Papa Giovanni ha sbagliato? di Raniero La Valle

Papa Giovanni ha sbagliato? Uomini e religioni Papa Giovanni ha sbagliato? Ha ancora »enso ricordare Papa Giovanni a sette anni dalla sua morte, quando le cose e gli uomini sembrano dargli torto, e tante delle attese da lui suscitate sembrano deluse" Da allora, da quando moti e sembrò che tutto il mondo e tutta la Chiesa prendessero l'impegno di eseguirne il testamento, la pace non si è fatta, anzi due guerre sono cominciate di cui non si vede la fine, la Russia non si è « convertita », la Cina, cui si rivolse uno degli ultimi pensieri del Papa morente, è rimasta lontana, i cristiani sono rimasti divisi e la Chiesa, che il Concilio doveva- restituire « senza macchia e senza ruga », appare disorientata, incerta sul cammino, e gravata da dispute fin troppo umane. Dunque, Papa Giovanni avrebbe sbagliato la lettura dei « segni dei tempi », o avrebbe sbagliato le risposte? Dunque non lui, ma i « profeti di sventura » avevano ragione? Non era « ottimista » Queste domande ripropongono il problema dell'ottimismo di Papa Giovanni. Ma è un problema mal posto, perché Papa Giovanni non era affatto « ottimista ». Non ignorava il peccato, e non giocava d'azzardo sul futuro. Questa dell'ottimismo è un'altra delle ottiche deformate di cui è stato vittima quel Papa. Sull'ottimismo non si può rischiare la Chiesa. Solo sulla fede si può, e si deve, giocare la Chiesa, e rutto il resto. Àbramo, Mose, affrontarono l'incognita dell'uscita dalla terra in cui etano nati, non per scommessa, ma per fede. Papa Giovanni rimise la Chiesa in cammino facendola uscire dalla schiavitù della casa del faraone, non perché ignorasse il rischio dell'esodo, ma per obbedienza a Dio che lo muoveva. La sua fiducia non veniva dall'ottimismo, ma dalla speranza. La crisi della Chiesa, oggi, non è il frutto di uno sbaglio di calcolo di Papa Giovanni. Senza di lui ci sarebbe 10 stesso, e sarebbe più grave, perché si scontrerebbe con strutture più rigide, con una concezione della Chiesa più esclusiva, con una codificazione meno flessibile, con una gerarchia più sdegnosa, con un sistema meno disponibile al dialogo, alla comprensione, alla carità. Senza la grande prova di comunione del Concilio, senza il disgelo tra le Chiese, senza la ripresa del rapporto religioso con tutti gli uomini oltre le barriere ideologiche e politiche, la tensione sarebbe più acuta, e la formula del « Papa che decide da solo », rivendicata ancor oggi dalla tenacia di certa teologia romana, sarebbe una formula ancora più tragica. Chiesa in marcia Ma se i cattolici soli tono con spirito debole questa crisi, se oscillano tra i due estremi dell'anarchia e della repressione, se si sgomentano, rimpiangendo le antiche illusorie sicurezze, come gli ebrei nella difficile libertà del deserto rinfacciavano a Mose l'abbondanza di cui pur godevano nella schiavitù d'Egitto, è perché non si è capaci di speranza. Ha ragione il cardinale Suenens quando dice, nella recente intervista di cui si è tanto parlato, che la vera crisi del clero, la vera crisi della Chiesa, è una crisi della virtù teologale della speranza: * Noi dimentichiamo troppo spesso che siamo una Chiesa in marcia »; e, si potrebbe aggiungere, dimentichiamo che siamo una umanità in ornimi no, che le prove, i dolori, i conflitti, 'e violenze di oggi, sono il prezzo della contrastata uscita dal vecchio ordine, che è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per l'approdo a un ordine nuovo. Ora, fu proprio la speranza 11 segreto del pontificato di Papa Giovanni, e la lezione di tutta la sua vita. L'ottimismo è la scommessa su un futuro che si ignora, e può essere smentito dai fatti. La speran za, invece, è l'attesa di un bene futuro, che già conosce nella fede; attendendolo lo anticipa, e nell'amore già lo realizza. Una Chiesa senza speranza è una Chiesa che chiede continuamente conferma al presente. Per questo non può ri schiare, per questo confonde la croce con la sconfitta, e i suoi trionfi con la salvezza; per questo teme il giudizio e la contestazione del mondo, per questo cerca di rafforzare la sua visibilità difendendola col potere, presidiandola con i codici, servendola con le ricchezze, mortificandola nell'uniformità. Una Chiesa capace di speranza è una Chiesa che sempre aspetta il nuovo giorno; non' cede al timore, perché crede alla promessa: sa che ciò che si vede in lei è assai meno importante e meno sicuro di ciò che non si vede; spera di vedere e rendere visibile domani ciò che non riesce a vedere e a mostrare oggi. E' la speranza che permette a ciascuno di stare al compito suo, senza frustrazioni, senza crisi di identità, senza che debba chiedersi ogni momento « che fare? », o misurare ad ogni passo l'entità del proprio apporto. Come ci racconta don Loris Capovilla nella ult[ma raccolta delle sue «letture» su Giovanni XXIII, un giorno, andando in una parrocchia romana. Papa Giovanni commentò: « lo cosa dò a costoro? Una benedizione, una parola, un po' di calore... lo faccio come Mose: sollevo e mostro le Tavole della Legge divina, e dico con schiettezza che al di fuori di esse non c'è che confusione e' sfacelo: dico che la misericordia non tollera ostinazione Ma presento la dottrina non m tono di condanna, né di ultimatum... Stasera, questa brava gente rivive e commenta l'impressione che il Papa si è assiso al focolare di ciascuna famiglia, ha posato la mano sul capo dei bambini, ha ammonito con delicatezza i giovani e le figliole, ha richiamato agli sposi la dignità e l'impegno del Sacramento grande che li unisce per l'eternità... ». Il resto, non era affare del Papa. Il resto, era lo spazio lasciato alla speranza. Raniero La Valle

Luoghi citati: Cina, Egitto, Russia