Euripide per i turisti di Ippolito

Euripide per i turisti GLI SPETTACOLI CLASSICI A SIRACUSA Euripide per i turisti «Ippolito» allestito da Franco Enriquez quasi in chiave di melodramma, con molte concessioni allo spettacolo «per l'occhio» - Interpreti principali Olga Villi e Beppe Pambieri (Dal nostro inviato p«-ertale) Siracusa, 1 . io. ' Adorni di oggetti a uro e circondati da vasi votivi, i due rozzi simulacri che spiccano sulla maiolica e le ceramiche di cui lo scenografo LUzzati ha ricoperto quest'anno la scena del teatro greco, non si direbbe che siano le statue di Venere e di Artemide ma, piuttosto, due inquietanti e barbarici feticci. Eppure non stonano nella rappresentazione di una tragedia classica come Ippolito e non ne alterano le linee purissime non appena s'intenda che quelle scure sagome efficacemente traducono il razionalismo euripideo, che anche e soprattutto nell'Ippolito, nell'atto stesso che finge ossequio e riverenza verso gli dei, li bolla come ingiusti, crudeli, capricciosi e indifferenti ai destini umani. Oltre che col razionalismo, qui bisogna fare i conti con la discussa misoginia di Euripide che neZZ'Ippolito esplode sino ai limiti di un grottesco, e non del tutto involontario, che inevitabilmente investe e -fascia di luce ambigua il suo affliggente protagonista. Contro il quale, esplorata nei suoi più ombrosi anfratti, si staglia nettissimo il personaggio di Fedra. E che personaggio. Come è ironico destino dì tanti artisti che esecrano o fingono di esecrare le donne, esso è uscito dalla mente e dal cuore dell'autore con una tale ricchezza e bellezza di sfumature, e nobiltà e forza di passione, da meritare il suo posto, accanto ad Alcesti e Medea, nella triade delle immortali protagoniste di Euripide. Questi e altri aspetti dell'arte euripidea non potevano essere trascurati se davvero si voleva impedire alla rappresentazione di adagiarsi in un vacuo accademismo e allo spettatore di cullarsi in soporifere fantasticherie alle quali sembravano invitarlo i versi troppo sonanti e rotondi della traduzione, per altro eccellente, di Carlo Diano. Certo, non era facile rendere, e in un teatro all'aperto, il lirismo trasognato di molti brani che, si tratti di Fedra o di Ippolito o del coro, non sarebbe affatto scandaloso tentare di interpretare in chiave moderatamente freudiana. Franco Enriquez ha scelto una strada meno tortuosa, quasi da melodramma, astutamente assecondato da Giancarlo Chiaramello, le cui musiche non disdegnano effetti da colonna sonora di film. Ma pur concedendo che il pittoresco arrivo a cavallo o su cocchi da Cinecittà di Ippolito e dei suoi cacciatori (coperti di pelli di foggia va- gamente hippie), che il solenne ingresso di Teseo circondato da fulgenti armati, che le arabescate evoluzioni del coro istruito da Marise Flach e le immancabili fiaccolate del finale giovino allo spettacolo, o almeno servano ad appagare l'occhio, occorreva anche non rallentare troppo il ritmo della rappresentazione e anzi, scorciando il testo più dì quanto sia stato fatto, stringere i tempi dell'amoroso delirio di Fedra e del lamentoso furore di Ippolito. Ancora una volta sono rimasti irrisolti quei problefni che ogni allestimento di una tragedia greca puntualmente ripropone. Che cosa fare del coro? Come rendere sopportabili le interminabili tirate dei protagonisti? Conviene sveltire l'azione o ostentarne programmaticamente la staticità? In ogni caso non basta lavorare, sia pure con. abbondanza di trovate, intorno alla cornice, ma bisogna scavare all'interno, entrare nel vivo della tragedia e non lasciarla scorrere in un fiume dì gemiti e lamenti sulla pelle degli interpreti senza inzupparla di vere lacrime. Come invece avviene in questa edizione di Ippolito e più vistosamente con le parti femminili, con il risultato di confermare clamorosamente la spaccatura del testo in due distinti drammi, di Ippolito e di Fedra, che anziché intrecciarsi quasi neppure si sfiorano. Potrebbe essere una postu¬ ma beffa della misoginia di Euripide, ma è indubbio che alla vicenda di Fedra, interpretata da un'Olga Villi scarsamente convincente, si finisce col preferire quella di Ippolito, al quale il giovane Beppe Pambieri presta vigore e sincerità di accenti. Anche Nando Gazzolo, pacato e imborghesito Teseo, e Piero Nuli, impetuoso e squillante messaggero, riescono più persuasivi non tanto di Adriana Innocenti, colorita e veemente nutrice (ma perché quegli urli terribili?), quanto di Lia Tanzi e Andreina Paul che per essere due dee appaiono piuttosto insipide. E così, alla fine, i consensi del pubblico non riescono a dissipare i dubbi sul sigilificato e sull'utilità, a parte i vantaggi del turismo spicciolo, di questi spettacoli classici e dell'Istituto del dramma antico che li allestisce. E' possibile che a nessuna delle persone responsabili del nostro teatro, ammesso che se ne trovino, sia mai passato per la mente che anche questa materia è da rivedere, da ristrutturare e, se è necessario, da rivoluzionare? Alberto Blandi

Luoghi citati: Alcesti, Medea, Siracusa