Antidecameron

Antidecameron Le novelle di Franco Sacchetti Antidecameron Comincia con lui il tema della "provincia", destinato a funesta fortuna Franco Sacchetti: « Il Trecentonovelle », a cura di Emilio Faccioli, Ed. Einaudi, pag. XXXIV-765, lire 4000. A prima vista, non sembrerebbe difficile giustificare la grande fortuna di cui il Sacchetti novelliere ha sempre goduto: la vivacità e la rapidità con cui egli coglie una figura 0 un carattere, l'estro delle battute, il pronto rilievo con cui rappresenta i particolari significativi, il dialogo svelto e scattante, la capacità unica di mimare quasi visivamente la vi cenda narrata. A ciò si aggiunga quella moralità piena di prudenza e di buon senso che, se al Sacchetti è stata spesso rimproverata come elemento estraneo all'arte, tuttavia dà pure un sapore di concreta esperienza all'aneddotica sacchettiana, elevandola a modo di considerare e giudicare le cose del mondo. Emilio Faccioli, che ha curato ora con molta intelligenza e gusto filologico una nuova edizione del Trecenionovelle, insiste inoltre, nella sua introduzione, sul rapporto fra il narrare del Sacchetti e le strutture mentali di un contemporaneo ambiente fiorentino, fra popolano e borghese: di qui nascerebbe quella continua ricerca della singolarità e del nuovo che è all'origine del Trecenionovelle e ne costituisce il più vivo impegno narrativo come frutto di una vivace curiosità intellettuale e sociale. D'accordo: ma come è possibile non cogliere subito nel Sacchetti una precisa, programmatica riduzione e limitazione di orizzonti, che è sì la prima scelta della provincia come tema letterario (lo dice il Sacchetti stesso nel « Proemio ») che si incontri nella letteratura italiana, e che sarà destinata a funesta fortuna, ma che è anche una chiusura di carattere morale e intellettuale, pur essa foriera di lunghi e malinconici sviluppi? La maggior parte delle novelle sacchettiane è costituita da motti, facezie, battute di giullari o bit (Toni o persone di spirito (come messer Rodolfo da Camerino, che è protagonista molto ammirato di un gran numero di aneddoti), oppure da beffe, che non hanno, però, né il senso di superiore gioco dell'intelligenza di quelle del De cameron, né la crudeltà e la ferocia di quelle quattrocentesche, da Masuccio alle novelle del Bianco Alfani e del Grasso Legnaiuolo. Le novelle che contengono una vicenda narrativa più complessa sono abbastanza rate e, per lo più, si concludono anch'esse nella battuta, che scioglie l'intrigo con rapidità e prontezza. La parola come battuta e facezia, in sostanza, si sostituisce all'azione, la novella perde il carattere di racconto esemplare, destinato a mostrare quanto può l'uomo o il caso in un mondo in cui le possibilità di combinazioni sono infinite, per diventare semplice occasione di divertimento. Qui ha origine il gusto della lingua che domina il Trecenionovelle, e altresì la festosità, la prestezza mimetica del narrare del Sacchetti: sono 1 caratteri che si sostituiscono alla costruzione esemplare della vicenda, e cercano di l'arsi passare come valori, insieme con la «verità» degli aneddoti raccontati, rivendicata nel «Proemio». Ed è naturale che il Sacchetti senta il bisogno di moraleggiare: le sue novelle sono puro intrattenimento e divertimento, ed egli deve ben cercare di dar loro a posteriori un significato un poco meno occasionale. Ma in questo modo finisce che da una parte c'e l'aneddoto più o meno piacevole, dall'altra la moralità più o meno seria: l'equilibrio del ' Decameron è spezzino. Anche nelle novelle più « serie », come quella del conladino da Decornano che difende la sua vigna conno il tentativo di un « consorto » di Francesco de' Medici di portargliela via, il fatto si riduce all'arguzia della battuta. Nel mondo del Sacchetti, insomma, non ci sono più intrecci, rapporti complessi, possibilità di incontri e scontri, avventure, rischio o fortuna, tutto si riduce alla parola opportunamente detta (o non detta), che ferma subito ogni evento, lo dissolve, Io annulla. Si comprende allora l'accenno al Boccaccio che il Sacchetti fa nel « Proemio », che è pieno di lodi, ma mostra. anche curiosamente di condividere il giudizio dei dotti che preferivano al Decameron le opere erudite in latino. Il Trecentonovelle vuole essere, in fondo, una liquidazione del Decameron, compiuta mostrando concretamente la possibilità di una novella priva di vicenda, come pura battuta, e per nulla esem¬ II plare, semplice divertimento e nuda « verità » di ciò che quotidianamente accade. In questo senso il Sacchetti propone per la prima volta una letteratura fatta esattamente sulla misura di un milieu borghese: la polemica contro la cultura (« io franco Sacchetti fiorentino, come uomo discolo e grosso... »), la ricerca dell'intrattenimento senza complicazioni, la misura provinciale, l'aneddoto e la moralità distinti, l'impicciolimento di tutte le dimensioni, ppr cui anche i grandi personaggi del passato (come Dante, protagonista di un certo numero di novelle) si riducono alle misure del giullare o dell'uomo di spirito, e re, artisti, poeti, giudici, bulloni si equivalgono in un'uguale volgarità di linguaggio e di gesti (che è poi un segno tipico dell'ideologia borghese, che non animelle ragione c intelletto). Al fondo sta l'idillio, cioè l'assenza di reale dramma, anche nei casi più clamorosi di rappresentazione di cicca e brutale oppressione, che. tuttavia, può sempre essere vinta dalla battuta che diverte. Nato da un'esperienza diretta che il Sacchetti ebbe, come uomo politico, del carattere atroce dell'esistenza in quella seconda metà del Trecento che fu uno dei tempi più oscuri per guerre e pestilenze della storia italiana, il Trecentonovelie, coerentemente, rimuove tutto l'orrore, ora riducendolo al generico lamento sulla decadenza del mondo, ora rappresentando un mondo senza conflitti autentici, dove, idillicamente, la parola pronta e arguta è onnipotente contro armi e ingiustizie. G. Bàrberi Squarotti

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