Salvata una gemma di Venezia di Marziano Bernardi

Salvata una gemma di Venezia IL RESTAURO DEL SETTECENTESCO PALAZZO LABIA Salvata una gemma di Venezia (Dal nostro inviato speciale) Venezia, luglio. «L'abia o no l'atrio, resto sempre Labia », così si dice che una sera, giocando in dialetto con le sillabe del proprio nome, il fastoso patrizio incitasse i senatori veneziani banchettanti tra gli affreschi del Tiepolo nel suo superbo palazzo di S. Geremia a gettare dalle finestre' le stoviglie d'oro nel canale di Cannaregio. Un gesto, se mai, da parvenu di ogni tempo, compreso il nostro. Ma, a parte il fatto che solide reti dovevano esser tese sotto il pelo dell'acqua da cui i gondolieri di casa Labia avrebbero facilmente ricuperato, a festa finita, la vaisselle piate del padrone, se poi si guardano t quadri del Canaletto, di Pietro Longhi, di Giandomenico Tiepolo, si notano le grinte di certi tipi capacissimi di emulare la grossolana mil lanteria dell'orgoglioso anfi trione. Nobili questi Labia, mercanti e banchieri oriundi di Spagna? Lo erano dalla metà del Seicento, quando il palazzo a S. Geremia non c'era ancora. Nella cronologia che chiude il volume della Fon dazione Giorgio Cini, La ci viltà veneziana nell'età barocca si legge alla data 29 luglio 1646: « Primi di lunga serie i Labia sono aggregati al Patriziato offrendo cento¬ mila ducati». Infuriava la guerra coi turchi, non fortunata, la Repubblica aveva bisogno di denaro, pochi gior ni prima i pievani avevano convocato in chiesa i capifamiglia per raccoglierne, e con scandalo delle antiche illustri casate si cominciava a vendere i titoli di nobiltà. Una complessa storia I Labia, dunque, se non altro potevano vahtare una priorità, e la costruzione di un grandioso palazzo che di questa accentuasse il prestigio, e nel quale profusero somme enormi, era giustificata. Se ci riferiamo alla cronologia del volume che segue quello citato, cioè La civiltà veneziana del Settecento, troviamo una precisazione: « 8 dicembre 1720 Andrea Comincili progetta Palazzo Labia». Ciò non significa che la costruzione del palazzo gli debba essere ascritta per intero, ed Angelo Scattolin, docente di restauro nell'Istituto Universitario di Architettura in Venezia, ha rilevato nel grandioso edificio che da pochi giorni è divenuto la sede operante della Rai di Venezia notevoli modificazioni della struttura originaria. Tuttavia la facciata verso il canale, caratterizzata da un pesante fregio di aquile coronate tratte dallo stemma dei Labia ed improntata a un gusto ancor schiettamente barocco, è da assegnare al Cominelli; mentre quella bellissima sul campo S. Geremia, più tarda di circa un trentennio, fu disegnata dal padovano Alessandro Tremignon, l'autore della famosa facciata di S. Moisè E' probabile che alla metà del Settecento il palazzo fosse compiuto in ogni sua parte, dotato d'un vasto salone centrale e d'altri attigui ambienti di rappresentanza secondo le esigenze delle maggiori famiglie patrizie veneziane del secolo. E a decorarli, chi un Labia poteva chiamare, se non il più celebre pittore locale del tempo? Giambattista Tiepolo vi lasciò uno dei suoi massimi capolavori: « una delle più sublimi pagine dell'illusionismo pittorico », scrisse Antonio Morassi, collaborandovi per le finte architetture il prestigioso Gerolamo Mengozzi-Colonna. Su una parete il Tiepolo dipinse l'Incontro di Antonio e Cleopatra, su quella di fronte, sempre al centro, il Banchetto degli amanti; nel soffitto II Genio che mette in fuga il tempo; tutt'intorno fra le colonne e sull'alto figure e minori scene stupende Contrariamente a quanto era accaduto poco prima con il perduto Trasporto della casa di Loreto agli Scalzi, che nel passaggio dal meraviglioso bozzetto (Gallerie dell'Accademia di Venezia) all'immenso affresco della chiesa l'estro si era spento nel virtuosismo, l'Incontro — come notò Rodolfo Pallucchini — conserva sul muro di Palazzo Labia « l'intensità espressiva stupefacente » del bozzetto ch'è al Museo di Edimburgo. Anche in altre sale il maestro lasciò l'impronta del suo genio, ed ora sono in corso studi accurati per gli accertamenti di ciò che fu da lui eseguito e ciò che va dato a collaboratori o ad altri artisti. L'insieme, secondo Giulio Lorenzetti, resta « il più suntuoso apparato di decorazione settecentesca veneziana ». Progressiva decadenza Resta mercé l'opera encomiabile di restauro non soltanto dei dipinti ma dell'intero pericolante edificio condotta dalla Rai, dopo il suo acquisto, nel 1964, di Palazzo Labia: eccezionale impresa di consolidamenti e adattamenti alle nuove funzioni (guidati questi ultimi, con ingegnosi accorgimenti, dai successivi direttori della sede radiotelevisiva veneziana, Landò Ambosini e Fabio De Strobel), strettamente sorvegliata per anni dall'amministrazione delle Belle Arti; ed è stato un vero e proprio mirabile salvataggio d'uno dei più cospicui monumenti di Venezia. Il declino, infatti, della fortuna finanziaria dei Labia al tramonto della Serenissima, s'era accompagnato con la progressiva decadenza del palazzo, venduto al principe austriaco Lobkowitz. La sua storia recente è nota. Altri proprietari vi tentarono restauri notevoli, poi nel 1948 l'acquistò Carlo di Beistegui che nel 1951 vi inscenò la memorabile festa " mascherata con costumi disegnati da Salvador Dali; quattrocento gondole solcarono allora il Canal Grande portando mille invitati: un'ostentazione di fasto che fece scandalo in un'Italia ancora per metà diroccata, e fu l'ultimo guizzo dell'antico splendore. Ma se Christian Dior aveva fatto prodigi, della gloria del Tie. polo non rimaneva che il fantasma. I celebri affreschi erano larve, i muri stavano in piedi per miracolo. Oggi la resurrezione e sorprendente, e forse nemmeno Pasquale Rotondi, direttore dell'Istituto centrale del restauro poteva confidare, di fronte ai fatiscenti dipinti, in un simile esito. Presto Palazzo Labia entrerà nel giro delle pubbliche visite dei monumenti veneziani fornendo nuova attrattiva ai futuri turisti. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Edimburgo, Italia, Loreto, Spagna, Venezia