Una voce dall'Oriente di Raniero La Valle

Una voce dall'Oriente Uomini e religioni Una voce dall'Oriente Che cosa è venuto a dire Vasken I, il Patriarca supremo dei cristiani armeni, perché è venuto fin qui, come egli stesso ha detto, « da un mondo lontano », e « da remotissimi lempi »? 11 mondo lontano è l'Armenia sovietica, i remotissimi tempi sono quelli della prima testimonianza cristiana a cui è « ancorata » la Chiesa armena, come Chiesa di fondazione apostolica; ma sono anche i tempi del Concilio di Calcedonia, nel Quarto Secolo, a cui risale la separazione della Chiesa armena, quale Chiesa « monofìsita », dalle altre Chiese d'Oriente e d'Occidente; sicché Vasken I e Paolo VI si sono incontrati come « fratelli da due millenni », ma separati da quindici secoli. L'avvenimento era dunque significativo, ed ha dato l'occasione per verificare ancora una volta, come tra le Chiese esista una « realtà profonda e sacramentale di comunione », come ha detto il Papa, molto più forte delle loro divisioni, originate da controversie teologiche che, nel caso della Chiesa armena, Paolo VI ha addirittura definito come « malintesi ereditati dal passato ». Ma gli incontri tra i capi di Chiese sono ormai un po' usurati, da quando si è avvertito che al moltiplicarsi dei contatti al vertice, non corrisponde un profondo mutamento nel modo di essere delle Chiese, e un vero progresso nell'incontro e nella vita comune dei fedeli delle diverse famiglie cristiane. Infatti se è vero, come disse Paolo VI al patriarca Atenagora nel 1967 a Costantinopoli, che a tocca ai capi di Chiese, alla loro gerarchia, condurre le Chiese sulla via che porta alla piena comunione ritrovata », è anche vero che non è possibile alcun reale progresso nell'ecumenismo, anzi non è possibile alcuna vita ecclesiale, in cui il popolo credente non sia coinvolto come protagonista; ed è questo che riconosce francamente la dichiarazione comune di Paolo VI e Vasken 1, quando dice che « la ricerca (ecumenica) rischia di restare sterile se non è radicata in tutta la vita di tutta la Chiesa »; ed è per questo che sarebbe stato bello se il primo incontro di pace e di preghiera comune tra il Papa e il Patriarca armeno fosse avvenuto non nella maestosità separata della Cappella Sistina, ma in mezzo al popolo della Chiesa di Roma, nella sua cattedrale di San Giovanni. . Tuttavia, benché la visita di Vasken I sia rimasta sul piano di un incontro di vertice tra capi di Chiese e dignitari, essa avrebbe meritato un'attenzione maggiore da parte dell'opinione. Infatti, nei suoi incontri e nei suoi discorsi romani il Patriarca armeno non solo si è dato a conoscere come personalità di altissimo rilievo spirituale, facendo intravedere le ricchezze a noi sconosciute della sua Chiesa, ma ha mostrato che cosa vorrebbe dire, per il rapporto della Chiesa col mondo, una integrazione della prospettiva occidentale con quella orientale. Il passo di Armstrong Anzitutto Vasken I ha reintrodotto un discorso che già una volta era stato tallo in Occidente e nella Chiesa caiiolica da Giovanni XXI11 quando, all'apertura del Concilio, contro i profeti di sventura, aveva interpretato l'attuale momento storico come quello nel quale « la Provvidenza ci sta conducendo a un nuovo ordine di rapporti umani ». Quella fiducia è sembrata essere smentita dai tragici avvenimenti di questi anni; e oggi sono ben pochi in Occidente quelli che appaiono disposti a guardare con ottimismo al futuro, almeno a quello più prossimo del mondo e della Chiesa. Ma ecco che dall'Oriente si fa udire a Roma un'altra voce che invita a quello stesso ottimismo, preannunciando un « nuovo sviluppo della vita umana che si incammina verso lu nascila e la formazione di un nuovo equilibrio spirituale e morale e di una nuova presa di coscienza della fraternità universale dei popoli ». E non si tratta di un vacuo ottimismo sociologico, prodotto dall'ebbrezza del progresso tecnologico e dalla meraviglia per le conquiste della ragione Al contrario, ha detto Vasken I nel discorso rivolto al cardinale Willebrands, se il genio della scienza umana ha raggiunto vette insospettate, « resta che il genio morale dell'uomo arrivi a compiere il passo di Ann strong »; e « i vertici della ragione » sono raggiunti non og¬ gi, quando ancora non è stato chiuso « il libro della storia sanguinante dell'umanità », ma lo saranno quando in tutta la Terra sarà diffusa la convinzione « che tutti gli uomini, tutte le nazioni, sono senza distinzione fratelli, come un imico popolo di Dio ». Di qui nasce il ruolo che Vasken I attribuisce alle Chiese, che è un ruolo'fondamentale riconciliatore e pacificatore, non compromesso con le ideologie mondane. Le Chiese infatti devono diffondere al mondo contemporaneo « la luce del Vangelo, orientata non contro la scienza, non contro questa o quella dottrina sociale, questo o quel sistema po-, litico, ma con una carità sempre crescente verso tutti gli uomini»; anzi proprio per questo, ha detto il Patriarca, sono venuto, « affinché si fortifichi sempre più il nostro sentimento di dover soffocare il fuoco della guerra; affinché noi, capi delle Chiese, operiamo costantemente in quest'uiiico e preciso fine, di indicare a tutte le nazioni e a tutti gli Stati le vie dell'unità, della fraternità, della coesistenza pacifica. Non è più possibile che gli uomini e noi, servitori della Chiesa di Cristo, ci rassegniamo all'idea di una guerra: ogni guerra è un crimine ». Paolo VI e Vasken I si sono così trovati d'accordo ncll'affermare che la ricerca dell'unità cristiana non è separabile dal perseguimento della pace nel mondo; anzi, secondo il Patriarca armeno, è proprio in questa « diaconia » di pace che l'unità sarà ritrovata. Una visione dell'ecumenismo, che 6" anche una visione della Chiesa, sempre più compresa, dagli uomini del nostro tempo, come « Chiesa per il mondo », come un « essere per gli altri ». Raniero La Valle

Luoghi citati: Armenia, Costantinopoli, Roma