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Sofocle in riva al mare
Sofocle in riva al mare La "Elettra,, a Siracusa Sofocle in riva al mare (Dal nostro inviato speciale) Siracusa, 29 maggio. Alla XXI edizione, gli spettacoli classici di Siracusa godono di una rinomanza internazionale, sia per la loro qualità, in ogni caso decorosa, sia e soprattutto per la stupenda cornice del teatro greco in cui si svolgono. Eppure, nonostante i lodevoli sforzi dell'Istituto nazionale del dramma antico al quale sono affidati, non dissipano il sospetto di una sagra turistico-alberghiera abbastanza estranea agli intenti d'arte che essi vagheggiano. Ma tutto questo si potrebbe anche sopportare in omaggio a una concezione del turismo che tuttavia è urgente rivedere rompendo tra l'altro quell'ibrido connubio che il turismo stesso intreccia ogni estate con il teatro, se poi la scelta dei testi e gli allestimenti degli spettacoli non apparissero sotto il segno della casualità o, al più. di una accomodante rassegnazione a quel che passa il convento. Quest'anno, ad esempio, non si può fare a meno di supporre che soltanto la scarsità dei mezzi ha indotto, per fortuna, a rinunciare a costose e macchinose costruzioni. E così per l'Elettra sofoclea, che ha aperto ieri il ciclo e si alternerà con Ippolito di Euripide sino a metà giugno, il Luzzati e il regista Franco Enriquez hanno immaginato una reggia di Micene sotterranea (riprendendo in parte un'idea scenografica che essi stessi avevano realizzato nelle Mosche di Sartre) e hanno lasciato pressoché intatto il mirabile sfondo naturale di alberi e verdura dietro il quale si intravede il mare. Certo, non è una Micene « piena d'ori e splendori », come dice il testo appositamente tradotto in versi da Eugenio Della Valle, quella che il vecchio aio mostra ad Oreste dall'alto di una rupe all'inizio della tragedia. Ma è un inizio suggestivo che accortamente sfrutta lo sprone roc¬ cioso da cui è delimitata a destra la cavea, peccato che non basti a tenere la rappresentazione fuori dalle secche di uno scolasticismo che rischia nei momenti meno felici di richiamare alla mente le crudeli parodie degli spettacoli classici inventate dai Gobbi. Ma è anche vero, e valga come attenuante, che delle tragedie sofoclee Elettra è forse la più insidiosa per un regista: ossessivamente incentrata sul tema di una vendetta che non si placa col sangue di Clitennestra e di Egisto (« E colpisci tu ancora » urla al fratello l'indemoniata protagonista), essa riempie l'aria di gemiti, lamenti e imprecazioni dietro i quali tuttavia c'è il nulla perché Sofocle, a differenza di Eschilo, non incrina la spietata compattezza della strage nemmeno lasciando un margine per i rimorsi di Oreste. Figuriamoci per quelli di Elettra alla quale non si riesce davvero ad immaginare né uno sposo, come tentò Euripide, né un avvenire. Non era facile evitare i manierismi nella rappresentazione di questo eterno strazio specialmente quando esso rimbalza e si rifrange nel coro femminile che Angelo Corti ha mosso con diligenza ma senza estro (corifea Marisa Mantovani) intorno a Carla Gravina caparbiamente impegnata in un corpo a corpo continuo con il suo personaggio! ma sul terreno di una recitazione tradizionale dalla quale neppure gli altri si discostano, anche se ciascuno dà poi l'impressione di correre per conto proprio. Il passo più giusto lo tiene Tino Carraro, che dice senza enfasi il famoso racconto della finta morte di Oreste, ma se la cavano con sicurezza, se non altro usando i ferri di un mestiere che a loro non manca, anche l'autorevole Adriana Innocenti, l'appassionata Leda Negroni, Osvaldo Ruggeri e Piero Nuti. Alberto Blandi I
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