I guerriglieri estremisti chiedono a Hussein un governo più avanzato di Igor Man

I guerriglieri estremisti chiedono a Hussein un governo più avanzato La prova di forza fra il sovrano di Giordania e i "fedayn,, I guerriglieri estremisti chiedono a Hussein un governo più avanzato Hanno già pronta una lista di ministri - Il sovrano ieri aveva detto: «Non intendo i^re altre concessioni» II braccio di ferro continua: ma i "fedayn" appaiono isolati sul piano internazionale, anche Mosca li disapprova (Dal nostro inviato speciale) Beirut, 18 giugno. Acque torbide in Giordania. Come era facile prevedere George Habash, capo del « Fronte popolare », ha replicato a Hussein (« non intendo fare altre concessioni»; dicendo che « è essenziale sciogliere le "forze speciali" e tutte le organizzazioni paramilitari e politiche create dai nemici del popolo e delia Resistenza. Siamo costretti a insistere su questo punto ». Ma la sinistra del movimelitj palestinese chiede di più: ora i « fronti popolari » vogliono che l'attuale governo sia sciolto e sostituito con una formazione più progressista. Fanno anche dei nomi: Akef Fayez, d'origine beduina, o il palestinese Sleiman Naboulsi, ex presidente del Consiglio, conosciuto per la sua ostilità al re. Non è che la sinistra voglia « per adesso » rovesciare il re — su questo punto son tutti, o quasi, d'accordo —, ma ritiene sia venuto il momento « di garantirci, una volta per tutte, la retroguardia eliminando la quinta colonna tuttora attiva negli ambienti di corte, in modo da poterci consacrare interamente alla lotta contro Israele ». Questa scalata di rivendicazioni è conforme alla logica rivoluzionaria: nel contesto giordano accentua il divario profondo fra due poteri che realizzano, giorno dopo giorno, le proprie contraddizioni infrastrutturali pur disponendosi a convivere, a collaborare poiché i loro interessi rispettivi si rivelano, nonostante tutto, complementari. Hussein ha bisogno dei guerriglieri per poter continuare a regnare e soprattutto difendere i suoi beduini, le persone a lui legate da vincoli di sangue e di interesse, che avrebbero tutto da perdere da una sua scomparsa. I fedayn hanno bisogno del sovrano per evitare l'avvento di una repubblica che li distoglierebbe fatalmente dal loro obbiettivo precipuo, la liberazione della Palestina, e metterebbe impietosamente a nudo le rivalità, ideologiche e politiche fra le varie organizzazioni, esasperandole fino allo scontro armato. Se dipendesse da Al Fatah la convivenza col re sarebbe assicurata: Arafat è considerato « un Hussein in versione guerrigliera ». Ma l'abile Abu Ammar (è il nome di battaglia del capo di Al Fatah; si trova di fronte a una lacerante alternativa: o giocare al rialzo per non venire scavalcato o liquidare i movimenti estremisti, cosa quest'ultima forse possibile, ma assai rischiosa. Sulla Pravda Primakov ren¬ de omaggio alla « ponderazione » di Arafat denunciando con asprezza la « politica avventurista di certi elementi del movimento palestinese », che praticando il « tanto peggio tanto meglio » farebbero il gioco degli Slati Uniti, « vale a dire di Israele ». Lo stes- so indirizzo di Hussein, fondato sulla cooperazione con rOlp e con Al Fatah viene giudicato saggio da Mosca e, sottolinea la Pravda, in consonanza con il Cairo e Damasco. Nella misura in cui l'obiettivo politico di Israele rimane la caduta dei regimi arabi, l'azione sovietica tende al mantenimento dello statu quo e a consolidare i poteri stabiliti. Mosca ritiene infatti che ogni mutamento di regime nel Medio Oriente tornerebbe a vantaggio sia d'Israele sia dell'America. L'Urss preferisce una soluzione politica del conflitto a una « rivoluzione ». Dal suo punto di vista la « lotta contro l'imperialismo » passa per la disfatta diplomatica di Tel Aviv, cioè l'accettazione incondizionata e totale della risoluzione dell'Onu del novembre 1967. All'estremismo della sinistra rivoluzionaria tentata da una fuga in avanti, Mosca oppone una lezione di realismo politico. Così accusa, sia pure indirettamente, George Habash di avventurismo. Insomma, la « sovversione » ha cambiato -campo. Confortato dalla « copertura» sovietica, Arafat potrebbe dunque sentirsi tentato di sferrare il colpo contro gli estremisti. Ma egli non ignora che una prova di forza potrebbe risolversi in un disastro per la Resistenza. E allora? Non rimarrebbe che trovare ancora una volta un compromesso: instaurare un regime che avrebbe sempre alla sua testa il re, come capo simbolico, e alla base (Zete personalità giordane messe tuttavia in carica per agire in luogo della guerriglia, nel suo interesse esclusivo. Non è detto che non si possa arrivare a codesto compromesso, il re non ne sarebbe alieno, la soluzione non dispiace agli altri Stati arabi. Solo la regina madre non è di questo avviso e va dicendo che ci penserà lei a « rimettere in sesto il figlio » che avrebbe perduto la sua famosa grinta. E se Hussein non ascoltasse la madre, c'è sempre pronto l'emiro Hassan, suo fratello, che i guerriglieri definiscono « il genio maligno della corte, il capo della banda di gangsters e contrabbandieri che governa in Giordania ». Igor Man Amman. Re Hussein con Shaker, uno dei generali che ha dovuto destituire (Gamma)