chiede aiuto: si sente minacciato d'invasione. Sempre più frequentemente i portoghesi sconfinano dalla Guinea-Bissau, bombardano villaggi ed incendiano piantagioni per dare la caccia ai ribelli guineani, che nel vicino Paese troverebbero un comodo rifugio. Si ripete nel cuore dell'Africa nera la stessa situazione del Medio Oriente: anche il Libano e la Giordania pagano l'ospitalità alle basi dei guerriglieri palestinesi con duri bombardamenti aerei e spesso con fulminee azioni israeliane oltre i confini. La settimana scorsa il presidente Senghor si è rivolto all'Onu invocando la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza; e ieri è partito per Parigi, ben deciso a chiedere alla Francia d'intervenire presso la Nato contro il Portogallo. Da otto anni si combatte in Guinea l'ultima guerra coloniale del continente: una guerra assurda, che non rende certo a.uanto costa. Secondo Newsweek, il Portogallo impegna nelle tre colonie d'Africa (la Guinea, il Mozambico e l'Angola) un esercito di 50 mila uomini e spende, per mantenere quel corpo di spedizione, quasi la metà del suo bilancio.- La Guinea non ha risorse particolari: le uniche sue ricchezze sono il riso e l'arachide, prodotti a coltura intensiva in ogni palmo di terra fertile. Lisbona difende in questa piccola colonia (.36 mila kmq, poco più del Piemonte) i privilegi di poche centinaia di famiglie. I bianchi sono infatti 25003000, su una popolazione di 800-900 mila unità Padroni assoluti del Paese, hanno diritto di vita e di morte sugli indigeni. Secondo la Costituzione, le colonie portoghesi non sono territori soggetti alla metropoli, ma « province d'oltremare » i cui abitanti sono «cittadini» della madrepatria. Ma gli indigeni hanno uno statuto speciale, che li rende cittadini di seconda classe. L'articolo 2 li definisce « persone di razza nera, che non hanno ancora l'istruzione, né le attitudini individuali e sociali perché sia loro applicato il diritto proprio dei cittadini portoghesi ». II lavoro forzato è la base economica del sistema. I portoghesi lo chiamano « lavoro a contratto »; in realtà la condizione umana dei contratados non è diversa da quella dello schiavo. Prima che manifestasse clamorosamente il suo dissenso dal regirne con il dirottamento del transatlantico Santa Maria, Henrique Galvao fu inviato dal governo in Guinea per un'indagine sullo « status» degli indigeni. Scrisse in un rapporto mai divulgato a Lisbona che « sotto certi aspetti la situazione è peggiore di quella degli schiavi. Nel regime schiavista l'indigeno è comprato come un animale ed il suo proprietario e interessato che si mantenga bene, come un bue o un cavallo... qui non viene compralo: lo si prende in affitto dallo Stato, anche se si continua a chiamarlo uomo libero. E il padrone si preoccupa assai poco se si ammala o muore mentre lavora... Ne chiederà un altro ». Per effetto del lavoro forzato, la vita media dei guineani non supera i 30 anni. La mortalità infantile tocca vertici forse mai raggiunti in altri Paesi del mondo: fino al 60" o La malaria e l'anchilostomiasi: la malattia da denutrizione, ialcidiano le tribù; la tubercolosi, la dissenteria, la bilharziosi riducono grandemente le capacità di lavoro; i lebbrosi sono 30 mila. E' stupefacente che un popolo in simili condizioni di abbrutimento abbia trovato la forza di sollevarsi in armi. Un giorno un redattore di Jeune Afrique chiese ad Amilcar Cabrai, il capo del Partido africano da inàepeuderida da Guiné e Cubo Verde (Paigc), che guida la lotta anti-portoghese, »e ti suo partito fosse marxista. «Che cos'è il marxismo? — ri.spo se Cabrai —. Se è la dottri na della dittatura de! prole toriato, non ci riguarda. Non abbiamo proletariato in casa nostra ». Amilcar Cabrai è uno dei tre leaders africani che Paolo VI ricevette venti giorni fa, suscitando le ire di Lisbona. Alfonso Di Nola 7 S'iouis Diìhriì h ■ y'TIiies SS» tDioutlwl BnW w^SENIEGAL'r 7,n,;,,,,.J,nrjS|-;rf''"'' U I N E A

Persone citate: Alfonso Di Nola, Henrique Galvao, Paolo Vi, Senghor