I nemici della Giunta di Nicola Adelfì

I nemici della Giunta TRE ANNI DI GOVERNO MILITARE IN GRECIA I nemici della Giunta Intervista con tre « leaders » dell'opposizione - L'avvocato Mangakis, difensore dei trentaquattro intellettuali, è diventato popolare dopo il processo: la sua coraggiosa arringa circola manoscritta - Kanellopùlos, capo della destra, giudica i colonnelli isolati, ma ancora forti - Giorgio Mavros, erede di Papandreu, pensa che siano discordi e commettano gravi errori economici (Dal nostro inviato speciale) Atene, maggio. Tra i greci che combattono il regime dall'interno è il nome di un avvocato di 64 anni, Alessandro Mangakis, quello che mi capita di udire più spesso e nei luoghi più disparati. Un mese fa toccò a lui parlare per ultimo nel processo contro i trentaquattro intellettuali. Nella notte tra VII e il 12 aprile per cinque ore di seguito, dalle 10 della sera alle 3 del mattino, Mangakis sparò a zero contro «i colonnelli». Era il più anziano nel collegio di difesa, e per una precedente arringa era stato condannato e deportato: ma questo non lo intimidiva. Né lo avviliva il fatto che il procuratore generale avesse chiesto la condanna all'ergastolo per i suoi due clienti: il primo un suo cugino, Giorgio Mangakis, professore di diritto penale all'Università di Atene, ' e il secondo il giornalista di origine francese Giovanni Starakis. Per cinque ore Mangakis non chiese mai pietà o clemenza: per tutto quel tempo, in un'aula gremita e fremente, interrotto spesso dagli applausi della folla e dalle minacce del presidende della Corte marziale, egli pronunciò un duro, implacabile atto di accusa contro il regime. Fu una notte memorabile. Lui, l'avvocato più anziano e più minacciato, descrisse fin nei minimi particolari le torture subite dai trentaquattro imputati, a lungo dimostrò le analogie tra il regime dei « colonnelli » e quello di Hitler, terminò guardando uno per uno i giudici della Corte, con pause che facevano trattenere il flato alla gente, e avvertendoli che un giorno essi avrebbero preso il posto degli imputati per ì loro crimini contro il popolo greco. Censura ottusa Il giorno dopo i giornali pubblicarono estesi brani dell'arringa. Perché mai lo fecero? Per l'ottusità del regime, mi spiegano. Il governo, convinto di poter dimostrare attraverso il processo l'esistenza di un'opposizione sanguinaria e di óonseguenza l'esigenza che il Paese fosse mantenuto sotto un regime di polizia, aveva ordinato ai giornali di pubblicare il testo stenografico del dibattimento. In seguito, quando il processo ai trentaquattro si trasformò in un no di nascosto copie datti- processo contro « ì colonnelli », la censura non potè fare marcia indietro. Fu così che anche l'arringa di Mangakis, sebbene mutilata, apparve sui giornali. Fece un'impressione enorme. Ora dell'arringa circola- loscritte. E mi dice un professore che non solo studenti, ma anche operai, an- cgche vecchi impiegati, l'han- j dzno imparata a memoria. Talora gruppi di studenti si riuniscono segretamente e declamano l'arringa di Mangakis, ciascuno recitandone un brano, come se fosse una tragedia di Eschilo o di Sofocle. Alessandro Mangakis abita al numero 15 di via del Licabetto. E' una strada stretta e ripida. Quattro poliziotti, due nella parte bassa e due in quella alta, sorvegliano l'uscio dì casa dell'avvocato. Uomo espansivo, Mangakis mi riceve come se ci conoscessimo da sempre. Sì rende conto che in qualsiasi momento potrebbe capitargli qualche grosso guaio, ma non è depresso, non è sgomento. A 64 anni vive con lo slancio della gioventù. I suoi occhi si accendono di lampi improvvisi, le sue labbra spesso si inarcano in un sorriso gioviale. Nelle lotte di ogni giorno e senza quasi speranze, Mangakis vive con un fervore nervoso e mentale che a tratti mi richiama alla mente certi atteggiamenti, certe espressioni e le posizioni morali di Sandro Pertini. Mangakis tuttavia non è un uomo di sinistra; il suo partito è di destra. Quello di Kanellopùlos. Gli domando se ci sono possibilità di rovesciare il regime. Mangakis è nettamente pessimista. Troppo grande è la sproporzione tra i mezzi di cui dispone il regime e quelli del popolo Non si tratta solo di carri armati e di divisioni blindate. Ma anche di una rete ca pillare di spie, di ben con gegnati sistemi d'intimida zione e di corruzione. Mi dice: « Nella bocca ho sempre un sapore di fiele, ma cerco di non farci caso. L'importante è non arrendersi ». Tuttavia, insisto io, non può formulare neppure ipotesi su un cambiamento della situazione? Sì, ipotesi si possono fare: ma remote, ma improbabili. In questo momento egli ,ne intravede tre. La prima è generica: « Nei momenti di malumore mi tiro su di- cendomi che le rivoluzioni finiscono sempre col mangiarsi i propri figli. Si ricor- da di Robespierre? La sua testa finì in un paniere, mozzata dalla ghigliottina». La seconda ipotesi è legata al conflitto che si sta inasprendo sempre più tra la Grecia e la Turchia per la questione di Cipro. Nessuno può dire quel che avverrebbe se un giorno a Cipro scoppiasse una bomba in un quartiere turco uccidendo una decina di.persone; specialmente ora, dopo che la Turchia ha fatto sapere di avere formato un corpo di spedizione pronto in qualsiasi momento a sbarcare a Cipro. C'è una terza ipotesi: riguarda un cambiamento degli americani nei confronti dei « colonnelli ». Però Mangakis ci spera poco, soprattutto dopo l'intervento americano nel Cambogia: finché la politica dei due blocchi continuerà a inacerbirsi, «i col: r.nelli » possono dormire \:.r:ni tranquilli. La paura del re Così lui, Mangakis, vede la situazione. Però, aggiunge, per me sarebbe quanto mai istruttivo andare a parlare con Giorgio Kaneilopulos, l'ultimo presidente del Consiglio e capo del partito di destra, l'Ere, ora messo fuori legge. E' quello che faccio. « Signor presidente, domando a Kanellopùlos, anche lei è pessimista? ». Lo statista mi risponde che lui non è ottimista, ma fiducioso (« I am not optimist but confidenti)). I due maggiori partiti greci, l'Ere e l'Unione del centro, che r 'ile ultime elezioni, prima aei « colonnelli », ebbero 278 seggi parlamentari su 300, stanno via via intensificando intese e accordi per combattere uniti contro il regime. Per ora è solo una presa di posizione morale: i democratici non vogliono sentir parlare di compromessi o di concessioni e dicono decisamente di no alla dittatura in pubblico e in privato. Kanellopùlos lo ha fatto sempre con rigorosa coerenza. Quando la mattina del colpo di Stato il re Costantino domandò a Kanellopù¬ los, allora capo del governo, che cosa gli consigliava di fare, si ebbe una risposta categorica: « Sua maestà si appelli alla lealtà delle forze armate e soffochi militarmente la sedizione ». Allora la marina, l'aviazione e molte unità dell'esercito erano dalla parte del re. Ma Costantino preferì piegarsi al fatto compiuto. Cinque mesi dopo, nel settembre 1967, Kanellopùlos denunciò pubblicamente i mali arrecati dalia dittatura alla nazione e fu messo agli arresti in casa. Un dovere civico Un mese fa, durante « il processo dei trentaquattro », quando l'anziano statista entrò nell'aula di giustizia come teste di difesa, gli imputati si alzarono tutt'insieme in piedi e gli fecero un profondo inchino, volendo così rendere omaggio non solo aU'uomo, ma soprattutto a ciò che egli recava davanti alla Corte marziale, lo spirito della democrazia. Kanellopùlos parlò per 80 minuti. Raccontò come era stato arrestato da trenta poliziotti armati di mitra, affermò ripetutamente che combattere la tirannia non è un reato, ma un dovere civico e disse che un regime nato con la violenza sarebbe stato sepolto dalla violenza. Quando uscì dall'aula molti gli baciarono le mani. Sessantasette anni, alto e bianco, sociologo di fama europea, Kanellopùlos non si fa illusioni sulle promesse di liberalizzazione da parte dei « colonnelli ». Sì, formalmente restituiranno ai greci alcuni diritti elementari, ma nella sostanza le cose continueranno come adesso. Per esempio, il governo ha annunciato l'entrata in vigore dell'articolo 10 della Costituzione, il quale dice che nessuno può essere arrestato senza un mandato di cattura da parte dell'autorità giudiziaria. Però, se uno è preso dalla polizia e messo in un carcere per mesi o anni, a chi potrà rivolgersi per contestare l'abuso delle autorità? Allo stesso modo, quando il governo annuncia che d'ora in poi, in base agli articoli 111 e 112 della Costituzione, le Corti marziali dovranno giudicare solo i reati contro la sicurezza dello Stato, contro l'ordine pubblico e la pace, questo in pratica non significa niente: sono espressioni vaghe, elastiche, e la dittatura può farne l'uso che vuole. No, Kanellopùlos non si fa illusioni sulle intenzioni dei « colonnelli »: essi vogliono durare il più a lungo possibile e servendosi di qualsiasi mezzo. Ma ci riusciranno? Non è detto. I greci sono profondamente, istin¬ tivamente democratici; e perciò « i colonnelli » sono isolati. Non hanno idee, né ideali. Dunque, è necessario eliminare diffidenze e contrasti anche di natura personale nel campo democratico, serrare le file, contrapporre un fronte nazionale alle minacce e alle lusinghe della dittatura. Stare uniti e tenersi pronti. Gli rivolgo un'ultima domanda: lo schieramento delle forze democratiche deve includere anche i comunisti? La risposta è immediata: se uno è democratico, non può combattere una dittatura di destra alleandosi con un partito che vuole instaurare una dittatura di sinistra. Dopo Kanellopùlos vado a trovare Giorgio Mavros; è l'uomo che dopo la morte di Giorgio Papandreu viene considerato il capo del partito dell'Unione del centro (nelle ultime elezioni, questo partito ebbe al Parlamento 171 seggi su 300). Punto per punto Mavros mi conferma la volontà del suo partito di unire le proprie forze con quelle dell'Ere di Kanellopùlos. I due partiti sono divisi tra l'altro dalla questione istituzionale: l'Ere è monarchica, l'Unione del centro è prevalentemente repubblicana. Però hanno deciso di accantonare questo problema: l'importante adesso è unirsi per rovesciare la dittatura. Il pane di domani Mavros non si scoraggia per il fatto che « i colonnelli » possono permettersi qualsiasi arbìtrio, e governare la Grecia col bastone e la carota. Egli è stato ripetutamente ministro, governatore della Banca Nazionale di Grecia, e ha trascorso cinque mesi in carcere senza che gli venisse mai notificato il motivo. Crede di conoscere il cuore della Grecia, ed è certo che non batte dalla parte dei « colonnelli ». Sa anche, dati alla mano, che una politica demagogica e dissennata sta portando la Grecia alla rovina economica, nonostante le apparenze esteriori. (Durante « il processo dei trentaquattro » il professore universitario Karayorgas, un economista, co?idannato all'ergastolo, ebbe a dire che « i greci di oggi si stanno mangiando il pane dei greci di domani »). Mavros sa infine che la discordia è penetrata nella « giunta » rivoluzionaria e che gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro politica nei riguardi dei «colonnelli».Mettendo insieme tutte queste cose, anche lui, Giorgio Mavros, conclude che se non sì può essere ottimisti, la situazione complessiva consente tuttavia di essere fiduciosi. Nicola Adelfì