Gli scioperi in Jugoslavia

Gli scioperi in Jugoslavia Gli scioperi in Jugoslavia (E' l'unico paese socialista che li tolleri; voci autorevoli a Belgrado li difendono) Per due giorni, mille minatori della miniera di carbone di Kacianj, in Bosnia, hanno abbandonato il lavoro in segno di protesta contro i bassi salari. Come in Belgio, il settore carbonifero jugoslavo è in crisi. Il piano quinquennale prevedeva l'estrazione di due milioni di tonnellate di carbone in cinque anni; il brusco calo della domanda ha fatto scendere la produzione a livelli molto più modesti. E poiché nella società dell'autogestione i salari variano in rapporto alla produzione, la busta paga dei minatori della Bosnia è scesa da 60 mila a 42 mila vecchi dinari al mese (da 30 mila a 21 mila lire). Di qui la protesta, una delle più veementi mai registrate in Jugoslavia. Ora i minatori di Kacianj — tristemente famosa per l'arretratezza degli impianti e le frequenti esplosioni di grisou — hanno accettato di tornare nei pozzi. Ma non sono mancati gli incidenti e persino un sabotaggio. In una galleria a 400 metri di profondità, un cavo dell'alimentazione elettrica per le perforatrici è stato tagliato in più punti su una lunghezza di 50 metri. Lo sciopero economico non è un fenomeno inconsueto nella Jugoslavia socialista. A Belgrado — l'unica capitale dell'Est europeo che ne dia notizia — se ne discute liberamente, come d'un male spontaneo e talvolta necessario nello sviluppo d'una società moderna. La parola sciopero non è d'uso corrente nei vocabolari serbo-croati o sloveni; la si traduce pudicamente con « astensione dal lavoro ». La Costituzione del Paese non vieta gli scioperi, ma nemmeno li ammette. Tra i sindacati è prevalsa fino a qualche, tempo fa la tendenza a condannarli considerandoli frutto di « mentalità contadina ». Il Politika di Belgrado (il più autorevole quotidiano jugoslavo) polemizzò aspramente su questa interpretazione, difendendo il diritto allo sciopero. « Sarebbe giustificato prendere posizione contro le astensioni dal lavoro, se le cose andassero bene — scrisse il giornale —. Ma le cose non vanno affatto bene ». Per quanto riguarda la « mentalità contadina » che condizionerebbe la protesta dei lavoratori, « gli scioperi sono invece proclamati dai settori più avanzati della classe operaia, quelli che rappresentano storicamente la sua punta più rivoluzionaria ». Alla fine dello scorso anno, la Lega dei comunisti rivelò che in un decennio si erano avuti nel paese oltre 1800 « astensioni dal lavoro », con la partecipazione di centomila operai. Il relatore ufficiale — Krsto Crvenkovski, membro dell'ufficio esecutivo della Lega — affermò che « i comunisti jugoslavi hanno abbandonato l'illusione che la società socialista possa svilupparsi e crescere sema conflitti ». Crvenkovski criticò duramente « gli ambienti stranieri, in particolare di quei paesi socialisti i quali, data la loro mentalità dogmatica, giudicano ipocritamente ogni sciopero come opera del nemico ». Varie, secondo il relatore, sono le cause delle « astensioni dal lavoro » in Jugoslavia. Nell'ordine: lo spirito burocratico di alcuni dirigenti di azienda; l'abuso del potere; l'arretratezza e la scarsa coscienza di una parte della classe operaia; i bassi salari, conseguenza del mancato sviluppo delle forze produttive; il sistema economico in fase di crescenza, che spesso crea situazioni confuse. Crvenkovski concluse il suo intervento con la raccomandazione che i dirigenti sindacali « esaminino la sostanza ideologica e politica delle richieste avanzate dagli scioperanti e quindi decidano l'atteggiamento più conveniente ». In altre parole, un chiaro invito a non prendere di punta i lavoratori che protestano, ma ad ascoltare e risolvere con spirito di tolleranza i loro problemi. Alfonso Di Nola

Persone citate: Alfonso Di Nola, Crvenkovski

Luoghi citati: Belgio, Belgrado, Bosnia, Jugoslavia