Alla frontiera del possibile di Alberto Ronchey

Alla frontiera del possibile UNA FESTOSA DEMAGOGIA Alla frontiera del possibile La nostra demagogia sta I fra le inflazioni verbali-monetarie del Sud America e uno stile di guinguette populiste vecchia maniera, simile a quello che prevalse in Francia a metà degli Anni Trenta, l'epoca del Front Popu, quando negli scioperi e nei comizi si annunciava: « Tutto è possibile» (una storia che finì male, ma non sembra avere insegnato niente a nessuno). Dall'estate a oggi abbiamo avuto prima gli scioperi per i contratti collettivi, poi gli scioperi per i contratti integrativi aziendali, infine l'ondata rivendicativa dei dipendenti pubblici e l'agitazione generale per le riforme dei servizi sociali (assistenza sanitaria, case popolari, trasporti, scuole). Ora si fermano le Ferrovie, le Poste, le scuole, gli uffici armninistrativi, l'Anas, i Monopoli di Stato e le Mutue. I sindacati statali minacciano uno sciopero generale a oltranza perché la Camera ha approvato l'art. 16 della legge sul riassetto, che per loro concede troppo ai funzionari direttivi; ma anche questi ultimi, insoddisfatti, continuano l'agitazione. Per il '70 è previsto uno scarto del 6 "/o fra l'ammontare della domanda globale e quello dell'offerta, mentre i prezzi lievitano. Gli scioperi limitano il prodotto globale, mentre gli aumenti salariali dilatano la domanda globale. Il meccanismo dei prezzi non è l'effetto d'una congiura misteriosa; esso risponde ad una logica, che dovrebbe essere chiara per tutti da moltissimo tempo. Più d'un secolo fa, per esempio, il sindacato inglese dei vetrai l'aveva chiarissima (si legge in un rapporto al Congresso del 1857: « E' solo una questione di offerta o di domanda, e noi tutti sappiamo che se offriamo qualche cosa in quantità minore di quella domandata l'effetto naturale sarà l'aumento del prezzo; mentre se offriamo la stessa cosa in quantità maggiore l'effetto naturale sarà il ribasso »). Non potendo dire alle masse che il fatto è nuovo, non si dica neppure che è «una vendetta del sistema». La vendetta, se mai, è di tutti i sistemi. Se per certe conquiste bastasse l'aumento dei salari monetari, o la soppressione del « profitto capitalista », i salari sovietici (dopo mezzo secolo) sarebbero i più alti del mondo; ma tutti sanno che non è così. Un giorno, mentre Kruscev teneva uà comizio a Bratsk, una voce lo interruppe: «Ma quando diminuiranno i prezzi? ». Kruscev rispose: « Voi sapete bene che i prezzi si possono ridurre quando c'è più merce. Se la produttività aumenta i costi diminuiscono ». In un'altra occasione, egli arrivò a spiegare la questione con la parabola dei pani e dei pesci: « Si dice nella Bibbia che Dio abbia sfamato cinquemila persone con cinque pani. Ma nessuno ha detto se quella gente abbia mangiato bene o no. Se avessero mangiato bene, è sicuro che non sarebbero fuggiti dalla Palestina». I successori di Kruscev sono meno loquaci; ma il problema, ancorché taciuto, è lo stesso. E in Jugoslavia, poco prima della svalutazione del dinaro, Kardelj ebbe a dire: « La instabilità del nostro mercato è anzitutto conseguenza del fatto che vogliamo consumare più di quanto consentano il volume e la struttura della nostra produzione ». Il governo sovietico eccede persino, dai tempi di Bucharin, nel subordinare i salari al rendimento del lavoro; esso segue una politica di bassi salari. In Occidente nessuno sostiene che i salari debbano essere limitati con tanto rigore; al contrario, dai bassi salari nasce la crisi di domanda (così come dalla corsa salariale più veloce della produttività nasce l'inflazione), mrutre il lavoro a buon mercato frena rinnovazione tecnologica. Il -^stro problema consiste in un graduale e calcolato au-mento dei salari, che sia parallelo all'aumento della produttività, evitando all'economia sia le impennate inflazionistiche sia le cadute nella recessione. Queste cose le sanno anche numerosi dirigenti dei sindacati; ma non vogliono che si sappia che le sanno, impegnati a gareggiare fra loro, o non riescono a spiegarle alla base. Ogni assemblea si persuade che il suo caso è particolare, che la logica schematica non può applicarsi alla fattispecie in quel momento particolare. I gruppi sociali più deboli, che vivono con i salari peggiori, non possono credere che le norme dell'economia debbano affliggere proprio loro; mentre i sindacati più potenti, meglio organizzati e già privilegiati per capacità contrattuale, non sanno resistere alla tentazione di ottenere ciò che è a portata di mano, magari facendo pagare l'inflazione soprattutto ai più deboli. In queste circostanze, i sindacati possono ottenere molti applausi, almeno per qualche tempo, e possono anche perdere ogni autocontrollo per effetto di quegli applausi; ma dalla popolarità si può facilmente slittare verso l'impopolarità. L'aspetto più singolare della questione è che non sono tanto i « capitalisti », come molti credono, a dover fronteggiare gli effetti della pressione inflazionistica (anzi talvolta un po' d'inflazione fa comodo) quanto il governo e la sua Banca Centrale. E' lo Stato a rispondere di tutto: stabilità dei prezzi, equilibrio della bilancia dei pagamenti, tasso di sviluppo economico, livello d'occupazione e distribuzione del reddito. Ogni questione è più ardua quando anche i dipendenti statali, parastatali e locali moltiplicano le loro richieste senza che aumenti in nessun modo la loro produttività, anzi imponendo un aumento della spesa pubblica corrente a danno degli investimenti pubblici, mentre tutti i sindacati promuovono scioperi affinché si provveda a fornire più infrastrutture e servizi sociali, che dipendono per l'appun- to dagli investimenti dei bi lanci statali, parastatali e comunali. Fra le richieste dei dipendenti pubblici e la riduzione degli investimenti pubblici, La Malfa commenta: « Temo che anziché andare avanti nei servizi civili, stiamo anche mancando alle spese di manutenzione di quelli esistenti». Il ministro del Bilancio, Giolitti, aggiunge: «Alle richieste che vengono da ogni parte e sì accavallano disordinatamente, dovremmo avere la risolutezza di rispondere no, purché ciò avvenga in un contesto programmatico di sì». Ma chi ha voglia dì discutere davvero su fatti e cifre, sia pure « in un contesto programmatico di sì»? Alberto Ronchey

Persone citate: Bucharin, Giolitti, Kruscev, La Malfa, Popu

Luoghi citati: Francia, Front, Jugoslavia, Palestina, Sud America