Moravia, Pavese ed altre cose di Lorenzo Mondo

Moravia, Pavese ed altre cose Moravia, Pavese ed altre cose Vent'anni fa Cesare Pavese, d'agosto, si toglieva la vita e l'occasione commemorativa consente a Moravia di esibire uno di quei giudizi cos'i ricorrenti nel suo esercizio critico, anche quando è maggiormente impegnato: tanto più perentori quanto immotivati, più sensìbili alle spinte d'una capricciosa immaginazione che all'evidenza della pagina scritta. Personalmente abbiamo la, debolezza di vedere in Pavese una delle esperienzie più alte del Novecento italiano, ma non per questo dimentichiamo quanto sia legittima e salutare per ogni scrittore un'autentica dissacrazione. Ma il caso di cui ci occupiamo è diverso. Scrive dunque Moravia sull'ultimo numero de L'Espresso (12 luglio, «Fu solo un decadente »J: « Il mito di Pavese, il mito dello scrittore che si è ucciso per motivi esistenziali sopravvivrà alla sua opera. Ma i motivi erano soltanto apparentemente esistenziali. In realtà erano letterari ». Lasciamo stare la pietas verso la morte, verso i moti oscuri dell'intelletto e del sangue che possono indurre un uomo al suicidio; ma Dominique Fernandez, sottoponendo la vita e l'opera di Pavese al filtro psicanalitico, rintraccia un'infinità di motivi che possono aver pesato sull'ultimo gesto dello scrittore. Questo, per dire quanto sia opinabile ogni affermazione in materia. Moravia, invece, va sicuro, non tollera incognite nel suo illusorio teorema. Pavese — scrive — nonostante l'alto concetto che aveva di sé, non era riuscito a creare il mito nei suoi libri. Era troppo consapevole, scaltro ed egocentrico, quando il mito nasce invece dall'ingenuità, da « una comunicazione diretta con l'inconscio collettivo ». Ma non per nulla l'inconscio è tale, sicché ciascuno può approfittarne a suo talento, come Moravia. Egli parte col dire che Pavese si uccise per la « disperazione del successo »: « Ha fatto un po' come certe coppie di amanti che si ammazzano perché sono convinti che il loro amore è così perfetto da non poter essere coronato ormai che dalla morte ». In effetti — continua Moravia — sul piano letterario il suo era un fallimento: per fortuna Pavese era un decadente e, pur convinto d'esI sere un grande scrittore, I qualcosa lo muoveva nel suo inconscio a cercare un compenso fuori della pagina, nella vita, come D'Annunzio: « Nelle pagine di D'Annunzio il mito non c'è. D'Annunzio, allora, lo crea nella vita con le donne, il lusso, le imprese militari, le piume ecc. ». Come lui, grazie all'abilità no! tomìzzatrice di Moravia, il Pavese uomo giunge a scoprire, in extremis, l'« ingenuità » che gli era mancata come scrittore. Il suo vero successo è il suicidio. In poco più d'una colonna di piombo, Moravia ci offre il canovaccio d'un romanzo intricatissimo, ad effettacci e colpi di scena. Mancano le donne, per civetteria, quasi a voler dimostrare che la macchina tiene ugualmente senza sesso e noia; ma ci sono personaggi prestigiosi, come Melville, l'ingenuo « contenutista », che il mito ha saputo crearlo sulla pagina tant'é che, invece di farsi mangiare dalla balena, muore nel suo letto; come Hemingway, anche lui morto di mano propria: ma a differenza di Pavese, stavolta il suicidio « non si concreta in un mito perché l'opera di Hemingway è di tanto più importante della sua vita e della sua morte ». Eppure anche Hemingway, ha scritto Moravia in altri tempi (L'Espresso, 9 luglio 1961, « Niente e cosi sia »), è parente stretto di D'Annun¬ zio: « ... egli ha in comune con il poeta di Pescara l'ambizione di creare il mito di se stesso... (che) sopravvive alla creatività letteraria; lo scrittore è già morto e imbalsamato così a Gardone come a Cuba; ma l'uomo d'azione continua a sparare cannonate o a cacciare i leoni, a fare della politica o a partecipare alla guerra ». Esistono dunque, per Moravia, decadenti di tutto rispetto o di complemento? Per una volta tanto, in lui, il termine decadentismo sfugge alla banale accezione moralistica? Sta il fatto che in quel lontano articolo viene imputata ad Hemingway la sfiducia nella culturamentre qui decadente è sinonimo di « letterato colto e raffinato, ma egotista, eccecc. ». E' difficile raccapezzarsquando le formule sono così generiche e astratte, anzquando i concetti vengono usati come jolly. E intorno j a quello che potrebbe apparire un rude ma tonificante intervento critico, nasce il sospetto di fatuità mondana o. peggio, di acre gioco vendicativo. Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Cuba, Gardone, Pescara